Il ruolo dell’epidemiologia nella crisi globale
7 novembre 2013 - Si è aperto lo scorso 4 novembre il Congresso annuale dell’Associazione italiana di epidemiologia (Aie). “Dentro la crisi. Oltre la crisi” è il filo conduttore che gli epidemiologi hanno scelto per riflettere su come l’epidemiologia possa essere d’aiuto, non solo per leggere la crisi ma, soprattutto, per proporre vie di uscita.
Quello che stiamo vivendo è un momento storico, di cui Rodolfo Saracci, dell’Istituto di Fisiologia Clinica del Cnr di Pisa e membro dello Iarc, ha cercato di ricostruire l’evoluzione indicandone alcune delle cause. Una su tutte, l’avvento e il consolidamento del neoliberismo. E, quindi, del primato dell’economia sulla politica.
È questa la premessa indispensabile per comprendere la crisi in cui si dibatte anche il sistema salute. Un sistema che in Italia, più di 35 anni fa, era stato concepito come universalistico e in grado di fornire a ogni cittadino il diritto alla salute. E che proprio dall’economicismo è posto sotto attacco.
Come ha ricordato Gavino Maciocco, del dipartimento di Sanità pubblica dell’Università di Firenze, è l’ideologia del primato dell’economia, che assume le linee guida della riduzione del debito, della riduzione della spesa pubblica, delle liberalizzazioni, che fa sì che oggi sia incontestabile il mantra dell’insostenibilità dei servizi sanitari pubblici universalistici.
Nei fatti è già in atto ovunque un silente processo di indebolimento dei servizi sanitari che ricalca sempre la stessa strategia finalizzata ad attirare il meno possibile l'attenzione: il primo passo è far percepire come naturale il fatto che esistano gruppi che non meritano l'assistenza; il secondo è creare un sistema in cui la fascia ricca della popolazione riceva scarsi benefici rispetto all'entità delle imposte pagate; il terzo è ridurre il potere delle organizzazioni sindacali.
È in tal modo che si apre la strada a organizzazioni sanitarie alternative che possono concorrere alla spartizione della grande torta della spesa sanitaria pubblica, che in Italia ammonta a circa 111 miliardi di euro.
Che fare allora per scongiurare il rischio che «il grande bene che abbiamo ricevuto in dono dalle generazioni precedenti – il nostro servizio sanitario – possa essere trasmesso ai nostri figli?», si è chiesta Nerina Dirindin, del dipartimento di Scienze Economico-Sociali e Mattematico-Statistiche dell’Università degli Studi di Torino.
Il primato dell’economia ha fatto il paio con la mercatizzazione dei rapporti sociali, con l’aumento delle diseguaglianze, con la creazione di un “sistema” che non permette di pensare a possibili alternative. Se in questo milieu si aggiungono fattori culturali come il risorgere di attitudini pre-politiche (tu solo sei responsabile della salute della tua anima e del tuo corpo) e il “familismo amorale” si comprende il perché l’Italia stia pagando uno scotto maggiore di altri Paesi.
È lapalissiano che il sistema non possa rimanere inalterato. La sfida sarà mutarlo, ma salvaguardando i principi che lo ispirano. Senza cedere alla tentazione che la crisi economica sia un pretesto per smantellarlo.
Non si tratta di un’operazione facile giacché non è sufficiente l’imposizione di un taglio lineare dei costi. Ciò che occorre è una certosina attività di revisione dei servizi erogati che sappia scegliere quelli che a ragione, secondo una logica di efficacia e utilità, possono e devono essere erogati dal Servizio sanitario nazionale.
E in quest’opera può tornare utile l’epidemiologia, che può fungere da vero faro per indicare la direzione delle scelte e da setaccio per operarle nella maniera più efficace ed efficiente.
Il congresso Aie è stata una lunga carrellata di esempi di come e dove si possa intervenire. Dall’analisi dei consumi di risorse sanitarie ai sistemi di sorveglianza quale strumento per rilevare le caratteristiche del sistema e intervenire puntualmente dove necessario; dalle infinite vie dell’appropriatezza alla trasparenza; dall’indagine sui determinanti dei costi – non ultimo la creazione surrettizia di domanda di salute promossa dagli attori economici, fino ad arrivare alla frontiera dell’epigenetica, tutt’altro che estranea al discorso sulla crisi, poiché da determinanti ambientali (non solo i tradizionali stili di vita, ma anche lo status socio-economico, per fare un esempio) possono insorgere i cambiamenti epigenetici responsabili di malattie. E quindi di costi.
Le strade per un’uscita dalla crisi che preservi i principi del servizio sanitario nazionale, insomma, non mancano. Purché le si voglia perseguire.