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EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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L’impatto della pandemia sulle popolazioni migranti



La pandemia di COVID-19 ha portato con sé vari problemi aggiuntivi o ha aggravato condizioni di vita già difficili per le popolazioni migranti. Ne dà un quadro esauriente il Dossier Statistico Immigrazione 2020, realizzato dal Centro Studi e Ricerche IDOS in partenariato con il Centro Studi Confronti (presentato il 28 ottobre 2020). Numerosi capitoli di questa 30ma edizione analizzano il fenomeno delle migrazioni alla luce dell’attuale pandemia descrivendo sia l’impatto sanitario che le cause socio-economiche di esso.

 

Salvatore Geraci, Maurizio Marceca (Società Italiana di Medicina della Migrazioni) e Silvia Declich (Centro Nazionale per la Salute Globale dell’ISS) hanno analizzato l’impatto sanitario della pandemia sulle popolazioni migranti attraverso i dati della sorveglianza dell’ISS. Già a marzo-aprile 2020, nei primi mesi di pandemia la curva epidemica di COVID-19 tra gli stranieri, presenta un ritardo di 8-10 giorni rispetto a quella sulla popolazione italiana e i dati connotano un maggiore rischio di ospedalizzazione (e quindi di livello di gravità clinica). La spiegazione più probabile al riguardo è che gli stranieri vadano incontro a un ritardo di diagnosi dovuto a un ricorso posticipato ai servizi sanitari. Sembra anche che la pandemia non abbia colpito nella stessa misura le diverse comunità di stranieri, probabilmente in relazione al tipo di occupazione. Dopo la fine del lockdown, la quota percentuale di stranieri sul numero di casi totali è aumentata a partire da metà giugno, per poi diminuire a fine luglio. Nel frattempo, collegato alla ripristinata maggior mobilità dipendente sia dalla fruizione delle vacanze estive che dal rientro in Italia di stranieri, è aumentato il numero di casi importati, con una maggiore quota però riferibile agli italiani.

 

D’altra parte, l’impatto sanitario è solo l’ultimo anello di determinanti socio-economici: di seguito alcuni aspetti analizzati nel rapporto IDOS.

  • In Europa secondo Alessio D’Angelo (University of Nottingham) la pandemia “ha messo in luce tutte le criticità e le insufficienze del sistema europeo in materia di migrazioni economiche e diritti”. Provvedimenti come la chiusura dello spazio Schengen, il blocco dei voli e le restrizioni sui movimenti hanno avuto un fortissimo impatto sia su alcune economie che sugli stessi migranti coinvolti. Ma, soprattutto, è emerso che oltre il 30% degli immigrati in età lavorativa sono classificati come key worker (dato che sale sopra il 40% in Paesi come Francia e Danimarca), ovvero impiegati in servizi essenziali (sanità, assistenza, pulizie ecc.) fondamentali nel contesto della pandemia stessa.
  • In Italia, il Decreto Rilancio (decreto legge n. 34 del 19 maggio 2020) ha previsto una sanatoria per gli immigrati attivi nei settori dell’assistenza, del lavoro domestico e dell’agricoltura, lanciata dal governo per venire incontro alle esigenze di cura dei familiari e di approvvigionamento alimentare del Paese. L’analisi di Gianfranco Schiavone (Associazione studi giuridici sull’immigrazione), evidenzia che a fronte di una platea di circa 621.000 lavoratori stranieri irregolari sono state presentate “solo” 207.000 domande. Il motivo è dovuto essenzialmente all’impostazione della norma, basata principalmente sulla volontà del datore di lavoro, e all’esclusione di settori come la ristorazione, il magazzinaggio, il commercio ecc.
  • Al lavoro dei migranti nel settore agricolo (stimati in 450 mila unità) è dedicato un saggio di Marco Omizzolo (Eurispes) da cui emerge il peggioramento delle loro condizioni. Durante l’emergenza COVID si è registrato un aumento del 15-20% di lavoratori stranieri (40-45 mila persone), un peggioramento delle condizioni lavorative, un incremento dell’orario di lavoro (oscillato tra 8 e 15 ore giornaliere) e del numero (20%) di ore lavorate e non registrate, e un peggioramento della retribuzione. Nel saggio sul lavoro domestico ai tempi del coronavirus, scritto da Andrea Zini (Assindatcolf), si sottolinea come sono stati 13 mila i posti di lavoro persi in questo settore, che totalizza 850 mila lavoratori, in massima parte immigrati.

La pandemia di COVID-19 ha evidenziato il significato di “salute globale”, non solo mostrando una propagazione secondo i movimenti e le relazioni degli individui a livello globale, ma anche il profondo legame che la salute ha con le altre dimensioni, quali il lavoro, l’ambiente e l’economia.

 

Risorse utili

 

Data di creazione della pagina: 5 novembre 2020

Testo scritto da: Silvia Declich, Giulia Marchetti, Maria Elena Tosti e Maria Grazia Dente - Centro Nazionale per la Salute Globale, ISS