Notiziario - 26 novembre 2005
Il punto della situazione
- Umana
Cina: una contadina di 35 anni è morta dopo essere stata colpita dal virus dell'influenza aviaria. È il secondo caso letale di infezione umana. La donna è morta 11 giorni dopo aver manifestato sintomi di polmonite. Era stata in contatto con polli malati e morti nella provincia di Anhui. Nella stessa giornata, il Paese asiatico ha accertato anche il terzo caso di infezione umana dal virus H5N1. Anche questo contagio sarebbe avvenuto nella provincia centrale di Anhui. - Veterinaria
Cina: un nuovo focolaio del virus dell'influenza aviaria è stato localizzato nella regione della Mongolia interna. Si tratta del ventiduesimo focolaio della malattia aviaria che ha ucciso 246 volatili in una sola fattoria.
Indonesia: il ministero dell'Agricoltura indonesiano ha annunciato che centinaia di polli sono stati trovati positivi al virus dell'influenza aviaria nella provincia di Aceh. Gli animali hanno contratto il ceppo H5N1 della malattia in almeno tre distretti della provincia.
Oms: nuovi casi di infezione umana in Cina e in
Vietnam
Il ministro della Salute cinese ha confermato un
altro caso di infezione umana da virus H5N1 dell'influenza aviaria. Il
caso, risultato fatale, ha riguardato una donna di 35 anni che lavorava
come bracciante nella provincia sudorientale di Anhui. Aveva sviluppato
i sintomi lo scorso 11 novembre, è stata ricoverata il 15 ed è morta il
22. È il terzo caso confermato dal laboratorio di infezione umana in
Cina e il secondo della provincia di Anhui. Su tre casi, due sono stati
fatali. Il ministro cinese della Salute ha invitato l'Oms a partecipare
a una missione congiunta nella provincia di Anhui per ricontrollare
quanto accertato dai laboratori e indagare su come abbiano contratto
l'infezione i due casi segnalati nella zona. Da metà ottobre, la Cina ha
segnalato numerosi focolai di influenza aviaria in diverse aree e
province del Paese. Leggi il
documento originale.
In Vietnam un ragazzo di 15 anni è risultato
positivo al virus dell'influenza aviaria. Lo ha riferito il ministero
vietnamita della Sanità, che ha precisato che il ragazzo, dopo essere
stato ricoverato lo scorso 16 novembre, è stato dimesso. Leggi il
comunicato dell'Oms.
Cdc, infezione da uomo a uomo limitata ma
possibile
Uno studio internazionale sui casi di influenza
aviaria nel Sud est asiatico sembra suggerire che la trasmissione da
uomo a uomo del virus H5N1 potrebbe essere più prevalente, cioè
statisticamente più rilevante, di quanto ritenuto finora, anche se i
ricercatori dicono che non ci sono dati sufficienti per poterlo
affermare con certezza. Lo studio, pubblicato sulla rivista
Emerging Infectious Diseases dei
Cdc americani è stato citato anche dal
Wall Street Journal. I ricercatori dei Cdc di Atlanta, insieme a
responsabili sanitari di diversi Paesi dell'area e dell'Oms, hanno
seguito i casi di infezione umana da quando il virus H5N1 dell'influenza
aviaria ha fatto la sua comparsa nella regione nel 2003.
Il caso meglio documentato sarebbe quello di una
donna thailandese che si è infettata nel 2004: aveva lasciato il lavoro
a Bangkok per tornare a casa e accudire la figlia, colpita dall'H5N1.
Entrambe sono morte a causa del virus. Da quel caso, Sonja Olsen,
direttrice dell'International Emerging Infections Program dei Cdc, ha
cominciato a cercare prove sulla presunta capacità del virus di
trasmettersi da persona a persona.
Nello studio citato, la Olsen ha identificato
almeno 14 altri possibili casi di “gruppi” di infezioni umane che hanno
coinvolto almeno due persone, spesso membri della stessa famiglia. Tutti
casi di infezione registrati da dicembre 2004 a luglio 2005. In tre di
questi gruppi di infezione, in Vietnam, sono passati sette giorni dalla
comparsa dei sintomi nel primo paziente a alla comparsa dei sintomi nel
secondo: decisamente troppo per aver contratto l'infezione dalla stessa
fonte. Inoltre, in un altro caso, un'infermiere vietnamita avrebbe
contratto l'infezione da un paziente colpito dal virus H5N1.
Il problema è che nei casi citati è difficile
dimostrare con assoluta certezza la trasmissibilità del virus da persona
a persona. Infatti, è difficile escludere la presenza di uccelli o
pollame domestico infetto dai molti casi di infezione umana segnalati,
perché nei Paesi del Sudest asiatico, specie nelle zone rurali, la
famiglie vivono a stretto contatto con gli animali da cortile, rendendo
difficile escludere la fonte animale dell'infezione. Anche se, in un
caso indonesiano, i responsabili sanitari non hanno trovato pollame
infetto o uccelli morti nelle vicinanze dell'abitazione di due persone,
padre e figlio, rimasti uccisi dal virus H5N1.
Le origini della pandemia influenzale: la
lezione del 1918
Nel corso del XX secolo si sono succedute ben tre
pandemie: quella del 1918, del 1957 e del 1968. Guardando ai virus
responsabili, si è visto che essi devono subire numerosi cambiamenti
genetici prima che siano in grado di trasmettersi con facilità da uomo a
uomo. Un
articolo del New England Journal of Medicine cerca di
individuare le lezioni che possiamo trarre da quelle esperienze. Scritto
da Robert Belshe della Saint Louis University School of Medicine,
l'articolo evidenzia come la biologia molecolare abbia ottenuto
"avanzamenti spettacolari". Tra questi, il principale è stato il
sequenziamento del genoma del virus dell'influenza del 1918 e la sua
ricreazione, che potrebbe offrire importanti notizie sui meccanismi
di adattamento agli umani dei virus aviari. "Grazie a questi risultati -
scrive Belshe - siamo in grado oggi di sapere che ci sono due meccanismi
all'opera: un adattamento del virus come nel caso della spagnola e un
suo mescolamento con virus influenzali umani già circolanti. La grande
domanda è quale di questi due meccanismi sarà all'opera nella prossima
pandemia". L'autore conclude ricordando che si tratta di meccanismi che
comunque richiedono un po' di tempo per operare. "Secondo lo studio
sulla Spagnola, il virus era in circolo dal 1900 e solo nel 1918 ha
causato la pandemia", dice l'esperto.
Esercitazione europea “common ground”: simulata
una pandemia
Effettuata anche in Italia una prova di due giorni
che ha simulato su grande scala lo scoppio di una pandemia:
l'esercitazione “Common Ground”, voluta dalla Commissione europea per
stimare la prontezza dell'intervento di risposta delle autorità
nazionali ed europee, è stata coordinata dalla britannica Health
Protection Agency (Hpa). Oltre all'Hpa e alla Commissione,
l'esercitazione ha coinvolto anche il Centro europeo per la prevenzione
e il controllo delle malattie (Ecdc), l'Agenzia europea per i medicinali
(Emea), l'Oms e i rappresentanti delle industrie dei vaccini e
farmaceutiche. Nei centri di comando sparsi per l'Europa, i funzionari
hanno reagito a scenari di emergenza immaginari, in modo da testare il
processo decisionale e da coordinare la comunicazione su tematiche come
le misure sulla salute pubblica, le implicazioni di una pandemia per la
salute e altri servizi pubblici essenziali.
L'esercitazione non ha previsto alcuna
mobilitazione reale dei servizi di emergenza e del personale medico,
concentrandosi invece solo sui centri di comando e informativi. Infatti,
un'attenzione particolare è stata dedicata all'abilità delle autorità
nazionali e comunitarie di coordinare una vasta risposta europea e
condividere le informazioni in modo rapido ed efficace.
Per quanto riguarda l'Italia, gli esperti si sono
riuniti all'Istituto per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di
Roma. In poche ore sono state simulate tutte le azioni per fronteggiare
l'arrivo dell'ipotetico virus pandemico e verificare così la reale
capacità di coordinare la risposta negli altri Stati membri dell'Unione
Europea attraverso l'Early Warning and Response System e collegamenti in
teleconferenza.
I risultati e le lezioni imparate saranno inseriti nella revisione del
documento preparato dalla Commissione Europea nel 2004 sulla
predisposizione operativa e la pianificazione della risposta comunitaria
contro la pandemia influenzale.
Senza ascolto non c'è comunicazione
Nel processo di comunicazione su un rischio la
capacità di ascolto rappresenta una condizione essenziale per conoscere
in modo più approfondito i diversi soggetti sociali con i quali si
comunica, per entrare in contatto con le loro specifiche esigenze. La
possibilità di capire e di farsi capire aumenta se si attivano processi
comunicativi bidirezionali in cui gli obiettivi, le percezioni e gli
intersessi dei diversi interlocutori possano ricevere tutti ascolto e
riconoscimento.
Barbara De Mei (reparto malattie infettive, Cnesps) cura una
sessione sul ruolo della comunicazione e del counselling in
condizioni di emergenza: questa settimana,
Come si ascolta.
Rischio pandemia: prosegue il dibattito
Va avanti la discussione di EpiCentro sulle
strategie e le scelte che il nostro Paese sta adottando per affrontare
il rischio pandemia. Questa settimana due interventi:
Alberto Tozzi sottolinea la necessità di prevenire e gestire
l'emergenza attraverso sorveglianza, integrazione e coordinamento delle
risorse.
Giorgio Bartolozzi presenta invece il punto di vista di un pediatra
di fronte ai problemi posti da influenza e influenza aviaria. Leggi la
discussione.