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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Salute materna e neonatale: progressi raggiunti e strategie di intervento

Tra il 1980 e il 2008, nei 181 Paesi appartenenti all’Onu, il numero di donne che ogni anno muore per complicazioni legate alla gravidanza è sceso di oltre il 35%. Nonostante questi progressi, a livello globale c’è ancora molto da fare per migliorare la salute delle donne e dei neonati.

 

Su questo tema, la rivista The Lancet ha presentato uno studio, condotto dall’Institute for health metrics and evaluation (Ihme) dell’Università di Washington, relativo all’andamento del tasso di mortalità per complicazioni legate alla gravidanza negli ultimi trent’anni nei Paesi aderenti all’Onu, mentre l’Oms ha pubblicato un rapporto ispirato ai principi di “Making pregnancy safer”, l’iniziativa che intende migliorare la salute delle madri nel mondo, attraverso il sostegno ai Paesi per garantire un'assistenza qualificata prima, durante e dopo la gravidanza e durante il parto e il rafforzamento dei sistemi sanitari nazionali.

 

La salute delle madri nei Paesi dell’Onu

Condotto per valutare i progressi relativi al quinto obiettivo di sviluppo del millennio, lo studio “Maternal mortality for 181 countries, 1980—2008: a systematic analysis of progress towards Millennium Development Goal 5” ha esaminato i dati relativi ai 181 Paesi membri dell’Onu che si sono impegnati a ridurre la mortalità neonatale e materna in maniera significativa entro il 2015.

 

Secondo quanto riporta l’indagine pubblicata su The Lancet, in poco meno di trenta anni (1980-2008), nei Paesi Onu, il numero di donne che ogni anno muore per complicazioni legate alla gravidanza è diminuito da più di 500 mila a circa 343 mila, con un tasso annuo di circa 1,4% dal 1990. Contrariamente a quanto emerso da precedenti rapporti, che avevano evidenziato minimi cambiamenti nel tasso di mortalità materna (Mmr), il numero di donne decedute ogni 100.000 nati vivi risulta sceso da 422 nel 1980 a 320 nel 1990. Nel 2008 ha raggiunto quota 251 e ci si attende che diminuisca ancora.

 

Questi passi avanti si devono in modo significativo a quattro fattori:

  • la diminuzione del tasso di fecondità totale da 3,70 nel 1980 a 2,56 nel 2008. Nonostante sia aumentato il numero delle donne in età riproduttiva, la diminuzione del tasso di fecondità totale ha mantenuto stabile la dimensione della coorte di nascite globali
  • l’aumento del reddito pro-capite in Regioni come l’Asia e l’America Latina, che ha migliorato la condizione della donna relativamente a nutrizione e accesso alle cure mediche
  • l’aumento del livello di istruzione delle donne. Ad esempio, nell’Africa subsahariana la media degli anni di scolarità delle donne di età compresa tra 25 e 44 anni è passata da 1,5 nel 1980 a 4,4 nel 2008
  • l’aumento del numero dei parti assistiti da personale esperto.

Per contro, in alcuni Paesi come quelli dell’Africa subsahariana, la diminuzione della mortalità materna è stata ostacolata dall’alto numero di donne infette dal virus Hiv. Secondo lo studio dell’Ihme, circa una morte su cinque è correlabile al virus dell’Hiv e i Paesi in cui il virus è diffuso incontrano maggiori difficoltà nel migliorare i dati sulla mortalità materna.

 

I dati sulla mortalità materna

Lo studio pubblicato su The Lancet mostra che circa l’80% delle morti materne si concentra in 21 Paesi, e che la metà dei decessi totali si verifica in 6 Stati. Con meno di 4 decessi ogni 100 mila nati vivi (nel 1980 il dato era di 7 morti ogni 100 nati vivi), l’Italia è il Paese dove il tasso di mortalità materna è il più basso al mondo (-3,6% rispetto al 1980), seguita da Svizzera (-1,7%) e Lussemburgo (-1,8%). Tra i Paesi in cui la mortalità è maggiormente diminuita durante l’intervallo di tempo vi sono: Egitto (-8,4%), Romania (-7%), Bangladesh (-4,2%), India (-4%) e Cina (-4,3%).

 

Al contrario, in otto Paesi il tasso di mortalità materna è aumentato: tra questi, gli Stati Uniti, in cui i decessi delle madri sono aumentati passando da 12 a 17 ogni 100 mila nati vivi (con un incremento del 2%), il Canada (+0,9%), la Norvegia (+0,6%), l’Afghanistan (+1,2%) e lo Zimbabwe (+5,5%).

 

È importante, tuttavia, sottolineare che occorre molta cautela nel confrontare i dati di mortalità materna perché i sistemi di rilevazione nei diversi Paesi non sono analoghi e sono state evidenziate sottostime variabili dal 10 al 60% nei rapporti di mortalità materna rilevati attraverso i flussi correnti. L’apparente aumento del rapporto di mortalità in Usa, Canada e Norvegia è parzialmente riconducibile all’adozione dell’ultima versione (ICD10) della classificazione internazionale delle malattie che rileva oltre alle morti precoci anche quelle tardive (tra 42 e 365 giorni dall’esito della gravidanza).

 

Anche il dato italiano, a causa della rilevazione attraverso il flusso informativo corrente delle schede di morte Istat, sottostima il reale rapporto di mortalità materna. A questo proposito l’Istituto superiore di sanità, in collaborazione con 7 Regioni (P.A. di Trento, Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Campania e Sicilia) ha concluso uno studio multicentrico, finanziato dal ministero della Salute che, attraverso studi di record linkage tra le schede di morte e le schede di dimissione ospedaliere (Sdo), ha permesso di rilevare tutti i casi di morte materna, di analizzarne le principali cause associate e di calcolare il tasso di mortalità materna nelle Regioni partecipanti. I risultati del progetto sono stati presentati il 25 maggio 2010 nel convegno “Mortalità e morbosità materna in Italia: stato dell’arte e prospettive di miglioramento della rilevazione”. Scarica il programma (pdf 52 kb) e leggi l’approfondimento a cura di EpiCentro.

 

Costruire un ambiente favorevole intorno alla donna

Ogni anno, nel mondo, 210 milioni di donne iniziano una gravidanza. Di queste, 30 milioni hanno delle complicazioni e 515 mila muoiono. Le gravidanze che giungono fino al momento del parto non hanno sempre un buon esito: 3 milioni di bambini nascono senza vita, un numero uguale di neonati muore durante la prima settimana di vita, e milioni di bambini vengono alla luce con delle disabilità.

 

Per migliorare la salute materna e neonatale, nel 2000, l’Oms ha lanciato l’iniziativa “Making pregnancy safer (Mps)”, che si propone di ridurre la mortalità e la morbilità materna e neonatale, contribuire al miglioramento delle cure fornite alle donne incinte, e aumentare il numero di donne e bambini che usufruiscono di servizi e personale qualificati durante la gravidanza, il parto e il puerperio.

 

In questa logica, ha particolare importanza il coinvolgimento degli uomini, delle famiglie e della comunità di appartenenza. Basato su un approccio di promozione della salute, come indicato nella Carta di Ottawa, il rapporto “Working with individuals, families and communities to improve maternal and newborn health” (pdf 1,50 Mb) propone un quadro per lo sviluppo di interventi per migliorare la salute materna, fondati sull’idea che il potenziamento dei servizi sanitari e delle azioni a livello comunitario debba garantire che le donne e i loro neonati abbiano accesso alle cure qualificate di cui hanno bisogno quando ne hanno bisogno. Il lavoro con persone, famiglie e comunità (Individual, Family and Community, IFC) è l'anello critico senza il quale non è possibile garantire la continuità delle cure raccomandata durante i periodi della gravidanza, del parto e del post-partum.

 

La disponibilità di servizi di qualità non produce i miglioramenti di salute desiderati se l’ambiente in cui si trova la donna non è salubre e favorevole per la salute delle gestanti e dei neonati e se le persone che la circondano non hanno la possibilità di rimanere in buona salute e di fare scelte salutari. Il contesto di appartenenza, sia dal punto di vista familiare che di comunità, infatti, gioca un ruolo molto importante nel determinare la capacità e la consapevolezza delle donne in gravidanza a ricercare una assistenza qualificata, a seguire una migliore alimentazione, a diminuire l’intensità del proprio lavoro e ad allattare al seno. Gli interventi nell’ambito individuale, familiare e di comunità devono essere finalizzati alla creazione di un contesto favorevole per la sopravvivenza e la salute delle donne, dei neonati e delle stesse famiglie e comunità. In particolare, questa iniziativa si propone di agire a sei livelli: advocacy, supporto tecnico, creazione di partnership, sviluppo del settore normativo, ricerca e monitoraggio degli sforzi globali.

 

Risorse utili

 

Data di creazione della pagina: 22 aprile 2010

Revisione a cura di: Serena Donati e Angela Giusti, Iss