English - Home page

ISS
Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
Istituto Superiore di Sanità - EpiCentro

Il consultorio familiare nel Progetto Obiettivo Materno Infantile (POMI)

Michele Grandolfo – Reparto salute della donna e dell’età evolutiva, Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute, Iss - Roma

 

Istituiti nel 1975, i consultori familiari sono stati realizzati con tempi e modalità diversi, in seguito all’approvazione delle relative leggi regionali. Indagini condotte dall’Iss hanno dimostrato che l’applicazione delle indicazioni del Progetto Obiettivo Materno Infantile (POMI) garantisce migliori esiti di salute. Ma le persone che ne avrebbero più bisogno spesso non sono coinvolte per la mancanza di offerta attiva. L’obiettivo è allora allestire una serie di servizi di salute primaria, caratterizzati da un approccio integrato, secondo un modello sociale di salute. Iniziative di questo genere potrebbero avere un impatto importante in settori sanitari strategici, quali il percorso nascita, la prevenzione dei tumori femminili e l’educazione alla salute riproduttiva per gli adolescenti. I consultori rappresentano un patrimonio unico: non sono residui del passato, ma fondamenti per sistemi sanitari del futuro, volti a tutelare e promuovere la salute pubblica. Il Progetto Obiettivo Materno Infantile è un buon punto di partenza per un processo di riqualificazione.


Priorità e raccomandazioni

Perché i consultori familiari?

Un’esperienza innovativa

Offerta attiva e valutazione

Il carico di lavoro per figura professionale

Referenze

 

Consulta anche gli allegati:

Priorità e raccomandazioni

Il Progetto Obiettivo Materno Infantile (POMI) assegna un ruolo strategico centrale ai Consultori Familiari (CF) nella promozione e tutela della salute della donna e dell’età evolutiva e indica in dettaglio modalità e campi operativi prioritari, con un esauriente corredo di indicatori di processo, di risultato e di esito.

Il POMI (1) indica, con estrema chiarezza e proposte operative, la necessità:

  • dell’integrazione dei servizi di I (promozione della salute), II (cure specialistiche e diagnostica ambulatoriali) e III livello (cure intensive e diagnostica complessa), per garantire l’azione sinergica ed evitare inversioni e sovrapposizione di ruoli;
  • che il CF operi con progetti strategici di promozione della salute su obiettivi prioritari;
  • di operare secondo il modello dell’empowerment e con la modalità dell’offerta attiva;
  • che la programmazione, la valutazione e la formazione costituiscano un circuito virtuoso.

Il POMI raccomanda un organico per i CF come risorsa multidisciplinare adeguata per realizzare i progetti strategici e quelli satellite, oltre alla presa in carico in prima istanza delle problematiche portate allo scoperto nella realizzazione dei progetti strategici, nel territorio di riferimento di 20 mila abitanti in media (legge 34/96, che ha previsto lo stanziamento di 200 miliardi per riqualificare i CF e portarli a 1 ogni 20 mila abitanti. I Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) richiamano integralmente il POMI (2) e citano esplicitamente tutte le leggi che fanno riferimento ai CF (405/75, 194/78, 34/96).

 

Le indagini dell’Istituto superiore di sanità hanno ampiamente dimostrato che l’applicazione delle indicazioni del POMI garantisce migliori esiti di salute e che le rare realizzazioni delle strategie proposte hanno prodotto risultati esaltanti. Se è vero che la qualità operativa dei CF risulta migliore di quella di altri servizi che, a mio parere, svolgono impropriamente le stesse attività (per esempio, i corsi di accompagnamento alla nascita, se realizzati dai CF, sono associati a un maggior prolungamento dell’allattamento al seno (4), ma così non è nel caso siano organizzati dagli ospedali), tuttavia quale quota di popolazione viene esposta? Purtroppo le persone che ne avrebbero più bisogno non vengono coinvolte (il livello di istruzione basso è un fattore determinante per la mancata partecipazione ai corsi di accompagnamento alla nascita (4,5)), perché è carente o manca l’offerta attiva.

 

Analizzando le risorse disponibili, si ha la netta percezione che la loro applicazione non sia appropriata: ognuno fa quello che ritiene di fare, senza preoccuparsi più di tanto di verificare efficacia e impatto di sanità pubblica. La questione non è solo il non rispetto delle obbligazioni indicate dalle norme, ma è anche e soprattutto lo svilimento della professionalità, che invece trova la valorizzazione e il miglioramento solo se è attivo il processo di valutazione continua, alla luce degli obiettivi di sanità pubblica, essendo stata attuata una strategia operativa valida.

 

Perché i consultori familiari?

Ma oggi le istanze che hanno sostenuto la nascita dei CF (6,7) sono ancora valide? Esiste una valida alternativa a quanto proposto dal POMI? Le ragioni che hanno portato alla costituzione dei consultori familiari sono tuttora e a maggior ragione valide. I consultori familiari, istituiti formalmente nel 1975 (legge 405/75), sono stati realizzati sul territorio nazionale con tempi e modalità diversi, in seguito all’approvazione delle relative leggi regionali. Incorporati con modalità non omogenee nel sistema sanitario nazionale (legge 833/78), hanno avuto una vita difficile (6) per due essenziali motivi:

  • la legge istitutiva nazionale e quelle regionali indicavano i campi di attività dei consultori familiari, privilegiando la prevenzione e la promozione della salute e non potevano proporre obiettivi operativi e priorità che dovevano essere lasciate alla pianificazione nazionale e regionale. Pianificazione che purtroppo è mancata, almeno in una formulazione scientifica, fino al varo del POMI;
  • l’orizzonte operativo dei consultori, servizi a bassa soglia di accesso, faceva riferimento a un modello sociale di salute (composizione multidisciplinare dello staff), a un approccio non direttivo ma orizzontale, a una costante attenzione alle differenze di genere.

Questa impostazione andava potenzialmente a confliggere con quella biomedica e direttiva dei servizi tradizionali. Questi, a parte lodevoli eccezioni, hanno sistematicamente tentato di delegittimare ed emarginare i consultori familiari, sia negando l’integrazione strutturale e funzionale, sia operando per impedire assegnazioni di risorse umane ed economiche, strutturali e infrastrutturali, soprattutto al Sud.

 

L’assenza di una programmazione operativa, scientificamente fondata, basata su obiettivi selezionati con priorità stabilite sia a livello nazionale che regionale, ha prodotto così due fenomeni collegati. In primo luogo, la programmazione veniva intesa come mera enumerazione delle attività. Sistemi di verifica e popolazione di riferimento venivano genericamente accennati, quando presi in considerazione. Il problema dell’efficacia e dell’appropriatezza delle attività non veniva affrontato. Diveniva così conseguente rivolgersi alle persone che spontaneamente accedevano al servizio o comunque a quelle più facilmente a portata di mano, assumendo che chi avesse un problema di competenza consultoriale si sarebbe presentato una volta saputo dell’esistenza del servizio e delle attività in esso svolte.

 

Accanto a questo primo fenomeno, peraltro perfettamente in linea con quanto avveniva per tutti i servizi sanitari, tradizionali e non, se ne affermava un altro, il cui sviluppo avrebbe potuto mettere in discussione una delle qualità fondative dei consultori familiari: la multidisciplinarietà. In mancanza di obiettivi di popolazione (e quindi di sanità pubblica) e con un approccio a servire chi si presentava spontaneamente, si sviluppava una deriva verso la settorializzazione e la frammentazione, così che, al limite, ogni figura professionale rivendicava esclusivamente a sé la competenza a trattare un caso la cui problematica veniva colta in una visione unidimensionale. Un effetto collaterale importante di questa metodologia di lavoro era costituito dalla accentuazione delle attività di cura, non solo quelle di prima istanza. Questo effetto collaterale andava a spingere ulteriormente verso la settorializzazione e la frammentazione e distoglieva pesantemente dai compiti primari e strategici di promozione della salute per cui i consultori familiari erano stati istituiti.

 

Un’esperienza innovativa

Nonostante tutti gli elementi critici, la consapevolezza dell’assoluta originalità dei servizi consultoriali (multidisciplinarietà, non direttività, visione di genere) è sempre stata presente: i CF sono stati considerati un patrimonio unico da non disperdere. Questa consapevolezza era fondata sulla conoscenza di esperienze innovative nei contenuti e nelle modalità operative condotte da una moltitudine di professioniste/i che hanno prodotto esperienze spesso esemplari, anche se raramente valorizzate a dovere. Le attività consultoriali, anche quando iscritte nella dimensione di cure primarie, hanno rappresentato un importante presidio di riferimento, soprattutto per le sezioni svantaggiate della popolazione, che non avrebbero avuto altre alternative. Indagini campionarie condotte dall’Iss hanno ripetutamente rilevato non solo un alto gradimento (>80%) da parte di chi aveva avuto modo di usufruire dei servizi consultoriali (9), ma anche l’efficacia maggiore dei servizi consultoriali nel garantire esiti positivi e nel prevenire esposizioni inappropriate (4,5,8).

 

Nel contesto internazionale, poi, l’odierna valutazione critica degli scarsi successi del programma Oms “Safe motherhood” (recentemente ribattezzato “Making pregnancy safe”) pone l’accento sull’importanza di allestire servizi di salute primaria. Servizi caratterizzati da un approccio integrato, secondo un modello sociale di salute e sostenuti da modalità operative basate sull’offerta attiva, operanti mediante relazioni di comunicazione orizzontali secondo il modello della presa di coscienza e di potere (empowerment) delle donne: vale a dire, appunto, il modello dei consultori familiari italiani (10).

 

Se a livello nazionale viene riconosciuto il ruolo centrale che deve essere svolto dai consultori familiari nella promozione della salute, dal punto di vista operativo le conseguenze stravolgono i modi tradizionali di procedere. Quale frazione di popolazione coinvolgere, e con quali attività di verificata efficacia per raggiungere obiettivi di salute da misurare nella popolazione generale?

 

Si tratta di una progettazione basata:

  • su una chiara definizione di obiettivi di salute specifici;
  • su una descrizione dei sistemi e degli indicatori di valutazione (di esito, di risultato e di processo);
  • sulla identificazione della popolazione bersaglio (frazione della popolazione generale a rischio di produrre eventi o condizioni negativi che il programma di promozione della salute intende prevenire) e le sue articolazioni per livello di rischio;
  • sulla identificazione di adeguate e articolate modalità di offerta attiva;
  • sulla caratterizzazione delle modalità di esecuzione di attività efficaci nella pratica;
  • sulla descrizione dei risultati attesi associati alle attività previste e agli obiettivi posti.

 

La progettazione deve anche prevedere indagini:

  • sui fattori di rischio della non rispondenza;
  • sull’incidenza dei problemi, che la strategia intendeva prevenire, nella sezione della popolazione bersaglio non raggiunta.

Raggiungere la popolazione bersaglio costituisce il primo imperativo strategico: i più difficili da raggiungere sono infatti anche quelli più a rischio (perché esposti a degrado socioeconomico). Non raggiungerli costituisce un pregiudizio per il perseguimento degli obiettivi fissati.

 

Offerta attiva e valutazione

Cosa si intende per offerta attiva? Si tratta di un processo comunicativo che sfrutta tutti i potenziali canali sinergicamenti operanti, a partire da quelli istituzionali ma con grande impiego di quelli già costituiti e/o riconoscibili e/o creati ad hoc nella comunità, con modalità tarate sulle specifiche caratteristiche delle persone e dei gruppi di popolazione da coinvolgere, nella consapevolezza della complessità delle dimensioni in cui la comunicazione è iscritta (fisica, relazionale, psicologica, etica, culturale, sociale e antropologica). Lo scopo è promuovere un ripensamento individuale e comunitario sul vissuto quotidiano e sulla memoria storica, al fine di sviluppare nuove consapevolezze e nuove competenze alla luce delle nuove conoscenze proposte e valutate criticamente, con l’obiettivo di attivare processi decisionali autonomi e consapevoli. L’offerta attiva è il processo stesso di empowerment.

 

Nella sfida stimolante della comunicazione, che per essere vincente deve necessariamente non essere basata su modelli direttivi ma di empowerment, si coglie la straordinaria importanza delle competenze multidisciplinari; così come tali competenze svolgono una funzione decisiva nel rendere efficaci nella pratica gli interventi previsti nel programma se si assume, come è necessario fare, un modello sociale di salute.

 

Ed è determinante per la crescita della professionalità nel campo della promozione della salute valutare continuamente i risultati acquisiti e gli obiettivi raggiunti, rispetto a quelli programmati e diviene essenziale porsi la domanda sul perché del non raggiungimento e quanto pesa la sua estensione nel non perseguimento degli obiettivi programmati. Quindi come la programmazione, scientificamente intesa, anche la valutazione è parte integrante dell’attività lavorativa, non opzionale, e deve rappresentare un carico di lavoro definito e programmato. La valutazione è l’attività senza la quale non si può parlare di attività professionale e senza valutazione non c’è stimolo alla crescita professionale. La valutazione quindi è nel processo della formazione continua. Programmazione, valutazione e formazione continua o stanno assieme o sono esercizi sterili.

 

La valutazione consiste:

  • nel verificare la distanza tra gli obiettivi raggiunti e quelli previsti utilizzando gli indicatori di esito, di output e di processo (valutazione a lunga, media e breve distanza) e le ragioni di questa distanza (controllo di qualità interno);
  • nel confrontare la propria esperienza, rappresentata dagli indicatori, con quella dei servizi analoghi dislocati in altri ambiti territoriali (controllo di qualità esterno).

Nel Progetto Obiettivo Materno Infantile si possono individuare tre progetti strategici: percorso nascita, adolescenti e prevenzione dei tumori femminili. Tre priorità non tanto per la gravità e la frequenza dei problemi che possono essere prevenuti, quanto soprattutto per l’alta possibilità di intervento e per la straordinaria esemplarità pedagogica (quanto aumenta la competenza dei professionisti, quanto si sviluppa l’empowerment delle persone e delle comunità). Basti pensare alle relative popolazioni bersaglio: donne e coppie nella realizzazione concreta del desiderio di maternità e genitorialità, adolescenti in via di formazione, donne di età compresa tra 25 e 64 anni.

 

Quindi: offerta attiva di consulenza prematrimoniale, offerta attiva di consulenza in gravidanza, offerta attiva dei corsi di preparazione alla nascita, offerta attiva di visite domiciliari o in consultorio dopo il parto. Offerta attiva di corsi di educazione sessuale nelle scuole, offerta attiva di spazi adolescenti dentro e fuori i consultori. Offerta attiva del Pap test e della mammografia, in un contesto di integrazione negoziata dei servizi distrettuali e di Asl.

 

In questi tre programmi strategici è essenziale promuovere lo sviluppo delle consapevolezze sulla procreazione consapevole e nel far ciò si produce la migliore azione per la prevenzione delle gravidanze indesiderate, come è stato ripetutamente raccomandato (anche nelle relazioni dei ministri della sanità al Parlamento sull’applicazione della legge 194/78) dalla seconda metà degli anni Ottanta (11).

 

Il carico di lavoro per figura professionale

Le proposizioni del Progetto Obiettivo Materno Infantile, soprattutto per quanto attiene ai progetti strategici, implicano una disponibilità di risorse che non è detto sia garantita. Opportunamente il Progetto Obiettivo Materno Infantile fa riferimento alla legge 34/96 in cui si esplicita la necessità di un consultorio ogni 20 mila abitanti ed esplicita nel dettaglio figure professionali e orario di lavoro minimo per ogni servizio consultoriale.

Ogni progetto strategico può essere tradotto in ore di lavoro per figure professionali per unità di popolazione bersaglio.

Per avere un’idea di prima approssimazione dei carichi di lavoro per figura professionale, in relazione alla realizzazione dei tre progetti strategici, si riporta un calcolo orientativo nell’ipotesi di un consultorio che opera in un bacino territoriale di 20 mila abitanti:

 

Numerosità delle popolazioni bersaglio in una comunità di 20 mila abitanti

Nascite (1% pop.tot.)

200 (di cui 100 prime nascite)

Adolescenti in una fascia di età annuale (1% pop.tot,)

200

Donne di età 25-64 anni (30% pop.tot.)

6000

 

Percorso nascita

200 nascite attese per anno, 100 da primipare.

 

Gravidanza - offerta attiva di corsi di accompagnamento alla nascita, Obiettivo: 80% delle primipare.

80 donne, 6 corsi di 20 ore (h) ciascuno più 20%: 144 h/anno.

 

 

Ostetrica

Ginecologo/a

Ass. soc.

Psicologo/a

Pediatra

Ass. san.

%*

75

35

20

30

30

20

Ore

108

50

28.8

43.2

43.2

28.8

* percentuale del tempo totale in cui si presume coinvolta/o la/o specifica/o operatrice/tore

 

Puerperio - Visite in puerperio, obiettivo 80% di tutte le donne che partoriscono in un anno.

160 puerpere, 50% in Consultorio , 50% a domicilio.

1)     in consultorio: 80 visite, 1h ciascuna per un totale di 80h,

per il 50% ,40, si ipotizza la necessità di una seconda visita, per un totale di 40h

per il 25% delle seconde visite, 10, si ipotizza una terza visita, per un totale di 10h

subtotale1: 130h/anno

2)     a domicilio: 80 visite di 2h ciascuna per un totale di 160h

anche in questo caso si ipotizzano, con analoghe percentuali seconde e terze visite per un totale di 80h e 20h, rispettivamente

subtotale2: 260h/anno

Totale: 390h/anno, più il 20%: 470 h/anno

 

 

Ostetrica

Ginecologo/a

Ass. soc.

Psicologo/a

Pediatra

Ass. san.

%

80

30

60

30

20

80

Ore

376

141

282

141

94

376

 

 

Adolescenti

In un fascia di età (per es. 3° classe media inferiore): 200 adolescenti.

a)       corsi di educazione sessuale a scuola

20 alunni per classe: 10 classi, 5 incontri di 2 ore ciascono, 100h/anno

5h per classe per incontri con insegnanti, 5h per classe per incontri con i genitori per un totale di 100 h/anno

b)       spazio giovani in consultorio: 4h/settimana per 40 settimane per un totale di 160 h/anno.

totale 360h/anno, più il 20%: 43 0h/anno.

 

 

Ostetrica

Ginecologo/a

Ass. soc.

Psicologo/a

Pediatra

Ass. san.

%

25

50

30

50

10

25

Ore

108

215

108

215

43

108

 

 

Prevenzione del tumore del collo dell’utero

La popolazione femminile tra 25 e 64 anni è circa il 30% della popolazione generale.

Si assume che il 30% faccia regolarmente il Pap test spontaneamente, per cui sui 2000 pap test/anno (uno ogni 3 anni) sono da coinvolgere 1400 donne, ipotizzando un tasso di accettazione dell’80% si devono effettuare 1120 Pap test.

Assumendo 0.75 h/pap test (pap test più colloquio) si ha un totale di 840 h, più il 20% si ha un totale di 1000 h/anno

 

 

 

Ostetrica

Ginecologo/a

Ass. soc.

Psicologo/a

Pediatra

Ass. san.

%

50

15

20

15

10

40

Ore

500

150

200

150

100

400

 

 

Nella tabella seguente si riportano le ore /anno per ogni progetto, totali, per ogni figura professionale e il carico di lavoro settimanale:

 

Progetto

Ostetrica

Ginecologo/a

Ass. soc.

Psicologo/a

Pediatra

Ass. san.

Pernasc1

108

50

29

43

43

29

Pernasc2

376

141

282

141

94

376

Adolesc

108

215

108

215

43

108

Pap-test

500

150

200

150

100

400

Ore/anno

1092

556

619

549

280

913

Ore/sett.*

27.3

13.9

15.5

13.7

7.0

22.8

*considerando 40 settimane effettivamente disponibili

 

Tenendo conto del livello di approssimazione, è ragionevole ipotizzare che una stima dei carichi di lavoro effettuata con un’analisi più dettagliata non modifichi sostanzialmente il quadro ottenuto. L’ordine di grandezza dell’impegno fa comprendere perché la legge richiede un CF ogni 20 mila abitanti e perché il POMI raccomandi un organico adeguato.

 

Come già accennato, ogni progetto strategico può supportare progetti satelliti (per esempio: nel caso della prevenzione del tumore del collo dell’utero il tempo dedicato al colloquio serve per sviluppare con la donna riflessioni su temi che, in relazione al suo stato, meritano di essere presi in considerazione: procreazione consapevole, desiderio di fecondità da realizzare, menopausa, arruolamento per screening senologico, disagio familiare ecc).

 

La realizzazione di progetti strategici basati sull’offerta attiva farà emergere una serie di bisogni (bisogni di salute insoddisfatti – unmet needs of health) che potranno essere presi in carico per l’intervento di prima istanza e riferiti al secondo livello, se necessario. Sulla base dell’esperienza si può valutare quanta domanda viene così prodotta e quali carichi di lavoro debbono essere calcolati, in relazione alle prevedibili attività che si rendono necessarie.

 

Nel Progetto Obiettivo Materno Infantile è chiaramente raccomandata l’integrazione dei servizi sia nell’ambito distrettuale (secondo livello) che sovradistrettuale (terzo livello); se a livello dipartimentale si colloca la progettazione operativa, soprattutto per quanto attiene la fase decisionale, è nell’organizzazione distrettuale che si realizza l’allocazione delle risorse e l’integrazione dei servizi, alla luce della progettazione operativa. Anche se non ci saranno grandi miglioramenti nella disponibilità di risorse, per quanto attiene il ruolo e i compiti dei consultori familiari molto si può fare per il riorientamento delle attività.

 

È necessario sviluppare capacità negoziali per vincere le resistenze ad assumere responsabilità nel processo decisionale e nella integrazione dei servizi come è necessario sviluppare capacità negoziali per coinvolgere la comunità sia nelle istanze istituzionali che in quelle non istituzionali. Questo, non solo per il coinvolgimento nel processo decisionale (in fondo si tratta di garantire diritti di salute a cittadine/i) ma anche per verificare la possibilità di liberare risorse aggiuntive.

 

Sarebbe auspicabile un impegno organizzato da parte delle istituzioni per promuovere l’implementazione dei progetti strategici, il loro monitoraggio e la loro valutazione, su cui incardinare la formazione continua, così come sarebbe auspicabile che le organizzazioni professionali promuovessero, oltre l’attività istituzionale organizzata in conferenze di servizio, il confronto e la valorizzazione delle esperienze migliori, soprattutto se frutto di una sperimentazione prototipale.

 

In conclusione, i consultori familiari rappresentano un patrimonio prezioso sia per l’esperienza accumulata sia per le ragioni di fondo della loro esistenza: non sono residui del passato, ma fondamenti per sistemi sanitari del futuro, volti a tutelare e promuovere la salute pubblica. Il Progetto Obiettivo Materno Infantile è un buon punto di partenza per un processo di riqualificazione.

 

 

Referenze

1)     Progetto obiettivo materno infantile (POMI)

2)     Progetto obiettivo materno infantile (POMI)

3)     Ministero della Sanità. Progetto Obiettivo Materno Infantile.D.M. el 24/4/2000, G.U. n.131 Suppl. Ord. n.89 del 7/6/2000

4)     Accordo Conferenza Stato–regioni 22 novembre 2001: Accordo tra Governo, regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sui livelli essenziali di assistenza sanitaria ai sensi dell’art.1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.502, e successive modificazioni (Repertorio n. 1318). G.U. n.19 Suppl. Ord. n.14 del 23/1/2002. p. 37

5)     Relazione sull’attuazione della Legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza (Dati definitivi anno 1993, dati preliminari anno 1994). Presentata dal Ministro della Sanità (Guzzanti) camera dei deputati. Atti Parlamentari XII Legislatura. Doc. XXXVII N. 2 Giugno 1995

6)     Grandolfo M, Donati S, Giusti. Indagine conoscitiva sul percorso nascita, 2002. Aspetti metodologici e risultati nazionali.

7)     Baglio G, Spinelli A, Donati S, Grandolfo ME, Osborn J. La valutazione degli effetti dei corsi di preparazione alla nascita sulla salute della madre e del neonato. Ann Ist Super Sanità, 2000;36(4): 465-478

8)     Grandolfo ME. I consultori familiari: evoluzione storica e prospettive per la loro riqualificazione. In: Montemagno U (Ed.). Il Ginecologo Italiano, Vademecum 1996-97: pp.463-477. Hippocrates Edizioni Medico-scientifiche Srl Milano 1996

9)     Grandolfo M.E., Donati S. I consultori familiari e le strategie di prevenzione. Annali dell’Istituto Superiore di Sanità 1999; 35 (2): 297-299

10) Donati S., Spinelli A., Grandolfo M.E., Baglio G., Andreozzi S., Pediconi M., Salinetti S. L’assistenza in gravidanza, al parto e durante il puerperio in Italia. Annali dell’Istituto Superiore di Sanità 1999; 35 (2): 289-296

11) Di Cillo C., Grandolfo M.E, Donati S., Andreozzi S., Greco V., Medda E., Pediconi M., Stazi M.A., Spinelli A., Timperi F., Lauria L. Indagine CAP (Conoscenza, Attitudine, Pratica) sulla pianificazione familiare in Puglia. Regione Puglia Assessorato alla Sanità in collaborazione con l'Istituto Superiore di Sanità. Bari 1991

12) Grandolfo M., Benagiano G. I consultori familiari nel prossimo futuro. Atti VIII Congresso Nazionale A.G.I.C.O. 2001 “Prevenzione Primaria in Ostetricia e Ginecologia”. Eds. U. Brasiello, L. Cersosimo. ARVI Services, Roma, 2001: p. 3-7

13) Grandolfo ME, Spinelli A, Donati S, Pediconi M, Timperi F, Stazi MA, Andreozzi S, Greco V, Medda E, Lauria L. Epidemiologia dell’interruzione volontaria di gravidanza in Italia e possibilità di prevenzione. Rapporti ISTISAN 91/25. Istituto Superiore di Sanità, Roma, 1991

 

 

Consulta anche gli allegati: