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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Brevi note - Sclerosi multipla e vaccino anti-epatite B

Le segnalazioni di casi o recidive di sclerosi multipla insorti dopo la vaccinazione contro l’epatite B hanno destato nel mondo scientifico e nell’opinione pubblica diverse preoccupazioni. Una sentenza della magistratura francese, che imputava al vaccino anti-epatite B l’insorgenza della sclerosi multipla, ha indotto nel 1998 il Ministero della Sanità francese a sospendere la campagna vaccinale che stava conducendo nelle scuole contro tale infezione.

Due studi caso-controllo, condotti all’interno di grandi coorti di soggetti seguite per alcuni anni, non hanno evidenziato alcuna associazione tra la vaccinazione anti-epatite B e l’insorgenza o recidive di sclerosi multipla.

Il primo studio (1) è stato condotto su due coorti di infermiere seguite dal 1976 e dal 1989. Per ogni soggetto con sclerosi multipla sono stati selezionati come controlli 5 donne sane e una con tumore al seno. Nello studio sono state incluse 192 infermiere con sclerosi multipla e 645 controlli (tra donne sane e portatrici di tumore); l’odds ratio (OR) di sclerosi multipla associato alla vaccinazione anti-epatite B è risultato di 0,9 (IC 95% 0,5-1,6) senza riferimento temporale e 0,7 (IC 95% 0,3-1,8) entro due anni dall’insorgenza della malattia.

 

Per la realizzazione dell’altro studio (2) è stato utilizzato il database EDMUS (European Database for Multiple Sclerosis) con informazioni relative agli anni 1993-97. Lo studio è stato condotto su 643 soggetti eleggibili; l’OR di recidive di sclerosi multipla associato alla vaccinazione anti-epatite B è risultato essere di 0,67 (IC 95% 0,20-2,17).

 

I risultati negativi di questi due recenti studi forniscono un importante contributo riguardo l’assenza di una relazione causale tra la vaccinazione anti-epatite B e la comparsa o la riacutizzazione della sclerosi multipla. Non appare, pertanto, giustificato modificare la strategia vaccinale per il controllo dell’infezione.

 

Riferimenti bibliografici

1. Ascherio A, Zhang SM, Hernan MA et al. N Engl J Med 2001; 344: 327-32.

2. Confavreux C, Suissa S, Saddier P et al. N Engl J Med 2001; 344: 319-26.

Elvira Bianco e Alfonso Mele Laboratorio di Epidemiologia e Biostatistica

 

Vaccini e mercurio

Recentemente i mass media hanno dato grande rilievo alla presunta pericolosità dei vaccini con tiomersale, un composto contenente mercurio che ha proprietà antibatteriche e viene utilizzato per mantenere la sterilità.

L’esposizione più comune al mercurio, di cui è nota la neurotossicità a dosaggi elevati, avviene attraverso il cibo. Il livello accettabile di assunzione dipende sia dal peso che dall’età dell’individuo e si stima che nel primo anno di vita equivalga a 200-230 mg.

 

Al contrario, non esistono evidenze di tossicità da tiomersale presente nei vaccini. Adottando un principio di massima prudenza, tuttavia, varie istituzioni sanitarie internazionali e nazionali hanno raccomandato la produzione di vaccini che ne siano privi e in Italia sono già disponibili prodotti combinati che non contengono questo componente. Pur in assenza di evidenze di danni, allo scopo di fissare un termine ultimo di utilizzo, il Ministro della Sanità ha decretato l’eliminazione del tiomersale dai vaccini entro il 2007.

 

In accordo con quanto ribadito dalla stessa Organizzazione Mondiale della Sanità e, come espresso dall’Istituto Superiore di Sanità, deve essere comunque sottolineato che l’esclusione dei prodotti contenenti tiomersale dai programmi vaccinali esporrebbe a un rischio decisamente maggiore di quello ipotetico rappresentato dalla loro somministrazione. In Italia, ad esempio, il vaccino contro l’epatite B, che contiene tiomersale a un dosaggio equivalente a 16 mg di etilmercurio (dose pediatrica), viene somministrato per prevenire un’infezione responsabile di un terzo dei 6 000 decessi per cancro del fegato e dei 16 000 decessi per cirrosi epatica che si verificano ogni anno in Italia. In seguito al programma di vaccinazione avviato nel 1991, l’incidenza dell’epatite B nel gruppo di età a maggior rischio di infezione (15-24 anni) è diminuita di tre volte, prevenendo circa 600 casi ogni anno.

Marta Ciofi degli Atti e Stefania Salmaso Laboratorio di Epidemiologia e Biostatistica

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