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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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La pratica ostetrica nella prospettiva europea e italiana

È di pochi giorni fa l’uscita di due importanti documenti internazionali che fanno il punto sullo stato dell’arte della pratica ostetrica e sui bisogni delle donne e dei bambini a livello globale (leggi l’approfondimento dedicato al rapporto “The State of the World’s Midwifery 2014” e l’approfondimento dedicato a The Lancet Series “Midwifery). In entrambi i casi, l’ostetrica è stata individuata come la figura professionale chiave per la cura (intesa come care), della madre e del bambino garantendo la continuità assistenziale nelle comunità dove le donne vivono.

 

In Italia l’assistenza al percorso-nascita inteso come espressione di un processo normale e fisiologico e l’integrazione dei percorsi assistenziali tra ospedale e territorio è presente nelle politiche nazionali da molti anni. Lo spirito della dichiarazione di Alma Ata sulle cure primarie e della Carta di Ottawa sulla promozione della salute è stato interpretato a partire dalla legge istitutiva del Consultori Familiari e ripreso successivamente nel Progetto obiettivo materno infantile. In tempi più recenti, le strategie baby-friendly promosse da Oms e Unicef sono state incluse nelle politiche nazionali (Piano sanitario nazionale, Piano nazionale di prevenzione, Programma Guadagnare Salute) e hanno promosso e certificato percorsi “Amici dei bambini”, che prevedono l’adozione di buone pratiche per la salute della madre e del bambino, centrate sul rispetto dei processi fisiologici, in modo integrato e multisettoriale. La recente inclusione nei percorsi Amici dei Bambini delle Cure Amiche delle Madri denota il progressivo cambio di paradigma verso la cura della madre e del bambino intesi come diade non separabile, con conseguenti modifiche significative sul piano organizzativo e assistenziale (processo della nascita non disturbato, riduzione dei tagli cesarei, contatto pelle-a-pelle immediato e prolungato, rooming in).

 

Il report sullo stato della pratica ostetrica nel mondo e la serie di The Lancet dedicata alla midwifery offrono uno schema di riferimento con il quale confrontare anche altri aspetti, tra cui la pratica dell’ostetrica, come figura professionale di riferimento, e i diritti delle donne alla luce delle nuove evidenze.

 

Emerge dalla letteratura la necessità di una figura professionale di cui siano chiaramente definiti gli standard formativi, che sia regolamenta e autonoma. La formazione delle ostetriche nel nostro Paese risponde agli standard internazionali ed europei da molti anni e include un percorso universitario di 3+2 anni. Il riconoscimento delle qualifiche professionali in Europa è regolamentato dalla direttiva 2005/36/EC, che prevede la piena autonomia dell’ostetrica per la diagnosi e l’assistenza alla gravidanza, la prescrizione degli esami necessari, l’assistenza al travaglio, al parto e al puerperio normali, incluse le cure del neonato, sotto la propria responsabilità. Riconosce inoltre l’autonomia nell’identificazione del rischio e delle possibili complicazioni che richiedono cure mediche. In Italia, il decreto legislativo attuativo 206/2007 è stato recepito in modo diverso (per alcune distorsioni della traduzione italiana) e ha modificato lo spirito della direttiva europea. Il Dgls prevede infatti che l’ostetrica debba “accertare la gravidanza e in seguito sorvegliare la gravidanza diagnosticata come normale da un soggetto abilitato alla professione medica”. Questo ha prodotto, secondo la presidente della Federazione nazionale dei collegi delle ostetriche, «una discrasia culturale che si contrappone con l’evoluzione della Midwifery, in particolare di questi ultimi 20 anni, evoluzione che, al contrario, la Direttiva europea, nel suo diverso articolato, dimostra di coltivare e rispettare quale principio fondamentale trasversale» [1].

 

Un ulteriore aspetto emerso dalla revisione della letteratura pubblicata su The Lancet Series è la possibilità di scelta del setting del parto. In molti Paesi europei è in corso un dibattito sul diritto delle donne di scegliere dove partorire, avendo comunque accesso alla miglior assistenza disponibile. La scelta di setting alternativi per il parto, tra cui le case di maternità gestite da ostetriche (midwife-led) e il parto a casa, di fatto non può essere garantita in tutti gli Stati membri. In alcuni Paesi, come l’Ungheria, la Repubblica Ceca, la Lituania e la Croazia, pur non essendo proibito alle donne di partorire a casa è proibito alle ostetriche e ad altri professionisti sanitari di assistere ai parti a domicilio. Questa anomalia è stata recentemente oggetto di ricorsi alla Corte europea per i diritti umani. [2-7] La Corte ha stabilito che le donne che hanno fatto ricorso non erano in effetti libere di scegliere di partorire a casa a causa del timore da parte dei professionisti sanitari di essere perseguiti legalmente e dell’assenza di una legislazione specifica su questo tema, in violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare sancito dall’Articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. [8]

 

In Italia non esiste una regolamentazione nazionale in questo ambito. Alcune Regioni hanno attivato percorsi per il parto a domicilio per le gravidanze fisiologiche che viene assistito nell’ambito del servizio pubblico o rimborsato. Questa frammentazione del diritto all’assistenza gratuita e di qualità nel luogo di propria scelta per il parto è all’origine, di fatto, di una diseguaglianza territoriale nell’accesso alle cure. La stessa frammentazione territoriale si presenta in altri aspetti del percorso nascita. Dalle indagini condotte dall’Istituto superiore di sanità [9] emerge un maggiore accesso alla pratica ostetrica erogata secondo le raccomandazioni, nelle Regioni del Centro-Nord; tra queste, la gravidanza fisiologica seguita dall’ostetrica o dal consultorio familiare, la partecipazione ai corsi di accompagnamento alla nascita, l’offerta informativa in gravidanza sull’allattamento, il contatto pelle-a-pelle dopo la nascita e il rooming in, l’attacco al seno entro due ore, l’offerta di visite domiciliari in puerperio da parte del punto nascita o del consultorio familiare e l’offerta di informazioni sulla contraccezione.

 

Riferimenti

1. Guana M. La midwifery italiana si confronta con l’Europa. Lettura Magistrale. 32° Congresso Nazionale della Federazione Nazionale dei Collegi delle Ostetriche.

2. Konigsmarkova I. [Homebirth in Czech Republic]. Ceska Gynekol. 2012 Dec;77(6):558-62

3. European Court of Human Rights. Application No. 28859/11 Šárka Dubská v Czech Republic

4. European Court of Human Rights. Application No. 28473/12 Alexandra Krejzová v Czech Republic.

5. European Court of Human Rights. Application No. 69489/12 Kosaitė-Čypienė and Others v. Lithuania

6. European Network of legal experts in the field of gender equality. European ommission. 2014

7. Eggermont M. The choice of child delivery is a European human right. Eur J Health Law. 2012 Jun;19(3):257-69.

8. European Court of Human Rights. Chamber Judgment Ternovszky v. Hungary 14.12.2010

9. Lauria L, Lamberti A, Buoncristiano M, Bonciani M, Andreozzi S (Ed.). Percorso nascita: promozione e valutazione della qualità di modelli operativi. Le indagini del 2008-2009 e del 2010-2011. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2012. (Rapporti ISTISAN 12/39).

 

 

Data di creazione della pagina: 26 giugno 2014

Revisione a cura di: Angela Giusti – Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (Cnesps-Iss)