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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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I workshop 2014 - Coordinamento nazionale Passi (26-27 marzo 2014)

Seconda giornata: Contributo della sorveglianza Passi al Piano nazionale della prevenzione 2014-2018

 

9 aprile 2014 - La sessione è stata introdotta da Paolo D’Argenio e Stefano Campostrini (pdf 156 kb) che hanno sottolineato le peculiarità della sorveglianza per la salute pubblica e, in particolare, di quella sui rischi comportamentali.

 

La relazione di Alberto Perra (pdf 3,2 Mb, del Cnesps-Iss) è stata centrata sulla valutazione del Piano della prevenzione 2010-2012, inserito nel contesto delle strategie di contrasto alle malattie croniche non trasmissibili. Mentre in alcune Regioni il Piano è stato integrato nelle attività del sistema sanitario, in diversi casi, è stato considerato come un’attività straordinaria, con progetti a termine che andavano ad aggiungersi all’attività ordinaria, senza che fossero previste anche risorse extra. Un altro limite che è stato individuato è rappresentato dal fatto che in troppi casi le aziende sanitarie locali non hanno partecipato alla fase di pianificazione e non hanno utilizzato il Piano come una opportunità per ri-orientare l’attività di prevenzione. Il report della valutazione (pdf 839 kb) è consultabile sul sito web del Ccm.

 

Stefania Vasselli (pdf 308 kb, della Direzione generale della Prevenzione del ministero della Salute) ha illustrato le linee generali del Pnp 2014-2018, messe a punto partendo dalla valutazione delle esperienze precedenti che ha messo in evidenza le caratteristiche da conservare, come la condivisione Ministero-Regioni, l’uso dell’evidence a sostegno dell’azione, e le caratteristiche da modificare, come la progettazione verticale, la straordinarietà, lo scollamento regione-Asl, l’estemporaneità del monitoraggio. Per questo il nuovo Piano ha le caratteristiche di un piano strategico, definito come “alto”, orientato a contrastare i determinanti e i fattori di rischio delle malattie croniche perseguendo, in un periodo di tempo congruo, alcuni grandi obiettivi comuni, misurabili. Stefania Vasselli ha quindi descritto il percorso attraverso il quale è stato definito il Piano, la struttura, la costruzione del quadro logico, e il modo in cui sarà fatta la valutazione.

 

L’uso dei dati Passi a supporto del Piano della prevenzione è stato l’argomento oggetto delle relazioni della Regione Liguria (Claudio Culotta) e della Regione Veneto (Mauro Ramigni). Le relazioni erano state sollecitate con una riflessione del Gruppo Tecnico Passi.

 

Claudio Culotta (pdf 1,5 Mb, Asl 3 Genovese) ha sottolineato lo stretto legame tra le attività di conoscenza dei problemi di salute e quelle di programmazione, realizzazione e valutazione di interventi di promozione della salute. Nella Asl 3 Genovese, questo legame è garantito anche dal fatto che gli operatori delle sorveglianze - in virtù della loro competenza nel metodo del Project Cycle Management - hanno partecipato direttamente alla fase di programmazione e alla progettazione degli interventi, assumendo un ruolo di coordinamento nella realizzazione del Piano aziendale di prevenzione. Con un’intensa attività di coinvolgimento degli stakeholder, la Asl si è fatta promotrice di un processo di “costruzione sociale della salute”, che responsabilizza diversi soggetti della comunità. In questo processo, i dati epidemiologici - compresi quelli prodotti dalla sorveglianza - hanno un grande ruolo per promuovere il cambiamento delle conoscenze (Know), delle convinzioni (Value) e dei comportamenti (Do) dei membri della comunità.

 

Mauro Ramigni (pdf 5, 9 Mb, Azienda Ulss 9 Treviso) ha spiegato come, nella Ulls di Treviso, la sorveglianza ha funzionato come motore di programmi per la promozione della salute. A un primo livello, con il report Passi, la sorveglianza consente, con i dati di popolazione, di costruire degli scenari previsionali a lungo termine (cosa accadrebbe se ….). Questo lavoro ha supportato l’individuazione di priorità e la costruzione di obiettivi, passando a un livello più vicino all’azione, con la progettazione di lasciamo il segno, la rete trevigiana per l’attività fisica, in collaborazione con tutti i soggetti che, nei diversi settori, contribuiscono direttamente o indirettamente a promuovere l’attività fisica nel territorio.

 

Tanto Claudio Culotta quanto Mauro Ramigni hanno sottolineato l’importanza che i professionisti della salute pubblica associno alle competenze nella sorveglianza, anche altre abilità e competenze indispensabili per fare promozione della salute. A questo proposito consulta il documento sulle Competenze di base per la promozione della salute (pdf 55 kb, tratto da: CompHP-Professional Standards for Health Promotion Handbook. International Union for Health Promotion, 2012).

 

La tavola rotonda

La tavola rotonda è stata moderata da Stefano Campostrini e vi hanno preso parte rappresentanti del Ministero, delle Regioni e delle sorveglianze. In particolare: Alba Carola Caroli Finarelli (Regione Emilia-Romagna), Maria Donata Giaimo (Regione Umbria), Antonio Federici e Daniela Galeone del Ministero della Salute, Paola Nardone (del Cnesps coordinamento OKkio alla Salute), Alebrto Perra (del Cnesps coordinamento Passi d’Argento). Le conclusioni sono state fatte da Stefania Salmaso, direttore del Cnesps.

 

Stefano Campostrini ha cominciato col chiedere quale è il ruolo delle sorveglianze nella produzione e nella attuazione dei piani della prevenzione.

 

Alba Carola Finarelli ha raccontato che la Regione Emilia-Romagna ha creduto nella sorveglianza come una risorsa e ha operato per costruire una rete molto forte nei dipartimenti di sanità pubblica che producesse sistematicamente report, predisposti per essere facilmente fruibili, che consentissero al pianificatore di utilizzare i dati in ogni documento di programmazione rilevante, dai bilanci di missione ai profili di salute fino ai piani regionali anche di aree non sanitarie, come il recente piano sulle pari opportunità di genere. In questo senso si potrebbe affermare che il primo stakeholder della sorveglianza è la Regione. Anche l’Umbria ha operato in tal senso, ha osservato Maria Donata Giaimo, ottenendo un miglioramento di quella che si potrebbe chiamare “cultura del dato”, cioè a dire un uso sistematico dei dati per definire obiettivi e per valutare servizi e programmi. Quando il pianificatore regionale comincia a usare i dati in modo sistematico, allora diventa capace di identificare i bisogni informativi, cioè a dire: i dati che gli mancano, a richiederli e a operare per poterli ottenere. Il terzo passaggio, la cosa ancora più interessante, si osserva quando il pianificatore stabilisce le connessioni, come è successo in Umbria all’interno del programma di contrasto all’obesità infantile in cui nei bilanci di salute dei pediatri di libera scelta sono stati inseriti alcuni items della sorveglianza OKkio alla Salute, in modo da poter effettuare confronti utili per la valutazione. Si potrebbe dire che l’incontro tra sorveglianza e pianificazione regionale favorisce l’evoluzione di entrambe le attività.

 

Antonio Federici ha introdotto alcuni spunti problematici evidenziando sfide importanti sia per la sorveglianza che per il Piano della prevenzione. Nel caso della sorveglianza, è necessario passare dalla produzione di dati che consentono di descrivere singoli aspetti dello stato di salute della popolazione o relativi ai servizi (conoscenza), alla comprensione dei problemi e all’individuazione di soluzioni efficaci (intelligenza). Per questo passaggio è necessario evitare che si alzino recinti attorno a ciascun sistema informativo e che invece si punti all’integrazione delle diverse fonti che consentono di illuminare vari aspetti di uno stesso problema di salute. Come esempio ha portato la lettura dei dati di servizio dell’Osservatorio nazionale screening, integrata alla lettura dei dati Passi sugli screening, che ha consentito appunto di guardare una parte nascosta della prevenzione oncologica in Italia, quella rappresentata dalla cosiddetta offerta spontanea.

 

Nel caso del Piano, la sfida è quella di indirizzare davvero il sistema sanitario verso la prevenzione in Italia. Sembra infatti che, fino ad ora, il Piano non si sia mostrato capace di orientare tutto il sistema verso la prevenzione, né di ri-orientare i servizi di prevenzione verso i problemi prioritari e gli interventi efficaci. Una causa di questa parziale irrilevanza potrebbe essere ricercata nei meccanismi di finanziamento.

Daniela Galeone ha rilevato che le cose sono molto cambiate, per il pianificatore centrale, nell’ultimo decennio, dal momento che ha cominciato a disporre di dati che via via sono diventati per lui più importanti. Tra i vari sistemi informativi, le sorveglianze vengono sempre più riconosciute come fonti di dati utili, anche al di fuori del sistema sanitario. Un altro passo in avanti è rappresentato dall’evoluzione del Piano che all’inizio era paragonabile quasi a un profilo di salute, una specie di “piano di carta”. Quello che abbiamo sentito oggi, con le esperienze di Genova e Treviso ci conforta lasciando intravedere una via verso il successo del Piano 2014-2018. Certamente bisogna però estendere le buone pratiche.

 

Paola Nardone ha illustrato brevemente l’esperienza di OKkio alla Salute evidenziando che oltre a fornire informazioni affidabili su problemi di salute prioritari, la sorveglianza ha costruito un network di servizi e operatori, articolato funzionalmente tra livello centrale e livelli regionale e locale, che oggi ha l’ambizione di trasformare con maggiore incisività la conoscenza in pratica per la salute pubblica.

 

Per Alberto Perra, nel nuovo Piano, ci sono diverse novità, oltre a quelle già evidenziate da Stefania Vasselli. In primo luogo i bisogni conoscitivi, espressi da Ministero e Regioni, sono parte integrante del Piano e, alla fine del primo biennio, le Regioni esprimeranno in maniera condivisa il bisogno di informazioni in base ai quali aggiornare i sistemi di sorveglianza. In secondo luogo, la sorveglianza viene riconosciuta come uno strumento della governance e, come tale, le Regioni la faranno propria in misura maggiore rispetto al presente. Oggi, ancora molte Regioni non padroneggiano la sorveglianza, tendono a condurla passivamente e non la vedono come una loro importante risorsa. Di pari passo, un altro limite è che spesso il dipartimento non rappresenta una casa accogliente per la sorveglianza e, all’interno della organizzazione della Asl, non sempre è chiaro quale servizio se ne debba far carico.

 

Ma, quali condizioni bisognerebbe garantire per rendere la sorveglianza più funzionale alla programmazione?

Nel 2005 il Piano fu soprattutto una discussione tra Ministero e Regioni e un’attività programmatoria, non sistematizzata, con qualche esperienza pratica. Il secondo Piano ha avuto una diffusione molto maggiore e, anche se aveva il limite di essere “a canne d’organo” con troppi obiettivi, il processo di programmazione fu molto più curato. Questa volta abbiamo l’esperienza giusta, ma c’è bisogno della partecipazione del Governo centrale su alcuni aspetti, come quello del rapporto con il mondo della scuola.

 

Dal punto di vista delle Regioni, molte di esse hanno costruito strumenti di coordinamento (ad esempio, i gruppi di monitoraggio) e leve (come ad esempio gli obiettivi per i direttori generali). Tutti strumenti che servono a passare dal Piano regionale alla pratica nella Asl. Ma le Regioni sono molto diverse l’una dall’altra, sia per quanto riguarda l’impegno (anche finanziario) nella prevenzione, sia per la capacità di governo. C’è anche una differenza nella attiva partecipazione al processo di definizione del Piano e, di conseguenza, nella prontezza a recepire le sue indicazioni. Infine per quanto riguarda i dipartimenti di prevenzione bisogna dire che anche se a volte possono sembrare inospitali per sorveglianza e prevenzione, si tratta delle uniche strutture totalmente dedicate alla sanità pubblica del nostro sistema sanitario.

 

Opportunità

D’altra parte bisogna tener conto che i contesti cambiano velocemente creando nuovi problemi ma anche nuove opportunità. Ad esempio, siamo sempre più in un contesto europeo, e dovremmo lavorare per confronti internazionali, come attualmente fa il programma Health Behaviors in School-aged Children (Hbsc). Tuttavia Hbsc è un programma progettato fin dall’inizio dall’Oms come una survey internazionale. Più difficile è fare in modo che si affermino in Europa programmi nati in contesto nazionale (come le sorveglianze), sia per una insufficiente presenza sulla letteratura internazionale essenzialmente anglofona, sia per la competizione di portatori d’interesse come è il caso del programma europeo per l’invecchiamento attivo che non considera la sorveglianza come strumento imprescindibile per il monitoraggio. Oggi, inoltre, si sta ampliando il fronte dei gruppi di interesse per le informazioni prodotte dalla sorveglianza e, in genere, dalla ricerca. Ad esempio, nel programma Horizon 2020 al quale sono allocati oltre 70 miliardi di euro, da qui al 2020, si richiede alla ricerca di allargare la collaborazione anche alla piccola imprenditoria e al suo sviluppo per migliorare la salute degli europei.

 

Un’altra opportunità è quella della contaminazione con altri sistemi informativi. Ad esempio in Emilia-Romagna si sta lavorando sulle cartelle cliniche integrate per includere domande relative ai comportamenti a rischio per la salute simili a quelle presenti in Passi.

 

Rischi

A volte si è dato per scontato che i programmi, una volta avviati, vadano avanti da soli, ma è necessaria un’attenta manutenzione. Il livello centrale ha le sue difficoltà, ad esempio nel regolare i meccanismi di finanziamento e nell’incisività dell’azione di consolidamento della sorveglianza, per via del rispetto del principio dell’autonomia regionale.

 

Conclusioni

Stefania Salmaso ha tracciato le conclusioni terminando con alcuni auspici:

  • la costruzione del Piano 2014-2018 è stata molto partecipata da parte delle Regioni e ciò dovrebbe implicare che c’è la disponibilità, da parte dei governi regionali, a rinunciare ad alcuni gradi di libertà
  • il Cnesps coordina Passi da 10 anni e OKkio alla Salute e Passi d’Argento da poco meno tempo. Sono esperienze di successo garantito dal lavoro di servizi ed operatori locali, ma ancora di più dalla partecipazione della popolazione. Avremmo bisogno di un’occasione per ringraziare simbolicamente e pubblicamente i cittadini
  • abbiamo organizzato due Conferenze (Napoli 2009 e Venezia 2012). Forse è giunto il momento per lanciare una terza conferenza nazionale. Il tema potrebbe essere: “la costruzione sociale della salute”.

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