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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Lo stato di salute mentale degli anziani in un mondo che invecchia

«Old age is not for the fainthearted». Questa frase, ripresa da un interessante editoriale di qualche anno fa di Alan Gelenberg, ironizzava sulla vecchiaia sottolineando che l’avanzare dell’età non è una fase della vita “per gente facilmente impressionabile” [1]. In effetti, generalmente, l’invecchiamento porta con sé la più elevata concentrazione di problematiche di salute dell’intero ciclo della vita, accompagnate da un deterioramento delle capacità cognitive e funzionali e da disabilità (spesso progressive) nelle attività di vita quotidiana. Di pari impatto è la conseguente esclusione sociale, il carico di sofferenza fisica e psichica, le separazioni legate alla scomparsa dei propri cari: tutti fattori che favoriscono l’instaurarsi di una serie di ferite psicologiche e condizioni patologiche non sempre facili da affrontare. Molti degli eventi che accompagnano l’età avanzata possono alterare la qualità di vita ma soprattutto possono compromettere lo stato di salute mentale, innescando a volte la comparsa di sintomi neurologici o psichici tra cui non infrequenti sono gli episodi depressivi.

 

È a tutti noto che la doppia transizione avviatasi nel corso degli ultimi decenni, e tuttora in corso, è caratterizzata da un lato dalla modificazione demografica attribuibile dall’aumentata aspettativa di vita, dall’altra da una transizione epidemiologica nelle patologie prevalenti: da una situazione in cui erano prevalenti le malattie infettive e carenziali, si è passati a una preponderanza di quelle cronico-degenerative. Il maggior carico di malattia globale (global burden of disease) è oggi ampiamente attribuibile alle patologie cardio e cerebrovascolari, e ai disturbi neuropsichiatrici, tra cui la depressione, la malattia di Alzheimer e le altre forme di demenza [2]. Concettualmente, lo stato di salute degli anziani non è più identificato unicamente dalla ridotta presenza di malattia (Healthy Aging) ma anche e soprattutto dal mantenimento del benessere psico-fisico e relazionale (Active Aging), pur in presenza di polipatologie.

 

L’Oms ha affrontato recentemente il tema della salute mentale adottando a gennaio 2012 la Risoluzione “Global burden of mental disorders and the need for a comprehensive, coordinated response from health and social sectors at the country level” (pdf 21 kb). Il documento prende in considerazione vari aspetti dei disturbi mentali, ponendo l’accento, tra l’altro, sui disturbi neuropsichiatrici tra cui la malattia di Alzheimer, che viene riconosciuta come “importante causa di morbidità” con un pesante contributo al carico di malattia attribuibile alle patologie non-trasmissibili. La Risoluzione evidenzia anche come i disturbi mentali siano spesso associati a patologie croniche e ad altri fattori sanitari e sociali, quali la povertà, l’abuso di sostanze stupefacenti e il consumo dannoso di alcol, ecc.

 

Attività specifiche di ricerca e prevenzione

Le attività di ricerca, sia a livello internazionale che nazionale, sono ormai finalizzate ad acquisire una visione d’insieme dei meccanismi e dei processi che portano all’instaurarsi di particolari condizioni patologiche età-correlate meglio identificabili attraverso l’individuazione puntuale dei fattori (non solo sanitari, ma anche di carattere assistenziale, sociale, psicologico, economico e comportamentale e ambientale) che favoriscono o ostacolano l’invecchiamento attivo e in buona salute. In Italia, il reparto Salute della popolazione e suoi determinanti del Cnesps-Iss, all’interno della rete internazionale Garn (Global Ageing Research Network) e della rete europea specifica Era-Net, conduce attività in materia di invecchiamento, inteso come processo multi-fattoriale che investe l’intero arco della vita.

 

Nell’ambito del progetto Ilsa - Italian Longitudinal Study on Aging (oltre 5000 soggetti seguiti per 10 anni al fine di fornire un quadro completo dell’evolversi dello stato di salute e di malattia in una coorte di anziani italiani) è stato preso in esame anche il legame tra variazioni nella gravità dei sintomi depressivi e mortalità [3]. La prevalenza di sindrome depressiva è pari a circa il 12% negli ultra65enni europei, con livelli più alti nelle donne e nei Paesi mediterranei. In Italia, come confermato dallo studio Ilsa, colpisce circa il 30% degli uomini e il 50% delle donne. Analizzando i livelli di gravità dei sintomi depressivi registrati nel corso del tempo nella coorte Ilsa, lo studio ha confermato che la gravità dei sintomi depressivi è significativamente associata a un incremento della mortalità (pari a circa il 40%), con un rischio sostanzialmente raddoppiato negli anziani con sintomi gravi. Ma il risultato più innovativo dello studio consiste nell’aver evidenziato non solo gli effetti negativi della persistenza e del peggioramento dei sintomi depressivi sulla mortalità degli anziani, ma anche i benefici della remissione totale o parziale, avendo osservato che un miglioramento totale o parziale dei sintomi porta a un’analoga riduzione del rischio proporzionale di morte (circa il 40%), rispetto ai soggetti con stabilità dei sintomi. L’aver dimostrato la reversibilità dell’associazione depressione-mortalità sembra rafforzare l’ipotesi di una reale relazione causa-effetto, sebbene l’esatto meccanismo che regola la relazione sia ancora una questione da approfondire. Si ipotizza che il calo motivazionale legato all’umore depresso potrebbe influenzare stili di vita non salutari, inattività fisica, mancato rispetto delle prescrizioni terapeutiche, isolamento sociale e relazionale, condizioni che, a loro volta, potrebbero portare a un deterioramento del sistema neuroendocrino e immunitario, con una riduzione delle funzioni fisiche e cognitive [4]. In ogni caso, la relazione tra gli innumerevoli fattori di rischio comportamentali, biologici e funzionali coinvolti nell’associazione depressione-mortalità appare bidirezionale [5]. Tuttavia, poiché la sintomatologia depressiva nell’anziano non è una condizione irreversibile ed è caratterizzata da un andamento fluttuante, è evidente che, in una prospettiva di salute pubblica, molteplici possono essere le implicazioni future delle associazioni osservate, suggerendo l’opportunità di potenziare le misure preventive, diagnostiche e terapeutiche da destinare al miglioramento di una condizione così diffusa tra gli anziani, eppure così spesso sottovalutata, in cui ampi appaiono i margini di intervento.

 

Il tema degli anziani e del deficit cognitivo è stato affrontato dal progetto Iprea - Italian PRoject on the Epidemiology of Alzheimer’s Disease [6], primo studio epidemiologico prospettico italiano su popolazione generale (e non su pazienti) condotto in 12 Regioni e mirato allo studio della fase preclinica della demenza. La demenza costituisce una delle principali cause di disabilità nei Paesi industrializzati e non colpisce solo le persone che ne sono affette, ma modifica radicalmente anche la vita dei familiari. È evidente quindi l’urgenza di riconoscere che la diagnosi precoce di demenza e l'individuazione di criteri diagnostici volti a discriminare la fase di transizione tra disturbo cognitivo, caratterizzato da ridotta disabilità, e demenza conclamata, altamente e progressivamente disabilitante, costituiscono uno degli imperativi nel contesto dell’invecchiamento progressivo della popolazione. Iprea è tra gli studi epidemiologici longitudinali europei con il maggior numero di soggetti (campione di 4785 soggetti) valutati con un’estesa batteria neuropsicologica, un esame neurologico approfondito, l’adozione di criteri clinico-diagnostici standardizzati tra i più accreditati nel panorama scientifico, l’esecuzione di neuroimaging e la costituzione di una banca biologica in sottocampioni di partecipanti. Dai dati Iprea risulta che la prevalenza del deterioramento cognitivo in assenza di demenza oscilla tra il 28,0% e il 45,0% della popolazione di età compresa tra i 65 e gli 84 anni, ossia dai 2,5 ai 4 milioni di anziani italiani non dementi sarebbero affetti da deficit cognitivo di diverso grado in almeno uno dei cinque domini esaminati. Sebbene la progressione a demenza nei soggetti con deficit cognitivo avvenga solo in alcuni casi, il tasso di progressione a demenza conclamata osservata nell’arco dei 3 anni successivi alla diagnosi varia dal 29% al 47% [7]. Di conseguenza si può stimare che una quota compresa tra un terzo e circa la metà dei soggetti con deterioramento cognitivo sarebbe a rischio di sviluppare una forma di demenza, tra cui l’Alzheimer, nei 3 anni successivi. Le evidenze epidemiologiche dello studio Iprea forniscono un prezioso contributo alla conoscenza dell’impatto del deficit cognitivo nell’anziano e suggeriscono indicazioni utili per la pianificazione di servizi sanitari e sociali adeguati, sollecitando la necessità di integrare interventi di diagnosi precoce, riabilitazione e trattamento volti a fronteggiare e rallentare la compromissione cognitiva, al fine di favorire il mantenimento dell’autonomia funzionale e delle capacità residue, riducendo così il carico di disabilità e il peso assistenziale.

 

Gli anziani tendono a mantenere i consumi alcolici che hanno avuto nel corso della loro vita adulta, ma le modificazione biologiche associate all’età e l’interazione con l’elevato consumo di farmaci li espongono a maggiori rischi per la salute. Inoltre, i segni del consumo dannoso di alcol negli anziani (come depressione, insonnia, denutrizione, scompenso cardiaco congestizio e cadute frequenti) sono spesso ignorati o erroneamente interpretati come condizioni fisiologiche tipiche dell’invecchiamento. Ciononostante, sono poche le revisioni sistematiche che documentano le reali dimensioni del consumo di alcol negli anziani o che forniscono la base di evidenza per adeguati interventi e misure politico-sanitarie [8]. Il progetto europeo Vintage – Good Health in to older Age [9-11] coordinato dall’Osservatorio nazionale alcol del Cnesps  su finanziamento della Commissione europea, ha contribuito a colmare le lacune sull’impatto sociale e sanitario associato al consumo dannoso di alcol negli anziani, attraverso: la revisione sistematica della letteratura scientifica sull’argomento, la raccolta di esempi di buone pratiche a livello europeo, la diffusione dei risultati (raccolti in rapporti e database liberamente scaricabili e accessibili dal sito web del progetto) a una mailing list di oltre 700 stakeholder. I risultati della revisione sistematica Vintage confermano la scarsità di dati scientifici esaurienti e armonizzati su alcol e anziani e la necessità di ricerche mirate. Tuttavia, nonostante la scarsità di evidenze, sembra che gli anziani rispondano altrettanto bene degli adulti alle politiche sull’alcol, agli strumenti di screening e all’intervento breve. L’indagine Vintage sulle buone pratiche conferma invece che, nonostante un crescente interesse, il consumo di alcol tra gli anziani non è ancora percepito come obiettivo prioritario di prevenzione, visto che soltanto alcuni degli esempi di intervento raccolti erano integrati in strategie durature e sottoposti a opportune valutazioni di efficacia. I risultati dello studio sono stati accolti positivamente dagli stakeholder, che li hanno ritenuti utili e originali, mostrando interesse a inserire nella loro attività alcuni degli elementi emersi dai report. Vintage è stato incluso tra i progetti di eccellenza, in tema di salute mentale e benessere dell’anziano, selezionati per la conferenza tematica “Mental Health and Well-being in Older People - Making it Happen” (Madrid 19-20 aprile 2010), promossa dalla Commissione europea nel semestre di presidenza spagnola (leggi: Fact sheets from European projects related to mental health and well-being in older people, pdf 2,3 Mb, e Background document and key messages, pdf 1,9 Mb).

 

Le implicazioni di salute pubblica derivanti dai risultati dei progetti di ricerca condotti sono numerose e tutte connesse alla possibilità di trarre vantaggio dalle migliori conoscenze derivate dalle esperienze specifiche e dalla opportunità di traslare in maniera consequenziale le valutazioni di merito che possono orientare il processo di policy making attraverso l’uso di evidenze scientifiche che consentono di sostenere e rafforzare un approccio di prevenzione sempre più efficace nell’interesse principale di giovare agli anziani e alla società.

 

Risorse utili

Riferimenti

  1. Gelenberg A. Depression is still underrecognized and undertreated.  Arch Intern Med 1999;159:1657-8 ( http://archinte.jamanetwork.com/...)
  2. Lopez AD, Mathers CD, Ezzati M, Jamison DT, Murray CJL, editors. Global Burden of Disease and Risk Factors. Washington (DC): World Bank; 2006 (http://www.givewell.org/...)
  3. Scafato E, Galluzzo L, Ghirini S, et al. Changes in severity of depressive symptoms and mortality: the Italian Longitudinal Study on Aging. Psychol Med 2012 Apr 11:1-11. [Epub ahead of print] doi:10.1017/S0033291712000645 (http://journals.cambridge.org/action/displayAbstract?fromPage=online&aid=8533739)
  4. Schulz R, Beach SR, Ives DG, Martire LM, Ariyo AA, Kop WJ. Association between depression and mortality in older adults: the Cardiovascular Health Study. Arch Intern Med 2000; 160:1761-8 (http://archinte.jamanetwork.com/article.aspx?articleid=485372)
  5. Schoevers RA, Geerlings MI, Deeg DJ, Holwerda TJ, Jonker C, Beekman AT. Depression and excess mortality: evidence for a dose response relation in community living elderly. Int J Geriatr Psychiatry 2009;24:169-76 (http://onlinelibrary.wiley.com/...)
  6. Scafato E, Gandin C, Galluzzo L, et al. Prevalence of aging-associated cognitive decline in an Italian elderly population: results from cross-sectional phase of Italian PRoject on Epidemiology of Alzheimer’s disease (IPREA). Aging Clin Exp Res 2010;22:440-9 (http://www.kurtis.it/aging/en/abstract.cfm/6970)
  7. Panza F, D’Introno A, Colacicco AM, et al. Current epidemiology of mild cognitive impairment and other predementia syndromes. Am J Geriatr Psychiatry 2005;13:633-44 (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16085779)
  8. Scafato E. Alcohol and the elderly: the time to act is now! Eur J Public Health 2010;20:617-8 (http://eurpub.oxfordjournals.org/content/20/6/617.long)
  9. Galluzzo L, Scafato E, Martire S, et al. Alcohol and older people. The European project VINTAGE: Good Health into Older Age. Design, methods and major results. Ann Ist Super Sanita 2012;48:221-31 (http://www.iss.it/publ/anna/2012/3/483221.pdf)
  10. Anderson P, Scafato E, Galluzzo L. Alcohol and older people from a public health perspective. Ann Ist Super Sanita 2012;48:232-47 (http://www.iss.it/publ/anna/2012/3/483232.pdf)
  11. Palacio-Vieira J, Segura L, Gual A, et al. Good practices for the prevention of alcohol harmful use amongst the elderly in Europe, the VINTAGE project. Ann Ist Super Sanita 2012;48:248-55 (http://www.iss.it/publ/anna/2012/3/483248.pdf)

 

Data di creazione della pagina: 18 ottobre 2012

Revisione a cura di: Emanuele Scafato e Lucia Galluzzo - reparto Salute della popolazione e suoi determinanti, Cnesps- Iss