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Trichinella a Verona: una malattia sempre attuale, nonostante gli sforzi dell’Ue

Edoardo Pozio - dipartimento di Malattie infettive, parassitarie e immunomediate (Iss), Laboratorio nazionale e comunitario di riferimento per la trichinellosi.

 

Nel gennaio 2008 una famiglia rumena residente a Verona (composta da due adulti e un bambino) e un amico sono stati ricoverati al Centro per le malattie tropicali dell’Ospedale Sacro Cuore di Negrar (VR) e al Dipartimento malattie infettive dell’Ospedale universitario G.B. Rossi, per infezione da Trichinella. Durante una visita in Romania, tutti e quattro avevano consumato prosciutto di maiale macellato senza controllo veterinario. Altre due persone in Romania hanno sviluppato trichinellosi dalla stessa fonte.

 

 

La descrizione di un episodio epidemico di trichinellosi (malattia con notifica in classe 1, secondo il D.M. 15/12/90) a Verona, pubblicata su Eurosurveillance (2008;13(22)), dimostra come questa patologia sia ancora estremamente attuale anche se l’Unione Europea sta compiendo enormi sforzi per arrivare a un’eradicazione di questi patogeni dagli allevamenti suini. Purtroppo trattandosi di una zoonosi il cui principale serbatoio è rappresentato dalla fauna selvatica (cinghiali, volpi e altri carnivori), l’eliminazione dal territorio europeo non è possibile.

 

Nell’articolo di Eurosurveillance si afferma che, oltre al focolaio veronese di gennaio 2008, non vi sono stati altri episodi di trichinellosi negli immigrati in Italia. Purtroppo questa affermazione è errata: quasi con cadenza annuale, infatti, vengono documentati casi di trichinellosi in immigrati dalla Romania, non solo in Italia, ma anche in altri Paesi europei come Germania, Danimarca, e Regno Unito.

 

L’infezione può essere acquisita in Romania, con l’insorgenza della sintomatologia in Italia o in un altro Paese dell’Ue, oppure può essere acquisita al di fuori della Romania per importazione di carni o derivati non sottoposti al controllo veterinario. In questo caso, non vengono coinvolti solo gli immigrati Rumeni, ma anche gli abitanti della nazione ospitante [1]. Le carni e i derivati infetti da larve di Trichinella hanno origine da suini allevati allo stato brado (free-ranging pigs) o in piccoli recinti presso le abitazioni dei proprietari (backyard pigs). Questi suini vengono macellati senza alcun controllo veterinario e le loro carni e derivati vengono distribuiti generalmente tra parenti, amici e conoscenti, al di fuori dei circuiti commerciali ufficiali.

 

Poiché la trichinellosi è comunque una malattia rara nei Paesi dell’Europa occidentale, i medici possono incontrare serie difficoltà diagnostiche per la mancanza di un quadro patognomonico e per la molteplicità dei segni e sintomi che spesso mimano altre patologie ben più frequenti.  Purtroppo un ritardo nella diagnosi porta a un ritardo nel trattamento, o talvolta a una terapia non idonea, anzi dannosa. In aggiunta, quando il trattamento con farmaci antielmintici (per esempio albendazolo o mebendazolo) inizia in ritardo, risulta meno efficace. Le larve del parassita, infatti, sono ormai incistate nelle cellule muscolari dove il farmaco penetra con molta difficoltà, mentre la sua azione è efficace nei confronti dei vermi adulti a livello intestinale e delle larve che migrano per raggiungere le cellule muscolari striate.

 

In tabella è presentato un algoritmo proposto da Dupouy-Camet e Bruschi [2] che può essere utile per la diagnosi. Un trattamento antielmintico effettuato in ritardo o in maniera non adeguata può essere causa della cosiddetta trichinellosi cronica che può durare per mesi o anni. In questi pazienti, i muscoli possono ospitare larve vitali che sopravvivono per anni. Per esempio, un paziente che aveva ricevuto il trattamento con mebendazolo circa 30 giorni dopo l’infezione, ospitava oltre 200 larve vitali per grammo di muscolo (deltoide) due anni dopo l’infezione [3].

 

La diagnosi di trichinellosi si basa prevalentemente sull’esame sierologico in quanto il prelievo bioptico di tessuto muscolare non è attualmente proponibile per la sua invasività. Purtroppo i kit commerciali sono molto poco specifici e spesso sono causa di falsi positivi. Inoltre bisogna tenere presente che nelle infezioni moderate o lievi la sieroconversione può avvenire anche a distanza di 2 mesi dall’infezione quando ormai il paziente è completamente ristabilito. L’utilizzo di questi kit commerciali non sottoposti ad alcun processo di validazione prima della loro immissione sul mercato, è stato causa di diagnosi errate.

 

 

Tabella. Algoritmo per la diagnosi della trichinellosi nella fase acuta

 

Gruppo A Gruppo B Gruppo C Gruppo D

Febbre

Diarrea

Eosinofilia e/o aumento delle IgE

Sierologia positiva (con un test specifico)

Edema delle palpebre e/o del viso

Segni neurologici

Aumento degli enzimi muscolari

Sieroconversione

Mialgie

Segni cardiologici

Congiuntivite

Emorragie sottounghiali

Esantema cutaneo

 

Biopsia muscolare positiva

 

La diagnosi è:

  • poco probabile: 1 di A oppure 1 di B oppure 1 di C
  • sospetta: 1 di A oppure 2 di B e 1 di C
  • probabile: 3 di A e 1 di C
  • molto probabile: 3 di A e 2 di C
  • confermata: 3 di A, 2 di C, e 1 di D; ognuno dei gruppi A oppure B e 1 C e 1 D.

Riferimenti

  1. Pozio e Marucci, 2003. Trichinella-infected pork products: a dangerous gift. Trends in Parasitology 19, 338.
  2. Dupouy-Camet e Bruschi, 2007. Managment and diagnosis of human trichinellosis. In FAO/WHO/OIE Guidelines for the surveillance, management, prevention and control of trichinellosis, Dupouy-Camet, J. And Murrell, K.D., Eds., World Organisation for Animal Health, Paris).
  3. Pozio et al., 2001. Failure of mebendazole in treating Trichinella spiralis infection in humans at the stage of encapsulating larvae. Clinical Infectious Diseases 32, 638-642.

Leggi l’articolo originale su Eurosurveillance.