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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
Istituto Superiore di Sanità - EpiCentro

Maurizio Bonati, Laboratorio salute materno-infantile, Istituto ricerche farmacologiche Mario Negri, Milano

Lo studio “Nascere e crescere oggi in Italia” muove da una necessità emersa nel nostro lavoro: quella di reperire, in tempi rapidi, dati aggiornati disaggregati per regione. Di solito, infatti, i dati pubblicati, ad esempio quelli Istat o del Censis, sono campionari, non entrano mai nel dettaglio regionale e nel migliore dei casi sono suddivisi in tre macroaree, nord, centro e sud del paese. Inoltre, nell’ambito dell’epidemiologia di popolazione e demografica, si utilizzano quasi sempre i dati dei censimenti, aggiornati solo occasionalmente da qualche studio per singola regione o provincia e che quindi non consentono uno sguardo sul tutto il territorio. Questo il motivo di fondo e la novità della nostra analisi, quella di indirizzare lo sguardo alla situazione regionale e di riflettere sulle prospettive, in un momento in cui si discute a livello istituzionale del futuro delle politiche regionali.

Naturalmente, dato il nostro interesse, l’attenzione è centrata sulla salute materno infantile, sui temi di sanità pediatrica e adolescenziale. Si tratta di una riflessione che guarda al futuro. In una nazione sempre più anziana in cui la natalità è in continuo ribasso, si assiste a un progressivo disinteresse per i giovani e i più piccoli, in particolar modo i bambini. Una trascuratezza dai costi e segnali ben visibili, a partire dall’assenza dei bambini nel Piano sanitario nazionale. Si perde così l’attenzione sulla parte pediatrica, quella che dovrebbe invece trovarsi al centro di un discorso sugli investimenti e sulla programmazione.

Gli indici utilizzati nel nostro lavoro, spiegano in modo più analitico quello che è già percepito dalla popolazione, cioè l’aumento consistente e in qualche caso l’assestamento della povertà nel nostro paese. Prendendo in considerazione l’indice di sviluppo umano (Isu), il parametro utilizzato annualmente dall’agenzia Onu per lo sviluppo (Undp), vediamo che l’Italia nel corso dell’ultimo decennio è scesa continuamente nella classifica mondiale. Oggi siamo al ventunesimo posto, così come ci attestiamo all’undicesimo posto in termini di indice di povertà. Siamo quindi ben lontani dai tempi in cui eravamo settimi nel mondo. Questi andamenti però sono tutt’altro che omogenei nel paese, e quindi era nostro interesse andare ad analizzare il profilo nazionale, verificando cosa succede nelle diverse zone. Quello che emerge dall’analisi è che l’Italia è un paese profondamente diviso in due, in generale nel campo della salute e in particolare in quello del settore materno-infantile. Per le dimensioni del sud Italia, un’area che comprende 21 milioni di abitanti, per gli indici di sviluppo e povertà, per i tassi di natalità e di mortalità e considerati tutti i fattori correttivi, possiamo dire che il nostro meridione rappresenta nell’ambito europeo un paese a sé stante, che si posiziona al 26esimo posto, l’ultimo in ordine di povertà in tutta l’Unione.

Questa distanza tra nord e sud è rimarcata su tutta la linea per qualsiasi indicatore sia stato preso in considerazione nel nostro lavoro, dalla natalità alla mortalità infantile, fino ai servizi per l’infanzia. A partire dal momento della nascita, che vede nelle regioni meridionali un ricorso al parto cesareo molto più frequente rispetto al nord per seguire poi nel corso della vita del bambino e dell’adolescente, esiste una notevole differenza. Si nasce sempre di più al sud che al nord, anche se la natalità decresce ovunque, ma ci sono meno servizi, ad esempio asili nido, maggiori tassi di abbandono scolastico, un più alto numero di minori in difficoltà. Questo per quanto riguarda gli indicatori osservati per regione. Sarebbe poi interessante andare a disaggregare ulteriormente e vedere all’interno di ogni regione come vanno le cose. Ma già, a questo livello, si possono trarre conclusioni importanti. Il nostro lavoro permette inoltre di avere uno sguardo fino all’adolescenza, alla permanenza scolastica o al primo lavoro. E questa differenza tra nord e sud permane lungo tutto il percorso. Il bambino, quindi, ha già fin dalla nascita pregiudicato il suo ingresso nel mondo adulto.

Oltre ai singoli argomenti relativi alla salute materno infantile considerati, abbiamo ragionato anche sull’uso di indici multidimensionali. Si tratta in questo caso di un approccio più tecnico per cercare di analizzare anche le ragioni che portano a questa situazione. Ne abbiamo scelti tre. Oltre all’Isu, cui facevo riferimento precedentemente, che abbiamo ricostruito adattandolo alla situazione italiana (Isu-It) e che si basa sull’uso di cinque indicatori di sviluppo, abbiamo considerato altri due indici, che risultano dall’aggregazione di una cinquantina di indicatori. Il primo, l’indice di qualità regionale dei servizi (Quars), è più orientato alla valutazione dei servizi e quindi è di competenza delle singole regioni mentre il secondo, l’indice di propensione alla salute (Ips), si riferisce a un concetto di salute più ampio e non è quindi strettamente sanitario, ma include misure di altri elementi che influiscono sulla qualità della vita. La scelta di guardare anche a questa dimensione aggregata è utile non in valore assoluto, ma per monitorare l’andamento della situazione nel paese. Dire che oggi l’Italia, secondo l’Isu, è al ventunesimo posto non ha molto significato, ma vedere che nell’ultimo decennio è scesa dal settimo posto, consente di effettuare delle valutazioni diverse. Unendo queste considerazioni a quelle derivate dall’analisi puntuale delle situazioni nelle diverse regioni, basata sui dati correnti disaggregati, è possibile ragionare sugli interventi che vanno programmati per riequilibrare la situazione.

Nel complesso, dunque, a una prima valutazione è chiaro che sono necessari investimenti nel sud del paese. E’ però altrettanto urgente e necessario che questi investimenti si inseriscano in azioni integrate di armonizzazione e di coordinamento nazionale. Non si tratta infatti solo di una mancanza di servizi. Ad esempio, analizzando i dati sulla natalità e sulla mortalità infantile, si evidenzia il fatto che tra la Calabria e il Trentino ci sono differenze sostanziali: nascono più bambini al sud, ma anche la mortalità neonatale è più elevata, con dati che vanno dal 5-6 per mille nella regione meridionale all’1-2 per mille nel nord. Nascere in Sicilia e Calabria, oggi, quindi significa avere un rischio 3-5 volte più alto di morire. Più che alla carenza dei servizi, questi dati possono essere attribuiti a un limite nell’accessibilità, nella distribuzione territoriale, nell’attenzione alle province più piccole e remote. Esiste inoltre anche un problema di qualità del servizio. Studi che hanno monitorato l’accesso alle cure e gli esiti indicano che a parità di condizioni la mortalità è più elevata a Sud e, d’altro canto, permangono, soprattutto per quanto riguarda le prestazioni specialistiche, flussi continui di migrazione dal sud al nord. E’ quindi evidente la necessità di valutare sia l’accesso che la qualità delle prestazioni, che deve essere garantita in modo omogeneo su tutto il territorio.

Tutto ciò è possibile solo operando in una direzione opposta a quanto sta di fatto avvenendo in ambito sanitario. Si deve lavorare per una integrazione dei servizi offerti, investendo, coordinando attività di collaborazione e costruzione di reti operative tra i grossi centri pediatrici del nord del paese e quelli del sud. Non si tratta di costruire nuovi centri isolati ma di lavorare in reti integrate. Un approccio che non può limitarsi al solo settore sanitario, ma deve estendersi all’intera rete dei servizi, come dimostrano i dati relativi alla frequenza nelle scuole e all’entrata nel lavoro. Interventi locali, dunque, ma ben integrati in un’azione coordinata a livello nazionale.

Autore di “Nascere e crescere oggi in Italia - Statistiche della salute materno-infantile nelle regioni italiane”, Pensiero scientifico editore