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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Barack Obama e la sanità pubblica: la salute vien votando

Anna Pellizzone - redazione EpiCentro

 

(traduzione, sintesi e adattamento da:

The Lancet, volume 372, numero 9651, pagina 1707, 15 novembre 2008 e

The Lancet, volume 372, numero 9652, pagine 1797-1798, 22 novembre 2008)

 

Esiste un Paese in cui 45 milioni di persone non hanno accesso all’assistenza sanitaria, la speranza di vita alla nascita di un nero è più bassa rispetto a quella di un bianco, l’obesità infantile è considerata epidemica e ogni anno 100 mila persone muoiono in ospedale per malasanità. Questo Paese si chiama Stati Uniti d’America ed è la nazione con il più alto prodotto interno lordo al mondo, la democrazia presidenziale del “yes, we can”, il luogo dove, secondo le parole del nuovo presidente Barack Obama, “tutto è possibile” e “tutto può cambiare”. E per il sistema sanitario statunitense la vittoria del candidato democratico potrebbe davvero rappresentare un primo passo verso il cambiamento. Il tema della salute pubblica ha infatti dominato il dibattito per la corsa alla Casa Bianca ed è diventato uno dei cavalli di battaglia del programma di Obama.

 

I primi interventi

L’ampliamento della copertura sanitaria infantile e la promozione della ricerca nel campo delle cellule staminali potrebbero essere i primi provvedimenti sanitari attuati da Obama, subito dopo la sua entrata in carica alla Casa Bianca, in calendario il 20 gennaio 2009.

 

E anche se la crisi economico-finanziaria insidia il mantenimento delle promesse del Presidente, le strategie per la salute pubblica promosse da Obama continuano a entusiasmare gli esperti del settore, che vedono nella vittoria del leader democratico la possibilità di dare una svolta al sistema sanitario americano. Da anni, infatti, Obama mostra una spiccata sensibilità per le questioni legate alla salute.

 

Basti pensare a quando, nel 2006, come riferisce J. Stephen Morrison, direttore esecutivo dell’unità operativa Hiv-Aids, Barack Obama si è pubblicamente sottoposto, insieme alla moglie Michelle, al test dell’Hiv, nel tentativo di ridurre i pregiudizi legati alla malattia. Il tema dell’Aids occupa infatti un ruolo chiave nelle politiche sanitarie previste dal programma democratico, e non a torto: in alcune regioni degli Stati Uniti la malattia ha un altissimo tasso di prevalenza, come ad esempio nel distretto della Columbia, dove si contano 128,4 casi ogni 100 mila abitanti.

 

Il programma per il potenziamento del sistema sanitario

Ma il punto forte delle politiche sanitarie proposte da Obama non sta negli specifici programmi legati alle singole malattie, peraltro significativi, quanto nel potenziamento e coordinamento del sistema sanitario, sia a livello nazionale attraverso il consolidamento delle infrastrutture e l’incremento dei finanziamenti, sia a livello globale attraverso la collaborazione con gli altri Paesi e con le organizzazioni internazionali.

 

La tutela della salute pubblica da sola non basta. Per garantire il benessere dei propri cittadini, gli Stati Uniti devono ridurre le ingiustizie sociali, migliorare e controllare la qualità del cibo, affrontare la questione dei cambiamenti climatici e della proprietà intellettuale dei farmaci, investire sulla prevenzione e sulla tutela della salute a livello globale: tutte iniziative che il programma di Obama sulla carta sembra non trascurare.

 

«Barack Obama promuoverà al G8 uno sforzo globale per migliorare le infrastrutture dei Paesi in via di sviluppo e proteggere così sia la salute globale, sia quella degli americani», si legge sul documento della campagna elettorale. E ancora: «Obama difende l’accessibilità ai farmaci generici a tutti i Paesi sovrani, così da poter far fronte alle necessità della salute pubblica, rompendo la morsa di alcune case farmaceutiche».

 

È una politica dura, che incontrerà l’opposizione dei conservatori e delle lobby, ma che il nuovo presidente ha maggiori probabilità di riuscire a realizzare rispetto ai suoi predecessori democratici Bill Clinton e Jimmy Carter. Il suo passato da senatore dovrebbe infatti permettergli di rapportarsi meglio con il Congresso, il cui appoggio è fondamentale per avviare una riforma del sistema sanitario a livello legislativo.

 

Investimenti e riduzione della spesa

Ma facciamo qualche conto. Solo l’espansione dell’assicurazione sanitaria costerà allo Stato 35 miliardi di dollari, la campagna di prevenzione per l’Aids 4,8 miliardi, i fondi per la campagna contro l’Hiv nel Sud-est asiatico 1 miliardo e i finanziamenti per la lotta alla malaria in Africa 2,2 miliardi. A questo vanno aggiunti gli investimenti di impronta più sociale, ma che comunque influenzano direttamente la sanità pubblica, come i 2 miliardi per il sostegno dell’educazione primaria globale e la cancellazione del debito per i Paesi più poveri.

 

Gli investimenti sono enormi e la crisi finanziaria mette già in discussione la loro realizzabilità. Parte dei soldi saranno recuperati dall’aumento delle tasse sulle sigarette, ma Obama conta anche sulla riduzione delle spese cui dovrebbe portare, nel medio e lungo periodo, la prevenzione sanitaria. Più che dagli investimenti e dai finanziamenti veri propri, la rivoluzione arriva dalle persone, dalle ideologie e dall’orientamento dei vertici.

 

Entusiasmo e grandi aspettative

Il direttore degli Affari per la salute globale, il criticato Bill Steiger, sarà sostituito da una persona più esperta e più competente, le politiche inefficacemente dogmatiche assunte dai dirigenti sanitari, come quella del Pepfar (il piano presidenziale di emergenza per la lotta all’Aids che proponeva come strategia di prevenzione per l’Hiv l’astinenza sessuale prima del matrimonio), saranno riviste, i provvedimenti eccessivamente conservatori come la global gag rule sostituiti, le iniziative per la riduzione delle disparità sociosanitarie ampliate e la collaborazione con le organizzazioni internazionali e sovranazionali, come le Nazioni Unite, sostenuta e incoraggiata.

 

Obama suscita entusiasmo, ma anche grandi aspettative e per questo ogni sua mossa sarà seguita molto da vicino. Del resto, se è vero che, secondo le sue stesse parole, la sua vittoria è “la vittoria degli americani” è bene che ognuno intervenga e faccia del suo meglio, nel tentativo di risollevare gli Stati Uniti da una situazione sanitaria non sempre all’altezza della prima potenza economica mondiale.