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Essere intervistatore a Roma e ad Avezzano: la testimonianza di una “passista”

22 luglio 2010 - Telefonate durante tutta la settimana, tentativi di sera e a volte anche nel week-end: dura la vita del passista. Ma essere intervistatori in una grande città come Roma o in un piccolo centro come Avezzano, non è la stessa cosa.

 

Diffidenza e reperibilità dei numeri di telefono

A raccontare in questo senso le differenze tra grandi centri urbani e provincia è Cleofe Gentile, intervistatrice del Passi prima alla Asl Roma C e poi presso la ex Asl di Avezzano-Sulmona (ora accorpata con quella de L’Aquila). “Sono stata intervistatrice a Roma per tre anni – racconta – e lì mi sono scontrata con tutte le difficoltà di una grande metropoli. Poi mi sono trasferita ad Avezzano, in Abruzzo, e mi sono subito accorta che nei piccoli centri il lavoro di noi passisti è molto diverso. Prima di tutto perché la gente è più disponibile e in genere più facilmente reperibile, poi perché i medici sono in grado di dare un aiuto molto importante nel recupero dei numeri di telefono dei loro assistiti. A Roma, invece, molto spesso sono i medici stessi a non avere i telefoni di tutti i propri pazienti”.

 

Trovare il momento giusto

Ma non è solo la reperibilità a fare la differenza: “Appena arrivata alla Asl di Avezzano-Sulmona – continua Cleofe Gentile – sono riuscita a fare cinque interviste in un giorno. Una cosa difficile a Roma, dove anche dopo aver contattato il titolare, trovare il momento giusto per l’intervista è molto più complicato. La gente nelle grandi città forse è più diffidente e per questo mi è capitato di dovermi dedicare a un titolare anche tre settimane o addirittura un mese. Qui in Abruzzo, invece, è molto più probabile che la gente risponda subito, con un notevole risparmio di tempo e, soprattutto, con molte meno persone da dover contattare la sera. A Roma, poi, per riuscire a portare a termine le interviste, dovevo portarmi il lavoro ovunque. Una volta persino al supermercato, mentre facevo la spesa, sono dovuta correre in macchina per fare un’intervista… Per non parlare di quando, sempre per concludere un’intervista, mi sono accordata con il titolare per chiamarlo tra il primo e il secondo tempo di una partita di calcio”.

 

La lettera

Le interviste telefoniche Passi sono preannunciate da una lettera a firma del direttore generale della Asl, in cui sono illustrate le modalità d’indagine e le finalità del sistema di sorveglianza. “A Roma – commenta la passista – per gli intervistati è assolutamente fondamentale che gli sia stata recapitata la lettera. Se non l’hanno ricevuta, infatti, è molto improbabile che rilascino l’intervista, perché sono più diffidenti e più scettici: condizioni sfavorevoli che fanno alzare il tasso di sostituzione. Non così in Abruzzo, dove le persone, che sembrano sinceramente contente di essere chiamate, percepiscono le interviste come la dimostrazione di un interesse da parte delle sistema sanitario nei confronti del loro stato di salute. Per questo accolgono l’iniziativa con gratitudine”.

 

L’interesse

Il diverso atteggiamento di chi abita in un piccolo centro si percepisce anche dall’interesse per argomenti che esulano dall’intervista in sé. “Qui la difficoltà può se mai consistere nelle continue interruzioni dell’intervista con domande che non hanno a che fare direttamente con il questionario. Per questo bisogna essere pronti a riportare gli intervistati in carreggiata e soddisfare le loro richieste solo a questionario terminato”. Ma la difficoltà è minima e dà conferma del fatto che in provincia la partecipazione è maggiore. “A Roma, invece, le interviste sono spesso vissute come qualcosa di oneroso”.

 

La privacy e lo stile di vita

Non stupisce che in una grande città agli intervistatori siano richieste molte più informazioni riguardo alla privacy e ai metodi d’indagine del sistema Passi. “La dimensione più umana dei piccoli centri favorisce notevolmente il nostro lavoro: banalmente, qui ad Avezzano e Sulmona, è facile rintracciare le persone a casa anche durante l’ora di pranzo e che siano reperibili fino alle 3 del pomeriggio. A Roma questo è molto improbabile, perché solitamente la gente è fuori casa tutto il giorno e quindi bisogna procedere per tentativi, per provare a capire che orari segue. È proprio il diverso stile di vita a condizionare il nostro lavoro”.

 

Telefono fisso e cellulare

Una della maggiori difficoltà nel portare a termine le interviste dei titolari è lo scarso aggiornamento dei dati sui numeri di telefono. “All’anagrafe non sempre i dati sono aggiornati – segnala l’intervistatrice – e da quando c’è il cellulare il telefono fisso ce l’hanno sempre meno persone, i numeri di telefono cambiano più spesso e anche i Medici di medicina generale spesso hanno in archivio solo i vecchi numeri di telefono”. Una difficoltà che, seppur comune a tutti i centri, è più forte nelle grandi città, dove il rapporto tra medico e paziente è più distaccato e saltuario.

 

Conseguenze sull’organizzazione delle interviste

“Proprio per superare le difficoltà elencate e mantenere una sufficiente cadenza di rilevazione – spiega Cleofe Gentile – nell’Asl Roma C si cercava di organizzare il lavoro con largo anticipo. Nella mia nuova realtà territoriale, invece, non c’è questa necessità. Ovviamente anche nel territorio di Avezzano e Sulmona ci sono criticità ma, più che a difficoltà intrinseche del sistema, sono legate alla difficoltà di riuscire a far coesistere, viste le risorse umane disponibili, le attività della sorveglianza con quelle di routine”.

 

L’episodio

Per capire la diversa collaborazione e partecipazione che un passista può trovare in un piccolo centro, Cleofe Gentile conclude raccontando un episodio curioso: “Stavo cercando il contatto di un ragazzo che dovevo intervistare, ma non avevo il numero giusto. La segretaria del Medico di medicina generale a cui mi ero rivolta mi ha detto che lo conosceva, perché lavorava al mercato della frutta… il giorno dopo è andata al mercato, si è fatta lasciare il numero e poi me lo ha fatto avere. E così sono riuscita a fare l’intervista”.