Prevenzione primaria, avanguardia della lotta all’ictus
Simona Giampaoli – MD Dipartimento Malattie cardiovascolari, dismetaboliche e dell’invecchiamento, Iss
26 ottobre 2017 - Il 29 ottobre prossimo si celebra la giornata mondiale dell’ictus, una patologia di cui oggi si conosce molto rispetto ai suoi determinanti e fattori di rischio. La ricerca epidemiologica ha dimostrato, infatti, che più del 50% degli eventi può essere prevenuto e, considerando le dimensioni epidemiologiche di questa patologia, l’impatto socio-economico e le sue conseguenze in termini di mortalità, disabilità e disturbi della capacità cognitiva, diventa fondamentale implementare azioni di prevenzione a livello di popolazione generale (sia sulle persone ad elevato rischio e su coloro che hanno già avuto un evento).
Gli ultimi dati di mortalità disponibili dal Rapporto Istisan 2014 riportano per gli uomini di tutte le età 22.488 decessi, con tasso standardizzato di 76,82 x 100.000 persone, e per le donne 34.520 decessi, con tasso standardizzato 63,44 x 100.000. Il tasso standardizzato permette di confrontare la mortalità tra uomini e donne ipotizzando la stessa distribuzione per età. Per questo motivo, sebbene in numeri assoluti la malattia cerebrovascolare produca più eventi nelle donne, perché più numerose in età avanzata, a parità di età gli uomini risultano più colpiti.
L’Italia è un Paese ad elevato rischio di ictus sia per la sopravvivenza più elevata rispetto ad altri Paesi (l’ictus colpisce in età più avanzata rispetto alla cardiopatia ischemica), sia per alcune caratteristiche comportamentali (la famosa dieta mediterranea [1], di cui sono stati dimostrati i benefici, è caratterizzata da un elevato consumo di sale, fattore non indifferente nello sviluppo di ipertensione arteriosa, di malattie cardio-cerebrovascolari, di patologie renali, di tumori del tubo digerente, di osteoporosi). Inoltre alcune condizioni che si ritrovano più frequenti in età avanzata sono riconosciute come predittori dell’ictus (per esempio, la fibrillazione atriale, l’ipertrofia ventricolare sinistra, lo spessore medio-intimale delle arterie, l’infarto del miocardio).
Allora cosa fare?
Per coloro che già hanno avuto un evento cardiovascolare o soffrono di episodi di fibrillazione atriale esistono oggi terapie molto efficaci che permettono di vivere con una buona qualità di vita; tutti questi trattamenti però sono più efficaci e ci permettono di vivere meglio se accompagnati da stili di vita sani. È stato osservato ad esempio che persone che hanno episodi di fibrillazione atriale, durante i mesi estivi registrano meno episodi, così come durante i fine settimana. Un andamento che rispetta l’aumento del movimento: in estate, come durante i fine settimana si tende a svolgere più attività fisica che durante la stagione invernale.
I trattamenti farmacologici non rappresentano, dunque, una alternativa agli stili di vita ma devono essere sempre accompagnati da un cambiamento di abitudini che tenda verso quelli più sane: abolizione del fumo; riduzione del consumo di bevande alcoliche (non più di un bicchiere di vino al giorno); diminuzione del consumo di sale (facendo attenzione anche alla quantità contenuta negli alimenti preconfezionati) riduzione dei grassi animali e colesterolo, in particolare di carni, burro, panna, formaggi e uova.
E per chi non ha mai avuto un evento?
Valgono le stesse indicazioni: l’attività fisica (nel senso di movimento quotidiano, camminata a passo svelto, andare in bicicletta, salire le scale a piedi) deve impegnare almeno 150 minuti a settimana, e nei bambini almeno 60 minuti al giorno; l’alimentazione deve essere varia e bilanciata con molta verdura e frutta, legumi, cereali integrali, pesce e poca carne, tutto in porzioni modeste.
L’evoluzione delle abitudini alimentari e degli stili di vita
Notevoli sono stati i cambiamenti che si sono verificati negli ultimi 50 anni nella società moderna: l’industrializzazione, associata alla migrazione dalle aree rurali a quelle urbane; l’evoluzione verso attività lavorative con minore livello di attività fisica; la maggiore disponibilità di cibo con la conseguente modifica della proporzione dei vari nutrienti rispetto alle calorie totali (riduzione di proteine e grassi di origine vegetale associata a un incremento di proteine e grassi di origine animale, zuccheri semplici e conseguente riduzione della quantità di fibre e vitamine). Lo squilibrio derivato dalla eccessiva alimentazione e dal ridotto dispendio calorico ha portato al manifestarsi di condizioni e disturbi quali l’obesità, il diabete e a un aumento di malattie cardiovascolari e dei tumori.
Valutare in quale misura i vari cambiamenti alimentari abbiano influito sul piano nutrizionale come beneficio (allungamento della vita media e scomparsa di malnutrizione) e sul piano epidemiologico come costo (aumento dei fattori di rischio e delle malattie) è molto difficile. Obesità e sovrappeso oggi riguardano il 70% della popolazione adulta di 35-74 anni (gli obesi sono circa il 25%), l’inattività fisica il 40%. L’ictus, come gran parte delle malattie cronico-degenerative, riconosce una eziologia multifattoriale; è possibile valutare il proprio rischio di andare incontro a un evento cerebrale maggiore sulla base di otto fattori di rischio: età, sesso, pressione arteriosa sistolica, terapia antipertensiva, colesterolemia totale e HDL, abitudine al fumo e diabete.
Esiste uno strumento, applicato in sanità pubblica, il punteggio individuale, che permette di sapere quante persone su 100 con le nostre stesse caratteristiche andranno incontro a un evento coronarico o cerebrovascolare maggiore nei prossimi 10 anni. Tuttavia, il punteggio individuale non permette di definire quali saranno queste persone.
Per molti anni abbiamo studiato quali sono i danni derivati dai fattori di rischio e oggi, dopo aver osservato con studi longitudinali popolazioni molto ampie per molti anni, esiste la possibilità di capire i benefici che possono derivare dal mantenere bassi i livelli dei fattori di rischio modificabili (pressione arteriosa, colesterolemia totale, indice di massa corporea, e abitudine al fumo) nel corso della vita attraverso stili di vita salutari. Le persone che adottano stili di vita sani purtroppo costituiscono un gruppo poco numeroso della popolazione generale (circa il 5-10%) e sono quelle che si ammalano di meno, hanno eventi meno gravi e dichiarano di avere una qualità di vita buona o eccellente in età avanzata.
Dunque, se si vuole ridurre il peso della disabilità, prevenire l’ictus e se si desidera avere una buona qualità di vita in età avanzata, è necessario che giorno per giorno si riscoprano i piaceri dello stile mediterraneo, dalla cucina all’attività fisica, dall’arte alla cultura. E qualsiasi età è buona per cominciare.
Risorse utili
- Ancel e Margarete Keys, “How to Eat Well and Stay Well. The Mediterranean Way” pubblicato nel 1975