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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Sorveglianza delle infezioni ospedaliere in cardiochirurgia. L’esperienza dell’Ospedale “San Camillo” di Roma

Luisa Sodano, Clotilde Serafini (Azienda Ospedaliera “San Camillo-Forlanini”, Roma), Nicola Petrosillo, Lorena Martini, Giuseppe Ippolito (Istituto Nazionale delle Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani”, Roma), Antonio Campopiano, Michele Ferrari (Università “La Sapienza”, Roma)

 

In Italia si stimano in media 450 000-700 000 casi/anno di infezioni ospedaliere (incidenza del 5-8%), con 4 500-7 000 morti. Nell’Azienda Ospedaliera “San Camillo” di Roma (circa 1 000 posti-letto), come in altre realtà ospedaliere, un’area a elevata frequenza di infezioni ospedaliere è la cardiochirurgia con relativa terapia intensiva. Anche in vista dell’attività di trapianto, il 1° marzo 2000 è iniziata la sorveglianza attiva delle infezioni ospedaliere, secondo le linee del National Nosocomial Infection Surveillance System (NNISS) americano. Si sono adottate le definizioni di caso del Centers for Disease Control and Prevention (CDC) (1), con l’eccezione della polmonite, che fa riferimento al protocollo europeo HELICS del 1997 (2). Per le infezioni del sito chirurgico (ISC) la sorveglianza è stata estesa fino a 30 giorni dopo l’intervento. Le ISC sono state stratificate per indice di rischio di infezione (IRI) (3) basato su classe e durata dell’intervento più classificazione dello stato fisico, messa a punto dalla Società Americana degli Anestesisti (ASA).

 

Nei primi nove mesi si sono arruolati 646 pazienti cardioperati, di età mediana di 67 anni, sottoposti a interventi di bypass nel 59,4% dei casi e valvolari nel 34,8%. Il 5,9% dei ricoveri ha avuto carattere d’urgenza e il 4,6% dei pazienti è deceduto.

 

Tra i 642 cardioperati con degenza postoperatoria di almeno 2 giorni si sono rilevate 74 infezioni ospedaliere in 64 pazienti. Complessivamente, l’incidenza di infezioni è dell’11,5% e quella di pazienti con almeno un’infezione del 10%; ogni 1 000 giorni di degenza postoperatoria (n = 6 744) si sono avuti 11 infezioni e 9,5 pazienti infetti.

 

Delle 74 infezioni rilevate, il 60,8% è rappresentato da ISC, il 18,9% da batteriemie primitive, il 13,5% da polmoniti e il 5,4% da infezioni delle vie urinarie. Oltre il 40% delle ISC è stato rilevato dopo la dimissione.

Le ISC sono avvenute nell’8,1% dei 384 operati di bypass e nel 3,1% dei 225 pazienti sottoposti a interventi valvolari. I tassi di ISC aumentano con l’indice di rischio di infezione: 4,2% nei pazienti con IRI pari a 0; 6,7% in quelli con IRI pari a 1 e 9,3% nei pazienti con IRI tra 2 e 3.

 

L’analisi dell’andamento temporale registra una più elevata frequenza di ISC ogni 100 cardioperati in aprile (concentrati nella settimana prepasquale) e nei mesi estivi (Figura 1).

Sono stati isolati 76 microrganismi (in 54 infezioni), di cui il 48,7% gram positivi e il 45,9% gram negativi. In circa il 32% degli isolati si tratta di S. aureus (24/76), nel 14,5% di Pseudomonas aeruginosa (11/76) e nel 12% (9/76) di stafilococchi coagulasi-negativi. Risultano resistenti alla oxacillina il 54,2% degli stafilococchi aurei e il 77,8% dei coagulasi-negativi.

Gli antibiotici più utilizzati per la profilassi sono la cefazolina (66,4%) e l’acido clavulanico+amoxicillina (26,3%). La durata mediana della profilassi - 3 giorni - è stata superata in 157 pazienti.

 

Ringraziamenti

Si ringraziano per la disponibilità il Prof. Francesco Musumeci, il Dott. Antonio Menichetti e il Dott. Claudio Guerra; i Caposala Carmela Fadda, Goffredo Marignetti e Noemi Vincenzi del blocco cardiochirurgico dell’Ospedale “San Camillo” di Roma.

Luisa Sodano, Clotilde Serafini (Azienda Ospedaliera “San Camillo”, Roma), Nicola Petrosillo, Lorena Martini, Giuseppe Ippolito (Istituto Nazionale delle Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani”, Roma), Antonio Campopiano, Michele Ferrari (Università “La Sapienza”, Roma)

 

Il commento

William R. Jarvis : Hospital Infections Program, Centers for Disease Control and Prevention, Atlanta, GA, USA

  Nei Paesi occidentali le procedure invasive e chirurgiche più frequenti nel gruppo di età tra i 15 e  74 anni sono quelle a carico del cuore (4). Il gran numero di pazienti che si sottopone a interventi cardiochirurgici (bypass coronarico e protesi valvolari) è a rischio di infezioni associate alle procedure assistenziali. Come osservato in questo studio, le infezioni più frequenti nei pazienti cardioperati sono quelle del sito chirurgico, seguite dalle batteriemie e polmoniti.

Programmi ben definiti di sorveglianza e controllo delle ISC nei pazienti cardioperati si sono dimostrati costo-efficaci. Studi precedenti hanno documentato che i principali fattori di rischio delle ISC in questi pazienti includono la preparazione preoperatoria (la tricotomia è uno dei più importanti fattori di rischio), la gravità della malattia (spesso misurata con il punteggio ASA), la durata dell’intervento, il sito di prelievo del vaso, e fattori intrinseci del paziente, in particolare, l’età, l’obesità e il diabete. Un’appropriata profilassi antibiotica ha un effetto protettivo. Spesso, molti di questi fattori sono presi in considerazione nella costruzione di indici di rischio (5, 6). La stratificazione del rischio di infezione per indici di rischio facilita i confronti intraospedalieri per tipi diversi di intervento chirurgico e tra ospedali diversi per gli stessi tipi di intervento chirurgico. Come risulta nello studio riportato, il rischio di ISC aumenta con il numero di fattori di rischio dei pazienti. Questi dati mostrano anche che l’uso di indici di rischio può servire a identificare pazienti a elevato rischio immediatamente dopo l’intervento chirurgico e che, quindi, interventi preventivi aggiuntivi possono essere implementati.

 

La sorveglianza delle infezioni associate alle procedure assistenziali richiede l’uso di definizioni standardizzate e protocolli: il ricorso a definizioni diverse porterà a differenze nei tassi di infezione (7). Uno degli aspetti problematici nella sorveglianza delle ISC nei pazienti cardioperati è la sorveglianza post-dimissione, che in questo studio ha portato alla rilevazione del 40% delle ISC. Vari studi hanno mostrato che la sorveglianza post-dimissione dei pazienti cardioperati rileva un numero maggiore di infezioni. Comunque, la sorveglianza postdimissione comporta un notevole dispendio di tempo e i metodi in uso (contatto del paziente, contatto del chirurgo, utilizzo di lettere, ecc.) non sono standardizzati. In ogni ospedale il personale addetto al controllo delle infezioni deve valutare se e come fare la sorveglianza post-dimissione.

 

I motivi della variazione stagionale dell’incidenza osservata in questo studio non sono chiari. Durante i periodi estivi potrebbe diminuire la frequenza di procedure elettive, mentre gli indici di rischio dei pazienti potrebbero essere più elevati oppure è possibile che si verifichino temporanee riduzioni di personale. Negli Stati Uniti, è stata individuata una evidente associazione tra numerosità del personale nelle unità di terapia intensiva e frequenza di ISC (8).

Uno degli strumenti più importanti per ridurre il rischio di ISC durante gli interventi cardiochirurgici è l’appropriato ricorso alla profilassi antibiotica. L’antibiotico “giusto” deve essere somministrato al momento “giusto”. La somministrazione deve essere tale che le massime concentrazioni tissutali siano raggiunte nel momento della prima incisione. Pertanto, può non essere appropriata (troppo precoce) la somministrazione nel momento in cui il paziente viene chiamato per l’intervento o quando è in attesa nell’area di preparazione. Standardizzare il tipo di antibiotico da usare e somministrarlo all’induzione dell’anestesia può essere il modo migliore per monitorarlo.

Metodi aggiuntivi per ridurre il rischio di ISC nei pazienti cardioperati sono: ridurre la durata della degenza ospedaliera prima dell’intervento, eseguire la pulizia preoperatoria con un sapone antibatterico, non ricorrere alla tricotomia o, quanto meno, usare clipper al posto dei rasoi (che lesionano la cute, creando vie di accesso ai batteri), tenere sotto controllo i livelli di glicemia nei diabetici, non sottoporre a interventi di elezione pazienti con infezioni in altri siti, assicurarsi che la tecnica operatoria sia scrupolosa, ridurre al minimo il numero di persone coinvolte nell’intervento, evitando ogni affollamento nella sala operatoria, e, negli interventi di bypass, cambiare i guanti tra il prelievo del vaso dal suo sito di origine e l’inizio dell’incisione a livello del mediastino. La cardiochirurgia è molto complessa e richiede particolare attenzione nella prevenzione delle infezioni durante il decorso del paziente.

 

Studi come quello descritto mostrano la validità della sorveglianza delle ISC nei pazienti cardioperati. Misure del genere forniscono un’indicazione del tasso di infezione da confrontare con altri di riferimento o con altri ottenuti in tempi successivi, oltre a garantire ai pazienti una stima grossolana del loro rischio di infezione. L’utilizzo di questi dati per indirizzare le misure di prevenzione da adottare e stabilirne l’efficacia dovrebbe essere l’obiettivo dei programmi di prevenzione e controllo delle infezioni.

 

Riferimenti bibliografici:

1. Garner JS, Jarvis WR, Emori TG, et al. Am J Infect Control 1988;16: 128-40.

2. Protocollo HELICS per la sorveglianza delle infezioni ospedaliere nelle Unità di Terapia Intensiva. G Ital Infez Osp 1997; 4:175-84.

3. Mangram AJ, Horan TC, Pearson LM et al. Infect Control Hosp Epidemiol 1999; 20:247-80.

4. Lentzner KE, Rooks R, Weeks J, et al. Health and Aging Chartbook. Health, United States, 1999. Hyattsville, Maryland: National Center for Health Statistics; 1999.

5. Haley R, Culver D, Morgan WM, et al. Am J Epidemiol 1985;121: 206-15.

6. Culver DH, Horan TC, Gaynes RP, et al. Am J Med 1991;91 (suppl 3B):152-7.

7. Garner J, Jarvis WR, Emori TG, et al. Am J Infect Control 1988;16:128-40.

8. Robert J, Fridkin SK, Blumberg HM, et al. Infect Control Hosp Epidemiol 2000; 21:12-8.