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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Il benessere in vecchiaia si può costruire

Simona Giampaoli - reparto Epidemiologia delle malattie cerebro e cardiovascolari, Cnesps-Iss

 

5 aprile 2012 - L’aspettativa di vita è più elevata per che, in età media, presenta un profilo di rischio cosiddetto favorevole (o low risk). È opinione comune, però, che vivendo più a lungo queste persone abbiano più malattie, disabilità e costino di più dal punto di vista assistenziale. In realtà le cose non stanno così e oggi diversi studi longitudinali internazionali lo dimostrano (Chicago Heart Association Detection Project in Industry - CHA, Multiple Risk Factors Intervention Trial - MRFIT, Atherosclerosis Risk in Communities Study - ARIC, Progetto CUORE). Le persone con profilo di rischio favorevole sono quelle che hanno una pressione arteriosa inferiore a 120/80 mmHg senza bisogno di terapia farmacologica, hanno una colesterolemia totale inferiore a 200 mg/dl, non fumano, non hanno il diabete e hanno un indice di massa corporea (indicatore che considera insieme peso e altezza) inferiore a 25 kg/m2, valore al di sopra del quale siamo soliti parlare di sovrappeso e obesità. Queste persone esaminate in età giovane, seguite e osservate per molti anni, si ammalano meno di malattie cardio-cerebrovascolari, e muoiono in età più avanzata; inoltre, quando intervistate in età avanzata, dichiarano di avere una buona qualità di vita, di essere in grado di salire e scendere le scale. Paradossalmente, chi presenta un profilo di rischio favorevole in età media incide meno dal punto di vista economico sul Servizio sanitario negli ultimi anni di vita, periodo più costoso per  ricoveri e cure mediche.

 

I risultati di queste ricerche sono espressi chiaramente nell’esempio della figura 1, riferita allo studio CHA. Riguardano 2692 donne e 3650 uomini di età 35-64 anni senza malattie di rilievo alla linea base (1967-1973); i sopravvissuti al 26° anno di follow-up sono stati ricontattati e compilato un questionario sulla qualità di vita (HSQ-12). Coloro che alla linea base, cioè in età giovane, presentavano un profilo di rischio favorevole (Low), erano quelli che dichiaravano di avere una qualità di vita eccellente o molto buona, di essere in grado di salire le scale, nel portare la spesa, di camminare; la dichiarazione di questa percezione era meno frequente in coloro che avevano un solo fattore borderline (0RG), o un fattore di rischio (1FR), o 2 fattori di rischio elevati (2FR).

 

 

 

Figura 1. Prevalenza di auto percezione di benessere e di attività della vita quotidiana aggiustate per età dopo 26 anni di follow-up della coorte longitudinale del Chicago Heart Association Detection Project in Industry in base al profilo di rischio in età media

 

*Percezione dello stato di salute: salute autoriferita eccellente o molto buona

^Prestanza fisica:nessuna limitazione nel salire le scale, nel portare la spesa, di camminare per vari isolati

†Sono escluse dall’analisi le persone che alla linea-base presentavano diabete mellito, infarto del  miocardio e anomalie elettrocardiografiche

Coorte di 2692 donne e 3650 uomini;età alla linea base: 36-64anni

Daviglus Ml, Liu K et al. Arch Intern Med 2003;163:2460-68

(concessione di Martha Daviglus)

 

 

Figura 2. Costo annuale del Servizio sanitario americano (Medicare) (1984-94) per cure in ospedale e fuori ospedale per malattie cardiovascolari (CVD) e tumori (cancer) in base al numero dei fattori di rischio misurati in età media

 

*Aggiustato per età alla linea base e  numero di anni di copertura da Medicare

p<0.05 per il confronto con persone che non presentano fattori di rischio

Coorte di 7039 uomini e 6757 donne; età alla linea base: 40-64 anni

Daviglus Ml, Liu K  et al. N Eng J Med 1998;339:1122-9.

(concessione di Martha Daviglus)

 

È limitativo parlare di prevenzione per ridurre il costo della sanità pubblica; adottare uno stile di vita sano per  mantenere il profilo di rischio favorevole è la garanzia migliore per una buona qualità di vita in età avanzata. Il crescente numero di  persone che raggiunge un’età superiore a 60 anni (stimato nel mondo intorno a 1000 milioni entro il 2020) ha portato ricercatori e amministratori della salute pubblica a dedicare più attenzione verso la prevenzione e a programmare interventi diversi rispetto a quelli adottati nello scorso secolo. Nei primi anni del ’900 l’aspettativa di vita era di 50 anni; a fine secolo era aumentata di 30 anni ed è ancora oggi in crescita. Acquistiamo un anno di vita media ogni 3 anni di calendario: oggi alla nascita un bambino ha la probabilità di vivere 79 anni, una bambina 84 anni e tale probabilità sarà di 80 anni fra tre anni per i bambini e di 85 anni per le bambine. Questo è il motivo che rende oggi stili di vita, fattori di rischio e malattie legate all’invecchiamento di grande interesse.

 

Stili di vita che cambiano

Nel  secolo scorso, poche erano le persone che potevano arrivare a cento anni,  selezionate dalla fatica, dall’aver superato malattie infettive, dall’aver affrontato guerre e talvolta miseria; poche raggiungevano questo traguardo e venivano riconosciute e rispettate per la loro  saggezza e “solidità”. La società moderna è caratterizzata da una popolazione con pochi bambini e molti anziani, e spesso viene sottolineato che i giovani dovranno in futuro aver cura di molti pensionati. Notevoli sono stati i cambiamenti che si sono verificati negli ultimi 50 anni: l’industrializzazione, associata alla migrazione dalle aree rurali a quelle urbane; l’evoluzione verso attività lavorative con minore livello di attività fisica; la maggiore disponibilità di cibo con la conseguente modifica della proporzione dei vari nutrienti rispetto alle calorie totali (riduzione di proteine e grassi di origine vegetale associata a incremento di proteine e grassi di origine animale, zuccheri semplici e conseguente riduzione della quantità di fibre e vitamine). Anche l’organizzazione patriarcale delle famiglie è cambiata, le famiglie sono raramente composte da più di tre persone (uno, al massimo due figli); spesso i nonni vivono separati dai figli e nipoti. In realtà la numerosità delle famiglie di un tempo era dovuta al fatto che poche persone riuscivano a vivere a lungo; della lunga lista di 12-14 figli, solo pochi riuscivano ad arrivare in età avanzata. Comune era la risposta delle donne quando interrogate sul numero di figli,  indicavano il numero totale, e aggiungevano il numero dei figli “viventi”.

 

Vivere in buona salute

Quando si parla di aspettativa di vita però è necessario aggiungere anche un altro indicatore, l’aspettativa di vita in buona salute; nonostante le conoscenze sui fattori di rischio e sulla possibilità di prevenire le malattie, nonostante il miglioramento delle condizioni di salute, oggi  viviamo in buona salute fino a 60 anni, poi cominciano a farsi sentire i disturbi. Per questo motivo è utile chiedersi quali sono le evidenze scientifiche in nostro possesso per migliorare le condizioni di vita in età avanzata. Torniamo al concetto di profilo di rischio favorevole. Qualcuno potrebbe argomentare che si tratta di persone geneticamente baciate dalla fortuna, ma gli studi di epigenetica ci hanno fatto capire che esistono diversi meccanismi, anche influenzati da fattori esterni, che controllano la trascrizione dell’informazione codificata nel nostro Dna,  per cui non è solo così. Il profilo di rischio favorevole è stato evidenziato anche considerando gli stili di vita salutari anziché le variabili ematochimiche (colesterolemia totale e HDL) o fisiologiche (pressione arteriosa, peso, altezza): alimentazione (in particolare quella mediterranea), regolare attività fisica e astensione dal fumo di sigaretta predicono lo stato di buona salute. Vi è mai capitato di osservare un centenario? Si tratta usualmente di persone sobrie (è raro trovare un centenario obeso) che sono state molto attive nella loro vita e, caratteristica difficile da quantificare, godono la vita, pensano con gioia a progetti futuri.

 

Qualche ulteriore approfondimento a proposito di stili di vita: più o meno 40 anni fa, quando se ne è cominciato a parlare, con il termine alimentazione mediterranea si intendeva “la alimentazione quotidiana della gente comune di Napoli: minestrone fatto in casa; pasta di qualsiasi tipo, sempre appena scolata e non troppo cotta, servita con salsa di pomodoro e una spolverata di parmigiano, solo occasionalmente arricchita con qualche pezzettino di carne o pesce, in questo caso senza formaggio; un piatto di fagioli e maccheroni; molto pane, mai con l’aggiunta di burro; grandi quantità di verdura fresca; una piccola porzione di carne o di pesce non più di due volte a settimana; vino; sempre frutta fresca come dessert. Per la prevenzione delle malattie cardiovascolari sarebbe difficile fare qualcosa di più che imitare l’alimentazione della gente comune di Napoli dei primi anni ’50. Così la descrivevano Ancel e Margaret Keys, due ricercatori americani di Minneapolis che hanno vissuto una lunga parte della loro vita a Pioppi, ridente paesino del Cilento, capitale della dieta mediterranea, nel loro libro, How to eat well and stay well, the mediterranean way, pubblicato nel 1985. Anche Ancel Keys ha raggiunto il traguardo dei 101 anni e dedicato la sua vita assieme alla moglie a capire perché alcune popolazioni si ammalano di più di malattie cardiovascolari rispetto ad altre. È lui che ha compreso la relazione fra il consumo di grassi saturi (grassi di origine animale), il fumo, la pressione arteriosa e le malattie cardiovascolari. Chiediamo a uno dei nostri centenari quale è stata la sua alimentazione; sicuramente sarà stata simile a quella descritta sopra, probabilmente più per poca disponibilità di cibo che per scelta culturale. A Pioppi, il testimone della dieta mediterranea è passato a Jeremiah Stamler, professore emerito della Northwestern University di Chicago, che oggi ha raggiunto l’età di 92 anni e che ancora ogni anno nei mesi invernali passa lunghi periodi nel paese del Cilento; chi ha la fortuna di poterlo incontrare rimane stupito dal suo stile di vita: ogni giorno mattina e pomeriggio un’ora di ginnastica, tre pasti al giorno vari nella composizione, rigorosamente cucinati senza sale e assaporati dalle numerose erbe aromatiche e spezie, conditi con poco olio di oliva (è solito ricordare ai suoi ospiti che ogni grasso e qualsiasi tipo di olio contiene molte calorie); nella sua tavola il formaggio è presente non più di una volta a settimana, l’uso del burro e della panna così come altri  grassi di origine animale è limitatissimo, usualmente sostituito con uso moderato di olio di oliva, verdure e frutta a volontà, legumi, pesce, raramente carne e poco zucchero aggiunto. Malgrado gli impegni, accoglie i collaboratori e gli allievi con grande disponibilità insegnando a tutti come alimentarsi e come aumentare il livello di attività fisica quotidiana (almeno 30 minuti al giorno di cammino, se possibile di più). Famosi sono i suoi studi sulla relazione tra consumo di sale e pressione arteriosa, primo e più importante fattore di rischio per l’ictus. Dopo l’ictus la strada verso i disturbi della capacità cognitiva è rapida. Jeremiah Stamler è fautore della prevenzione, addirittura di quella primordiale, sostenendo che per godere una buona salute in età avanzata è importante iniziare la prevenzione prima di nascere. E ancora ci fa dono della sua esperienza commentando  minuziosamente manoscritti scientifici.

 

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