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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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informazioni generali

La parotite è una malattia infettiva causata da un virus appartenente al gruppo dei Paramyxovirus, il cui segno più evidente è la tumefazione delle ghiandole salivari. In particolare l’ingrossamento delle ghiandole parotidi, poste sotto i padiglioni auricolari, dietro l’angolo della mandibola, conferisce al viso il caratteristico aspetto da cui il nome popolare di “orecchioni”.

 

Come nel caso di morbillo, rosolia e varicella, la parotite si trasmette soltanto da persona a persona. Prima dell’avvio di programmi estesi di vaccinazione, la parotite era tipicamente una malattia infantile, con la frequenza massima tra i bambini tra i 5 e i 9 anni e un decorso generalmente benigno. Inoltre, un terzo dei bambini infettati non manifesta i sintomi. L’infezione può però colpire persone di qualunque età, e tra gli adulti si osservano con maggiore frequenza complicazioni, anche gravi.

 

L’infezione si trasmette tramite le goccioline respiratorie diffuse nell’aria dal malato con la tosse o gli starnuti, oppure tramite il contatto diretto con le secrezioni nasofaringee. La malattia è contagiosa nei 6 giorni che precedono la comparsa dei sintomi e per i 9 giorni successivi. Una pregressa infezione garantisce immunità permanente.

 

Sintomi e complicanze

Il segno più evidente è il rigonfiamento delle ghiandole parotidi, con conseguente dolore durante la masticazione e la deglutizione. Si associano febbre e malessere. Circa 24 ore prima della comparsa del rigonfiamento delle parotidi, possono presentarsi brividi, cefalea e un leggero rialzo termico.

 

Nei bambini la malattia si risolve in pochi giorni nella maggior parte dei casi. Tra le complicazioni descritte vi sono encefaliti (0,02-0,3%), meningiti (0,5-15%), pancreatite (4%) e danni all’udito. Nei bambini, in 5 casi ogni 100.000 di malattia, la parotite causa perdita dell’udito: questa infezione rappresenta infatti la principale causa di sordità neurosensoriale infantile acquisita. L’encefalite porta raramente alla morte, ma si possono avere conseguenze permanenti come paralisi, epilessia, paralisi dei nervi facciali, stenosi acqueduttale e idrocefalia.

Negli adulti le complicanze sono più frequenti. Nel 20-30% dei maschi dopo la pubertà si ha l’insorgenza dell’orchite, una malattia infiammatoria molto dolorosa, caratterizzata dal gonfiore di uno o di entrambi i testicoli. Questa, sebbene raramente, può risolversi in un’atrofia testicolare con conseguente sterilità. L’ooforite e la mastite sono relativamente rare e in genere non hanno conseguenze durature.

 

Il contagio durante le prime 12 settimane di gravidanza è associato a un’alta percentuale di aborti spontanei (25%), ma non comporta il rischio di malformazioni del feto.

 

Diagnosi e terapia

La diagnosi viene effettuata dal medico, e dovrebbe sempre essere confermata con appropriati esami di laboratorio, che consistono soprattutto nella ricerca nel sangue di anticorpi specifici diretti contro il virus.

 

La terapia è sintomatica e consiste nella somministrazione di analgesici, per il trattamento del dolore causato dall’infiammazione, e di antipiretici per controllare la febbre. Una dieta semiliquida può aiutare ad alleviare il dolore associato alla masticazione.

 

Vaccinazione e prevenzione

Oltre al rispetto delle buone norme igieniche, l’arma migliore contro la malattia è la vaccinazione. Il vaccino contiene virus vivi attenuati, cioè modificati in modo da renderli innocui, ma capaci di stimolare le difese naturali dell'organismo.

 

Il vaccino viene somministrato in due dosi, a una distanza di almeno 28 giorni l’una dall’altra. Secondo il calendario vaccinale italiano, nei bambini la prima dose viene effettuata a partire dai 12 mesi compiuti e comunque entro i 15 mesi d'età. La seconda viene attualmente eseguita a 5-6 anni, contemporaneamente al richiamo di vaccino Dtap (difterite-tetano-pertosse acellulare).

 

Come per tutti i vaccini vivi attenuati, la vaccinazione non viene praticata negli individui con deficit immunitario o in terapia immunosoppressiva (corticosteroidi, farmaci antitumorali o antirigetto), nelle donne in gravidanza o che desiderano esserlo nel mese successivo alla vaccinazione. Inoltre, non devono essere vaccinate le persone che abbiano già avuto reazioni allergiche gravi a questi vaccini o ai loro costituenti (gelatina e neomicina).

 

Il vaccino induce la comparsa di anticorpi specifici in più del 95% dei vaccinati e conferisce un’immunità duratura nel tempo. È disponibile in forma trivalente, cioè associata con i vaccini antimorbillo e antirosolia (Mpr).

 

Effetti collaterali attribuiti al vaccino contro la parotite sono rari. Sono state registrate lievi infiammazioni nel punto dell’iniezione, modeste eruzioni cutanee (1 bambino su 20), febbre da lieve a moderata (5-15%), ingrossamento dei linfonodi, gonfiore delle articolazioni, tumefazione delle parotidi (1-2%). Queste reazioni si verificano in genere da 5 a 12 giorni dopo la vaccinazione e possono durare qualche giorno. Molti bambini sono già protetti dopo la prima dose, perciò le reazioni sono 10-20 volte meno frequenti quando si effettua la dose di richiamo. In 3 bambini ogni 10 mila si possono osservare convulsioni febbrili. Molto più raramente (3 bambini ogni 100 mila) si può avere riduzione delle piastrine nel sangue (trombocitopenia), con possibili emorragie di lieve entità e durata. Eccezionalmente (meno di 1 caso su 1 milione), si possono avere reazioni allergiche di tipo anafilattico con gonfiore della bocca, difficoltà del respiro, pressione bassa e shock.

Data di ultimo aggiornaamento: 19 novembre 2019