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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Rischio dei maggiori sottotipi di linfoma e abitudini alimentari in un'area del Mediterraneo: una questione di genere?

Marina Padoan¹, Mariagrazia Zucca², Sonia Sanna², Maria Grazia Ennas², Giannina Satta², Corrado Magnani¹,³ e Pierluigi Cocco²

¹Unità di Statistica Medica e SC Epidemiologia dei Tumori, Dipartimento di Medicina Traslazionale, Università del Piemonte Orientale, Novara e CPO Piemonte, Novara;

²Dipartimento di Scienze Biomediche, Sezione di Citomorfologia e Dipartimento di Scienze Mediche e Sanità Pubblica, Cattedra di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Cagliari;

³Unità di Epidemiologia dei Tumori, CeRMS e CPO Piemonte, Università degli Studi di Torino

 

 

SUMMARY (Risk of lymphoma subtypes and dietary habits in a Mediterranean area: a gender issue?) - Several studies have explored the risk of non Hodgkin lymphoma in relation to dietary habits. We used a case-control study design to investigate whether dietary items typical of the Mediterranean diet might affect risk of lymphoma and/or its specific subtypes. Study subjects were 322 incident cases of lymphoma and 446 population controls resident in the Sardinia region of Italy. Our findings show that a frequent intake of very well done roasted chicken increases risk of lymphoma (all subtypes combined) among women (p for trend = 0.0025), but not among men; a daily intake of olive oil appears to convey protection in both genders; and adherence to the Mediterranean diet does not seem to affect risk in either gender. However, in a previous analysis of lymphoma subtypes, we observed a protective effect of adherence to a Mediterranean diet against diffuse large B-cell lymphoma. Our results need replication in larger pooled data sets. Key words: Mediterranean diet, lymphoma, case-control study

padoan@med.uniupo.it

 

 

Introduzione

Alcuni studi osservazionali hanno indagato l’influenza dei regimi dietetici sul rischio di linfoma: in particolare, gli studi che hanno valutato il rischio di linfoma non Hodgkin (LNH) in relazione al consumo di carni rosse hanno mostrato risultati contradditori, anche considerando i metodi e i gradi di cottura, che tipicamente portano alla formazione di ammine eterocicliche e idrocarburi policiclici aromatici (1, 2). D’altra parte, in uno studio canadese, un alto consumo di pesce è risultato protettivo nei confronti del rischio di LNH (3) e risultati simili sono stati osservati per un elevato consumo di frutta e verdura fresca (4, 5). Tuttavia, il ruolo della dieta nell’insieme di fattori causali e protettivi nei confronti dello sviluppo di linfomi è controverso. Inoltre, i risultati in letteratura appaiono difficilmente interpretabili e confrontabili per l’applicazione di diverse classificazioni dei linfomi. In questo lavoro abbiamo approfondito l’analisi del rischio di linfoma e dei suoi principali sottotipi definiti secondo l’ultima versione della Classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (6), in relazione alla dieta che si segue in Sardegna, conducendo un’analisi stratificata per genere, allo scopo di esplorare eventuali associazioni sesso-specifiche. L’analisi è stata condotta utilizzando la banca dati della Sardegna meridionale nell’ambito dello studio caso-controllo multicentrico europeo EpiLymph.

 

 

Materiali e metodi

Disegno e metodi dello studio caso-controllo multicentrico EpiLymph e le informazioni sulle abitudini dietetiche raccolte mediante questionario sono stati precedentemente illustrati (7). In breve, nel corso dello studio, 322 casi di linfoma (tutti i sottotipi, compreso il mieloma multiplo e la leucemia linfatica cronica, 88% nei casi eleggibili), di età compresa tra 25 e 75 anni, incidenti nel periodo 1998-2004, sono stati identificati e reclutati presso i due principali centri di oncoematologia della Sardegna (Ospedale Oncologico A. Businco di Cagliari e Ospedale San Francesco di Nuoro). Dai registri degli assistiti delle ASL di provenienza dei casi, sono stati estratti a caso due controlli per ciascun caso, all’interno di categorie di quinquennio di età, genere e ASL di residenza. Il tasso di partecipazione dei controlli è stato pari al 60,9%, a causa di un numero di rifiuti pari a 221 (30,2% dei controlli eleggibili) e dell’impossibilità di rintracciarne 65, lasciandone 446 utili ai fini dell’analisi. Casi e controlli sono stati intervistati presso il loro domicilio da intervistatori appositamente addestrati (7). Le domande sulle abitudini dietetiche riguardavano la frequenza di assunzione di 112 prodotti alimentari, con riferimento a 2-3 anni prima della diagnosi. L’indicazione della porzione di ciascun item dietetico consumata abitualmente o delle modalità di cottura della pizza, se mediante forno a legna o elettrico, non era parte dell’intervista. Per la definizione del grado di aderenza alla dieta mediterranea si è ricorso, con alcune modificazioni, allo score costruito da Buckland et al. (8). È stata inoltre analizzata separatamente l’associazione con specifici item dietetici che erano stati valutati in precedenti studi, quali il consumo di carni rosse e/o bianche, di verdure (a foglia larga e crocifere), di frutta (agrumi e frutta estiva), e delle bevande nervine (tè, caffè, coca cola). Per otto tipi di carni rosse, sono state inoltre chieste le modalità di cottura preferite e il grado di cottura come segue: al sangue, cottura media, ben cotta, o molto ben cotta con bruciature sulla superficie. La frequenza di assunzione di ciascun alimento è stata categorizzata come segue: mai, occasionale (meno di una volta al mese), 1-4 volte al mese, 2-6 volte alla settimana o giornaliera. Nel caso di raggruppamenti di alimenti, la loro caratterizzazione è stata effettuata sulla base dei percentili (quintili o quartili), con riferimento al percentile inferiore o alla categoria dei non consumatori se quest’ultima categoria avesse presentato una sufficiente numerosità degli score di consumo ottenuti dalla somma degli score dei loro componenti.

 

L’associazione tra specifici item dietetici o loro raggruppamenti e il rischio di linfoma e dei suoi sottotipi a maggiore prevalenza (linfoma diffuso a grandi cellule di tipo B, linfoma follicolare, leucemia linfatica cronica, mieloma multiplo e linfoma di Hodgkin), associato a uno score di aderenza alla dieta mediterranea e al consumo di alcuni specifici alimenti è stata studiata mediante il calcolo dell’odds ratio (OR) e del suo intervallo di confidenza al 95% (IC 95%), utilizzando modelli di regressione logistica non condizionata, corretti per età (continua), genere, e scolarità, separatamente nei maschi e nelle femmine. È stata inoltre analizzata, mediante Q test, l’eterogeneità di genere delle stime di rischio calcolate. Altre variabili, quali obesità, fumo e consumo di bevande alcoliche non sono state considerate come confondenti, in quanto la loro associazione con il rischio di linfomi non è stata confermata in precedenti studi (9,10). In ogni caso, l’introduzione di queste variabili nel modello di regressione logistica non ha dato luogo a variazioni sostanziali delle stime di rischio.

 

Risultati

Non si sono rilevate differenze di rilievo per quanto riguarda la distribuzione dei casi e controlli per età, genere e scolarità, né per quanto riguarda il fumo di sigaretta, il consumo quotidiano di bevande alcoliche e l’indice di massa corporea (7).

 

La Tabella 1 riporta la suddivisione dei casi nei vari sottotipi istologici di linfoma e il rispettivo rapporto tra i generi, che come atteso, varia in maniera sostanziale tra i vari istotipi. In accordo con tutte le casistiche pubblicate, il sottotipo prevalente è risultato il linfoma diffuso a grandi cellule di tipo B (DLBCL, 28,4%). Il rapporto tra generi ha mostrato una larga variazione tra i sottotipi più rappresentati, compresa tra 0,88 (linfoma di Hodgkin) e 2 (mieloma multiplo).

 

Nell’analisi sulla popolazione complessiva dello studio, il rischio di linfoma (tutti i sottotipi combinati) mostra un aumento in relazione alla frequente assunzione di carne bovina (OR = 1,4, IC 95% 1,0-1,9 per consumo >2 volte a settimana vs un’assunzione meno frequente), di pizza (OR = 1,8, IC 95% 1,1-3,1 per consumo >2 volte a settimana vs un’assunzione meno frequente), di pollame ben arrostito (OR = 1,8, IC 95% 1,2-2,9 per consumo quotidiano vs mai), e un significativo effetto protettivo per il consumo di olio d’oliva (OR = 0,4, IC 95% 0,2-1,0 per consumo quotidiano vs meno che quotidiano), mentre non è stata rilevata alcuna associazione con il consumo di latte, latticini, pesci o frutti di mare (7).

 

 

 

 

 L’analisi separata per genere qui presentata ha mostrato un analogo effetto protettivo del consumo quotidiano di olio d’oliva in entrambi i generi e un trend significativo del rischio di linfoma (tutti i sottotipi) associato al consumo di pollame ben arrostito nei soli partecipanti di genere femminile, con una significativa eterogeneità per genere (Tabella 2). Anche l’assunzione regolare di agrumi (OR = 0,5, IC 95% 0,2-0,9 nella categoria di consumo più elevata verso i non consumatori) e di verdure a foglia larga (OR = 0,6, IC 95% 0,3-1,2 nella categoria di consumo più elevata verso i non consumatori) è apparsa inversamente associata con il rischio di linfoma, ma solo tra le donne, senza una significativa eterogeneità tra generi. L’adesione alla dieta mediterranea non ha mostrato alcuna associazione con il rischio di linfoma (tutti i sottotipi) analogamente nei soggetti di genere maschile e in quelli di genere femminile. Nell’analisi per sottotipi di linfoma, riportata nella precedente pubblicazione (7), l’aderenza alla dieta mediterranea ha mostrato un effetto protettivo per il linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL, OR = 0,4; IC 95% 0,1-1,0), ma non per l’insieme dei linfomi (tutti i sottotipi combinati).

 

 

 

 

Discussione

In accordo con alcuni dati della letteratura, i nostri risultati suggeriscono che la dieta possa modulare il rischio di alcuni sottotipi di linfoma, soprattutto nel sesso femminile. È verosimile che lo sviluppo di ammine eterocicliche nelle superfici bruciate per le alte temperature di cottura sviluppate in forno a legna sia responsabile degli elevati rischi di linfoma osservati nel nostro studio. Peraltro, l’adesione a una dieta mediterranea non sembra apportare una protezione nei confronti dello sviluppo di linfoma, tranne per il linfoma diffuso a grandi cellule di tipo B.

 

Siamo tuttavia consapevoli dei limiti del nostro studio. È possibile che le variazioni in eccesso o in difetto delle stime di rischio osservate siano state determinate dal caso, viste le ridotte dimensioni dello studio. Inoltre, il numero elevato dei confronti effettuati potrebbe avere dato luogo, per semplice casualità, alle apparenti associazioni positive o inverse rilevate. Le nostre stime di rischio non sono state corrette per indice di massa corporea, consumo di alcol o fumo di tabacco. Tuttavia, l’inserimento di queste covariate nei modelli di regressione logistica ha dato luogo a minime variazioni delle stime di rischio; precedenti studi collaborativi di grandi dimensioni non hanno confermato l’associazione con questi confondenti (9, 10). Nel presente studio non è stato possibile approfondire l’indagine dietetica con la determinazione della porzione media degli alimenti o la quantificazione di specifici nutrienti. Infine, l’accuratezza del ricordo degli intervistati sulle proprie abitudini alimentari 2-3 anni prima dell’intervista è certamente discutibile. Nessun tentativo è stato messo in atto per validare l’informazione fornita attraverso i questionari. Tuttavia, visto che la dieta non è comunemente considerata un fattore di rischio per linfoma, siamo ragionevolmente fiduciosi del fatto che l’eventuale inaccuratezza nelle risposte fosse uniformemente distribuita tra casi e controlli. In questo caso, la conseguenza attesa sarebbe una sottostima delle eventuali associazioni reali, positive o protettive che fossero. Per tutte le suddette motivazioni, la nostra analisi non ci permette di trarre delle conclusioni definitive.

 

Va comunque evidenziato il fatto che si tratta del primo studio sugli effetti della dieta mediterranea sul rischio di linfoma e la prima valutazione dell’eterogeneità per genere del rischio di linfoma associate alla dieta. A questo riguardo, dobbiamo ricordare che l’algoritmo da noi utilizzato per calcolare uno score di aderenza a una tipica dieta mediterranea è derivato da quello applicato da Buckland et al. (8); è stato, inoltre, efficacemente testato in uno studio sulla malattie coronariche nella coorte EPIC, ma è stato in parte modificato e non altrettanto validato in relazione a patologie sicuramente influenzate dai modelli dietetici. Nonostante le motivazioni dei cambiamenti da noi introdotti siano state spiegate (7), anche questo aspetto costituisce un limite dei nostri risultati. Tuttavia, l’applicazione dell’algoritmo per la valutazione dell’aderenza alla dieta mediterranea proposto da Buckland et al. ha sostanzialmente confermato i nostri risultati (7).

 

In conclusione, riteniamo utile esplorare le ipotesi sollevate dai nostri risultati attraverso la condivisione dei dati originali degli studi internazionali che hanno finora esplorato la relazione tra dieta e rischio di linfomi. Tale possibilità è offerta dalla partecipazione del nostro gruppo al Consorzio internazionale InterLymph. A tale proposito, il principale ostacolo potrebbe essere quello di uniformare le variabili dietetiche raccolte in Paesi caratterizzati da modelli di consumo alimentare molto differenti tra di loro.

 

Dichiarazione sui conflitti di interesse

Gli autori dichiarano che non esiste alcun potenziale conflitto di interesse o alcuna relazione di natura finanziaria o personale con persone o con organizzazioni che possano influenzare in modo inappropriato lo svolgimento e i risultati di questo lavoro.

 

Riferimenti bibliografici

1. Chang ET, Smedby KE, Zhang SM, et al. Dietary factors and risk of non-Hodgkin lymphoma in men and women. Cancer Epidemiol Biomarkers Prev 2005;14:512-20.

2. Rohrmann S, Linseisen J, Jakobsen MU, et al. Consumption of meat and dairy and lymphoma risk in the European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition. Int J Cancer 2011;128:623-34.

3. Fritschi L, Ambrosini GL, Kliewer EV, et al. Dietary fish intake and risk of leukaemia, multiple myeloma, and non-Hodgkin lymphoma. Cancer Epidemiol Biomarkers Prev 2004;13:532-7.

4. Kelemen LE, Cerhan JR, Lim U, et al. Vegetables, fruit, and antioxidant-related nutrients and risk of non-Hodgkin lymphoma: a National Cancer Institute-Surveillance, Epidemiology, and End Results population-based case-control study. Am J Clin Nutr 2006;83:1401-10.

5. Chiu BCH, Kwon S, Evens AM, et al. Dietary intake of fruit and vegetables and risk of non-Hodgkin lymphoma. Cancer Causes Control 2011;22:1183-95.

6. Jaffe ES. The 2008 WHO classification of lymphomas: implications for clinical practice and translation research. Haematology Am Soc Hematol Educ Program 2009:523-31.

7. Campagna M, Cocco P, Zucca M, et al. Risk of lymphoma subtypes and dietary habits in a Mediterranean area. Cancer Epidemiol 2015;39:1093-8.

8. Buckland G, Gonzalez CA, Agudo A, et al. Adherence to the Mediterranean diet and risk of coronary heart disease in the Spanish EPIC Cohort Study. Am J Epidemiol 2009;170:1518-29.

9. Willett EV, Morton LM, Hartge P, et al. Non-Hodgkin lymphoma and obesity: a pooled analysis from the InterLymph consortium. Int J Cancer 2008;122:2062-70.

10. Besson H, Brennan P, Becker N, et al. Tobacco smoking, alcohol drinking and non-Hodgkin’s lymphoma: an European multi-centre case-control study (Epilymph). Int J Cancer 2006;119:901-8.