Nel mare magnum delle linee guida
Alberto Baldasseroni - SA di Epidemiologia Ausl 10 di Firenze
Eva Buiatti - Coordinatore dell'Osservatorio di epidemiologia dell'agenzia regionale di sanità della Toscana
Alcuni anni fa Alessandro Liberati intitolava un articolo, scritto a più mani, in maniera significativa “Which guidelines can we trust?”. L’evoluzione tecnologica e l’espandersi esponenziale degli studi, documentati dai milioni di articoli scientifici presenti in banche dati come Medline, hanno reso necessaria la compilazione di sintesi ragionate delle conoscenze per fornire ai professionisti della Sanità indicazioni sulle “migliori pratiche disponibili” e sui modi di comportarsi più razionali di fronte ai problemi di salute incontrati quotidianamente. Si tratta di un processo che, anche attraverso le revisioni sistematiche ed eventualmente le meta-analisi dei dati pubblicati, sfocia nella redazione di documenti-guida per i professionisti della sanità.
In realtà le linee guida sono sempre esistite. Ciò
che è cambiato a partire dai primi anni Novanta è il modo con cui queste
vengono prodotte. Non ci si accontenta più di attingere alla tradizione
della propria scuola o all’insegnamento del proprio “maestro” per perpetuare
pratiche da ritenere ortodosse, ma si comincia, sull’esempio di Archibald
Cochrane, a cercare le prove dell’efficacia terapeutica e sanitaria di un
certo intervento. Le parti del programma sanitario oggetto di linee guida
non coperte da prove di efficacia vengono decise sulla base di un consenso
tra pari, del tutto diverso dall’antico ipse dixit. Questo processo,
tuttavia, è tutt’altro che lineare: rimangono ampi settori non innovati e il
principio di autorità stenta a tramontare. A questo principio (secondo il
quale è la fonte che rende credibile il messaggio, non il suo contenuto) si
affidano ancora molti operatori quando invocano la forza della legge per
imporre linee guida ai comportamenti professionali.
Il piccolo episodio che è oggetto della discussione di
Epicentro introdotta oggi, è interessante proprio in questo contesto. Dalla
lettura del materiale disponibile a commento dei
due episodi di focolaio epidemico di infezione da Trichinella di origine
suina insorti in Sardegna, nel nuorese, emerge fortemente la necessità che
la macellazione casalinga di suini avvenga sempre in presenza e sotto il
controllo di un medico veterinario, cosa peraltro prevista dalla legge
vigente in quella regione. Nelle pagine di EpiCentro dedicate alla Ebp è
disponibile un
dossier proprio su questo argomento, curato dai colleghi veterinari
friulani, con la collaborazione di Vittorio Demicheli. In maniera
argomentata, il dossier sostiene che, date certe premesse, la presenza dei
veterinari è superflua e palesemente immotivata, uno spreco notevole di
risorse che potrebbero essere impiegate per attività più utili. A chi dare
retta, si chiedeva Alessandro Liberati. E noi con lui.