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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Allattare al seno in pubblico è davvero necessario?

Angela Giusti - ricercatrice Cnesps

 

 

Di allattamento al seno in pubblico si parla soprattutto in occasione di episodi presentati dai media come clamorosi, in cui le madri vengono allontanate dai luoghi in cui stavano allattando i propri bambini. Per la maggior parte delle persone l’allattamento in pubblico non desta stupore né scalpore, al massimo un curioso interesse per un gesto divenuto raro nel nostro Paese. Qualcuno invece si scandalizza e si domanda in modo più o meno esplicito: ma allattare in pubblico è proprio necessario? Al di là delle considerazioni sull’uso distorto che oggi si fa dell’immagine del seno, esistono a mio avviso almeno tre altre ragioni per cui l’allattamento in pubblico è necessario e andrebbe incoraggiato: una fisiologica, una giuridica e una culturale.

 

Un contenitore ad hoc

La prima ragione a favore dell’allattamento in pubblico riguarda il funzionamento dell’allattamento al seno. L’idea diffusa dell’allattamento al seno evoca ancora oggi concetti come orari fissi, numero definito di poppate nell’arco della giornata, pause di tre ore e doppia pesata del bambino prima e dopo la poppata. Questi concetti sono legati all’immagine sviluppata dagli anni Settanta a oggi, in un periodo in cui si è passati da una pratica diffusa di allattamento al seno all’alimentazione prevalente al biberon con latte artificiale. Questo nuovo modello di alimentazione dei lattanti è lentamente diventato la “normalità” di oggi. Le mamme degli anni Settanta, le loro figlie e le loro nipoti, madri dei nostri giorni, hanno vissuto in questa cultura prevalente e questa è una delle ragioni per cui oggi risulta difficile recuperare o ricostruire l’immagine originaria dell’allattamento al seno. L’allattamento materno funziona infatti in modo totalmente diverso dall’alimentazione con latte artificiale.

Partiamo dall’idea che ogni bambino e ogni mamma sono unici e che ogni coppia mamma-bambino sviluppa un proprio modo di allattare al seno. Ogni bimbo ha un suo stile alimentare e diversi tempi di poppata al seno. Questo è ampiamente documentato nella letteratura scientifica, ma è anche intuitivo: basterebbe chiederci quanto tempo impieghiamo, noi adulti, per mangiare un piatto di pasta. C’è chi è più veloce e chi è più lento. Per i bambini è la stessa cosa ed è difficile predeterminare quanto dureranno le poppate, le pause fra una poppata e l’altra e quanto latte prenderà il bambino a ogni poppata. Esiste anche un diverso modo di poppare, a seconda che i bimbi abbiano sete (poppate brevi e frequenti) o fame (poppare più prolungate): questo è legato al fatto che il latte a inizio poppata è più ricco di liquidi e zuccheri mentre a fine poppata è più ricco in grassi. Esistono poi i diversi modi di allattare delle mamme che le portano a sviluppare un proprio stile di allattamento, in armonia con le richieste del proprio bambino.

Diventa quindi difficile prevedere quando e dove il bambino chiederà di poppare. Le madri che allattano dovrebbero quindi essere messe in grado di andare ovunque e di allattare i propri bambini quando necessario. Non c’è ragione – anzi! - di limitare la libertà di movimento delle madri durante l’allattamento per presunte ragioni di convenienza sociale o di suscettibilità morale. Il seno nasce prima di tutto per l’allattamento: è un bellissimo contenitore, morbido e caldo, comodo da trasportare, produce un latte dalla composizione perfetta, anzi, un latte specifico e diverso per ogni singolo bambino, alla temperatura giusta e disponibile ovunque e in qualsiasi momento. I bambini hanno diritto a stare con le loro mamme per poppare quando necessario. Le madri hanno diritto di muoversi senza restrizioni. E la società dovrebbe adeguarsi e creare le condizioni perché questo possa avvenire.

 

Una questione di diritti

La seconda ragione a riguarda i diritti dei bambini e delle donne. La Convenzione sui diritti del bambino riconosce il ruolo fondamentale che l’allattamento al seno svolge per l’affermazione del diritto del bambino al più alto standard raggiungibile di salute. Anche l’Organizzazione mondiale della sanità e la Commissione europea ribadiscono questo diritto nelle raccomandazioni standard per l’alimentazione dei lattanti e dei bambini fino a 3 anni. A questo proposito, si possono consultare le raccomandazioni standard per l’Unione Europea sull’alimentazione dei lattanti e dei bambini fino a tre anni del 2006 (disponibili anche in italiano), la Convenzione sui diritti del bambino delle Nazioni Unite del 1989 e la Strategia globale dell’Oms sulla nutrizione infantile del 2002, il rapporto di “Save the children” sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia del 2007.

Il bambino allattato al seno deve essere libero di avere la sua poppata nel momento in cui ne ha bisogno, esattamente come qualsiasi adulto è libero di entrare in un bar o farsi uno spuntino quando ne sente la necessità. Di conseguenza, la mobilità delle donne non può essere ristretta a causa dell’allattamento. Attualmente le raccomandazioni nazionali e internazionali suggeriscono l’allattamento esclusivo (solo latte di mamma, senza aggiunta di acqua, tisane, succhi o altro) fino a sei mesi di vita compiuti e l’allattamento complementare (latte materno e altri cibi) “fino a 2 anni o più, secondo il desiderio della mamma e del bambino” (WHO/CDR/93.6). Ma è possibile tendere verso questo obiettivo d’eccellenza nell’attuale sistema di organizzazione del lavoro? Fino a pochi mesi fa le lavoratrici a contratto non avevano diritto al congedo obbligatorio di maternità. La recente proposta del ministro delle Politiche per la famiglia Rosy Bindi dovrebbe parzialmente ovviare a questa aberrazione.

Ma il congedo obbligatorio di maternità consente l’astensione fino al massimo al quarto mese compiuto del bambino e questo è evidentemente in contraddizione con la raccomandazione di allattamento esclusivo fino al sesto mese. Sarebbero quindi necessari interventi legislativi di prolungamento dell’astensione dal lavoro e la realizzazione di asili nido aziendali in un numero adeguato, per permettere alle madri che desiderano o devono rientrare al lavoro di avere i propri bambini vicini e poterli allattare a richiesta durante l’orario lavorativo. I nidi aziendali, laddove esistono, portano a una riduzione sensibile delle assenze legate all’accudimento del bambino, rispondendo così non solo all’interesse dei genitori ma anche dei datori di lavoro. Rimane fondamentale promuovere attivamente il diritto delle donne e delle coppie di scegliere modalità e tempi di rientro al lavoro, rendendo possibile la realizzazione del proprio “piano di genitorialità” e di accudimento dei propri bambini.

 

Una catena calda

La terza ragione per cui l’allattamento in pubblico é necessario è l’impatto che questo può avere sulla cultura dell’alimentazione infantile. Oggi vedere una donna che allatta al seno il proprio bambino è un evento raro. Volendo regalare una bambola a un bambino o a una bambina, difficilmente se ne trova una che non sia dotata di ciuccio e biberon. Nei disegni dei bambini é raro incappare in una mamma che allatta, mentre più spesso ricorrono ausili per la somministrazione di latte artificiale. È interessante poi notare come bambini che hanno visto i propri fratellini e sorelline allattati dalla madre, giocano ad allattare al seno le proprie bambole mentre gli altri, che non sono stati esposti a questo modello di alimentazione infantile, nei loro giochi ricorrono al biberon.

Le generazioni nate dopo gli anni Settanta sono state poco esposte a immagini di donne che allattano come modello normale di alimentazione dei bambini. Arrivate alla loro prima gravidanza, molte donne non hanno mai tenuto un bambino piccolo tra le braccia e non hanno mai visto un’altra donna allattare. Per questo penso che le donne dovrebbero essere incoraggiate ad allattare ovunque ritengano opportuno. In alcune scuole, il personale dei consultori familiari chiede alle mamme di partecipare agli incontri sull’alimentazione infantile raccontando la propria esperienza di allattamento al seno e mostrando come funziona. Questo suscita grande interesse sia nei bambini più piccoli sia nei ragazzi e ragazze delle scuole superiori, che si trovano ad affrontare un argomento nuovo, avendo la possibilità di discuterne direttamente con un’esperta, la mamma che allatta.

Sulla base di queste considerazioni e seguendo l’esempio dell’Unicef bisognerebbe promuovere la realizzazione di comunità amiche dei bambini, che prevedano la creazione di aree dove allattare diventa la normalità e incoraggiano le donne a farlo. Si tratta di un’iniziativa nata da Unicef UK e sperimentata in Italia dalla Asl di Milano. Negozi, farmacie, bar e supermercati dovrebbero disporre di spazi dove le mamme e i loro bambini possono fermarsi ad allattare; non sono necessarie grandi attrezzature: basta una sedia su cui potersi sedere.

A questo proposito, mi piace citare un articolo apparso sul Lancet nel 1994 (J. Dobbing, “A warm chain for breastfeeding”), in cui per la prima volta si parla della “catena calda” del sostegno all’allattamento al seno e della necessità di riattivarla: “se si rendesse disponibile un nuovo vaccino che prevenisse un milione o più di morti infantili all’anno, e che fosse oltretutto poco costoso, sicuro, somministrabile per bocca, e non richiedesse catena del freddo, diventerebbe immediatamente un imperativo di salute pubblica. L’allattamento al seno può fare questo e altro, ma richiede una sua ‘catena calda’ di sostegno – e cioè assistenza competente alle madri perché possano avere fiducia in se stesse e per mostrare loro cosa fare, e protezione da pratiche dannose. Se questa catena calda si è persa nella nostra cultura, o ha dei difetti, è giunto il tempo di farla funzionare”.