English - Home page

ISS
Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
Istituto Superiore di Sanità - EpiCentro


SEIEVA Sorveglianza epidemiologica dell’epatite virale acuta

Di particolare interesse

Dalla letteratura internazionale

Altri tipi virali


5° Workshop SEIEVA

Dal 30 novembre al 2 dicembre 2000 si è svolto a Bagno Vignoni (SI) il 5° Workshop biennale del SEIEVA. All’incontro hanno partecipato i responsabili regionali del sistema di sorveglianza e alcuni esperti nel campo delle epatiti virali. Di seguito vengono riportati in sintesi gli argomenti trattati e le Tabelle (1-3) relative ai tassi di incidenza dei diversi tipi di epatiti virali.

 

Epidemiologia e prevenzione dell’epatite A

I dati SEIEVA dell’ultimo anno di osservazione, 1999, mostrano una netta riduzione del tasso d’incidenza dell’epatite A che ha raggiunto i livelli minimi degli altri periodi interepidemici (3 per 100 000) dopo alcuni anni in cui il tasso era stato elevato a causa dell’epidemia verificatasi nel Sud del Paese, particolarmente in Puglia. Il fattore di rischio più importante è sempre rappresentato dal consumo di frutti di mare, dichiarato da circa il 70% dei casi, mentre i viaggi, soprattutto di soggetti residenti al Nord, sono responsabili nel 20% dei casi notificati e il 14 % dei soggetti riporta come fattore di rischio il contatto con soggetto itterico.

In Puglia l’epidemia era stata provocata dal consumo di frutti di mare e poi si era protratta attraverso la trasmissione interpersonale, raggiungendo nel 1996-97 un’incidenza di oltre 130 casi /100 000 abitanti. Dal 1998 l’incidenza in questa regione si è notevolmente ridotta. In seguito all’epidemia, la regione Puglia ha avviato una campagna vaccinale nei bambini di 15-18 mesi e negli adolescenti. Nei bambini la copertura vaccinale raggiunta è stata estremamente modesta, mentre negli adolescenti, grazie all’effetto trainante della vaccinazione anti-epatite B, ha raggiunto l’86-96%.

È auspicabile che il nostro Paese, oltre all’impiego del vaccino per i gruppi per i quali è raccomandato, attui adeguati interventi di risanamento ambientale, di controllo sulla provenienza e la commercializzazione dei frutti di mare.

 

Linee guida per le vaccinazioni anti-epatite A

Nell’ambito del progetto “Percorsi diagnostico - terapeutici”, l’Istituto Superiore di Sanità ha avviato i lavori per l’elaborazione di linee guida sull’uso della vaccinazione anti-epatite A in Italia. La metodologia prevede quattro fasi: 1) costituzione di un panel multidisciplinare di esperti; 2) identificazione e formulazione di quesiti clinici specifici; 3) ricerca delle informazioni scientifiche pertinenti, attualmente disponibili sull’argomento, attraverso l’identificazione e la valutazione critica degli studi disponibili che comporta anche l’uso di strategie di ricerca appropriate nelle maggiori banche dati; 4) presentazione della sintesi dei risultati attraverso raccomandazioni con un grading che si riferisce al livello delle informazioni a supporto. I quesiti clinici individuati riguardano le aree seguenti: efficacia del vaccino; profilassi post-esposizione; analisi economica della vaccinazione; vaccinazione di gruppi a rischio; interventi in epidemie. Destinatari sono i responsabili dei distretti, i pediatri, i medici di base, i responsabili di sanità pubblica e coloro che decidono le politiche sanitarie di prevenzione, nonché i cittadini.

 

Epatiti e procedure invasive

Utilizzando i dati SEIEVA nel periodo 1994-98 è stato stimato il rischio di acquisire l’epatite B o C associato con ogni principale tipo di intervento chirurgico o procedura invasiva. La forza dell’associazione è stata stimata, dopo aver escluso i soggetti che riportavano l’uso di droghe per via endovenosa, i trasfusi e i minori di 15 anni, comparando 2 651 casi di epatite acuta B e 908 casi di epatite acuta C con 6 607 casi di epatite acuta A, utilizzati come controlli. Quasi tutte le procedure invasive considerate sono risultate significativamente associate a un eccesso di rischio di acquisire l’epatite B e C. Per l’epatite B le più forti associazioni sono state rilevate per la chirurgia addominale odds ratio (OR = 4,6), gli interventi oftalmologici (la maggior parte eseguiti per cataratta) (OR = 4,3), gli interventi urologici (OR = 3,9) e gli interventi odontoiatrici (OR = 3,7). Per quanto riguarda l’epatite C le procedure più a rischio sono risultate gli interventi oftalmologici (OR = 23,1), gli interventi ostetrico-ginecologici (OR = 15,4) e gli interventi cardiovascolari (OR = 13,9). Le procedure bioptiche ed endoscopiche sono risultate significativamente associate all’epatite C. Considerando che una larga parte della popolazione generale va incontro a interventi chirurgici o altre procedure invasive, questi risultati enfatizzano la necessità di una stretta osservanza delle precauzioni universali e di implementare i metodi per il mantenimento e la sterilizzazione dello strumentario utilizzato nel corso di questi interventi.

 

Vaccinazione di madri HBsAg+

Per valutare l’efficacia protettiva e l’immunogenicità a lungo termine della vaccinazione antiepatite B sono state studiate,nel 1998 1999 la persistenza dei livelli protettivi di anticorpi anti-HBs e l’incidenza di infezioni da virus selvaggio o da mutanti HBV nei neonati da madre HBsAg  positiva, che avevano ricevuto la profilassi post-esposizione con immunoglobuline e la vaccinazione alla nascita. Di 522 nati da madre HBsAg positiva nel periodo 1985-94 e sottoposti a immunoprofilassi passiva e/o vaccinazione attiva anti-HBV in tre ospedali della Campania, 17 sono risultati infettati naturalmente dal virus (anti-HBc positivi), 3 dei quali hanno sviluppato un’infezione cronica (HBsAg  e HBV-DNA positivi). In due di questi ultimi, è stata dimostrata la variante e-minus del virus perfettamente identica a quella materna, mentre nel terzo si è osservato il virus selvaggio “e” positivo con doppia sostituzione di una prolina al posto della valina a livello della determinante a del gene s (P120S, P127S). Dei 505 soggetti immunizzati e non infettati, 400 (79,2%) erano ancora protetti (titolo anticorpale > 10 mU/mL7), mentre nei rimanenti 105 (20,8%) l’anticorpo era indosabile. Questi dati indicano che l’efficacia protettiva a medio-lungo termine del vaccino antiepatite B è buona e ha permesso di contenere il rischio infettivo nei nati e successivamente conviventi di madri HBsAg positive.

Al termine della sessione, sono state avanzate due nuove proposte di studio: uno studio retrospettivo-prospettico sulla storia naturale dell’epatite C basato sui casi di epatite C notificati dal 1991 al SEIEVA; un trial clinico sull’uso della lamivudina in casi di epatite acuta B.

 

Le epatiti da farmaci

La sorveglianza delle epatiti acute la cui eziologia è potenzialmente attribuibile a farmaci è oggetto di sorveglianza da parte del SEIEVA dal 1997, anno in cui è stata aggiunta la specifica voce di raccolta dati nella scheda.

In tre anni di sorveglianza (1997-99) la frequenza relativa di epatiti nonA, non B enonC è  risultata pari al 2,3% (265 casi); tuttavia nel 40% dei casi (104) era mancante il dato relativo al consumo di farmaci; nel 34% dei casi in cui l'anamnesi farmacologica era stata effettuata ed era positiva per consumo di farmaci (55 casi), non risultava specificato il farmaco che poteva rappresentare il fattore di rischio.

I dati sono risultati quindi di qualità non adeguata per consentire una corretta e utile analisi. Nonostante i risultati, si è deciso di mantenere la voce nella scheda, promuovendo da parte degli utilizzatori una più accurata e completa raccolta dell'informazione, al fine di migliorarne la qualità e rendere il dato adeguato per l'elaborazione.

Sono stati riassunti, nell'intervento relativo allo "Studio multicentrico SEPAF", i risultati dello studio caso-controllo sulle epatopatie acute idiopatiche o da possibile causa farmacologica. Lo studio pilota di fattibilità è stato condotto con un disegno caso-controllo da gennaio a dicembre 1999. I 45 Centri partecipanti hanno segnalato 40 epatiti criptogenetiche e 2 epatiti acute da HBV; non è stato possibile costruire un campione adeguato di controlli, probabilmente per la particolare attenzione che i Centri partecipanti hanno riservato alle epatiti non virali. L'analisi dell'anamnesi farmacologica ha evidenziato in 22 casi (su 23 valutabili) esposizione a farmaci e/o a prodotti omeopatici o di erboristeria. Al termine della presentazione, è stato proposto di proseguire lo studio con una sorveglianza intensiva specialistica, ampliando la numerosità della casistica attraverso il coinvolgimento di altri Centri. Si è sottolineata l’importanza di disporre di campioni di sangue dei pazienti per eventuali indagini farmacogenetiche. La presenza di farmaci utilizzati nelle medicine alternative ha enfatizzato la necessità di porre attenzione ai prodotti della medicina omeopatica e omotossicologica.

 

Discordanze tra sistemi di sorveglianza per le epatiti acute

Due regioni (Piemonte e Puglia) hanno analizzato, mediante un linkage sulle informazioni comuni disponibili, la concordanza tra notifica del sistema SIMI, SEIEVA e scheda di dimissione ospedaliera. In particolare il Piemonte ha analizzato i dati relativi a epatite A e B sul 1998 e la Puglia ha analizzato la situazione per l’epatite A dal 1997 al 1999. Le discordanze numeriche riscontrate sono di tipologia diversa e possono essere attribuite a sovrastima per erronea classificazione di epatiti non acute (SDO), a sottostima per carenze nei flussi informativi (SEIEVA), discordanze nella definizione di caso sulla base dei differenti criteri diagnostici utilizzati.

Si è discusso circa l'utilizzo di un sistema di "cattura-ricattura" applicato alle tre fonti informative per valutare la sensibilità nella rilevazione della morbosità.

 

Di particolare interesse

epatite C

Peginterferon alfa-2a in patients with chronic hepatitis C. Zeuzem S, Victor Feinman S, Rasenack J, et al. N Eng J Med 2000; 343 (23): 1666-72.

Questo studio paragona gli effetti clinici di due tipi di trattamento, uno con peginterferon alfa-2a e l’altro con interferon alfa-2a in pazienti con epatite cronica C mai trattati in precedenza.

Il peginterferon alfa-2a deriva dall’unione covalente di una catena ramificata di glicole polietilenico con la molecola interferon alfa-2a: ne risulta un assorbimento prolungato, una minore clearance e una maggiore emivita rispetto alla molecola originaria.

Un totale di 531 pazienti con positività per anti-HCV, livelli di ALT superiori alla norma in almeno due occasioni nei sei mesi precedenti, HCV RNA superiore a 2 000 copie/ml e diagnosi istologica di epatite cronica, sono stati randomizzati in due gruppi. Al primo, di 267 pazienti, è stato somministrato un dosaggio di 180 mg di peginterferon alfa-2a sottocute  una volta a settimana per 48 settimane. Al secondo gruppo, di 264 pazienti, sono state somministrate 6 milioni di unità di interferon alfa-2a sottocute tre volte a settimana per 12 settimane, seguite poi da 3 milioni di unità tre volte a settimana per 36 settimane.

La valutazione dell’efficacia del trattamento è stata eseguita dopo 72 settimane adottando come criteri di outcome l’abbassamento della viremia (meno di 100 copie/ml) e la normalizzazione della alanina-aminotrasferasi (ALT).

Dei 267 pazienti che hanno ricevuto il peginterferon alfa-2a, 223 hanno completato il trattamento e 206 il follow up. Dei 264 pazienti che hanno ricevuto l’interferon alfa-2a, 161 hanno completato il trattamento e 154 il follow up. L’analisi dei risultati alla luce della intention to treat dimostra come il trattamento con peginterferon alfa-2a sia associato a una più marcata riduzione della viremia rispetto al trattamento con interferon alfa-2a.

Dopo 48 settimane, ovvero alla fine della terapia, il 69% dei pazienti trattati con peginterferon alfa-2a ha presentato un sostenuto abbassamento della viremia (P = 0,001) contro il 28% di quelli trattati con interferon alfa-2a.

Le rispettive percentuali sono state il 39% contro 19% dopo 72 settimane (alla fine del follow up). Anche la risposta biochimica (normalizzazione della ALT) è risultata di maggiore entità nel gruppo di pazienti trattati con il peginterferon alfa-2a (45% contro 25% P = 0,001). Un miglioramento istologico, definito sulla base di una comparazione pre e post trattamento, è stata osservato nel 63% dei pazienti trattati con peginterferon alfa-2a e nel 55% dei pazienti trattati con l’interferon.

Gli Autori hanno riscontrato un alto grado di correlazione tra l’abbassamento della viremia e la normalizzazione della ALT, in quanto l’84% dei pazienti del primo gruppo e il 71% di quelli del secondo le hanno presentato entrambe. Viene inoltre descritto un abbassamento sostenuto della viremia, a fine follow-up, maggiore tra quei pazienti trattati con peginterferon alfa-2a che, a fine terapia, non avevano una normalizzazione della ALT, rispetto a quelli che invece mostravano entrambi i miglioramenti (64% contro 50%). Analogamente si è osservata una normalizzazione della ALT oltre le 72 settimane (67% contro 60%) e un più marcato miglioramento istologico (79% contro 64%). Il motivo di questa differente risposta tra le due categorie di pazienti non è noto, ma gli Autori ipotizzano una maggiore risposta immunitaria dell’ospite e una eradicazione dei reservoirs di cellule infettate. Il netto miglioramento istologico indica inoltre che il peginterferon alfa-2a non ha effetti avversi a lungo termine sul fegato. Gli Autori concludono che un trattamento con peginterferon alfa-2a somministrato una volta a settimana è più efficace  di un trattamento  con interferon alfa-2a dato tre volte a settimana in pazienti con epatite cronica C.

 

Mother-to-child transmission of hepatitis C virus: evidence for preventable peripartum transmission. Gibb DM, Goodall RL, Dunn DT, et al. Lancet 2001; 356: 904-7.

Questo studio di coorte esamina gli effetti di alcuni fattori di rischio, inclusa la modalità di espletamento del parto, sul tasso di trasmissione verticale dell’infezione da HCV e utilizza come criteri di valutazione il tempo di scomparsa degli anticorpi nei bambini sani e l’accuratezza della PCR per la ricerca dell’HCV RNA.

I dati raccolti, provenienti da tre ospedali di Dublino e dalla British Paediatric Surveillance Unit, riguardano madri HCV positive e neonati con test positivo per gli anticorpi anti-HCV entro tre mesi dalla nascita.

Sono state arruolate in totale  441 coppie madre-figlio.

I fattori di rischio riportati sono stati  uso di droghe (78%), trasfusioni di sangue ed emoderivati (7%), cause non riconosciute (15%). La coinfezione con HIV si è rilevata nel 5% dei casi, mentre nel 21% lo status anti-HIV non era noto. L’età media delle donne era di 27 anni.

Centoquarantaquattro bambini (33%) hanno negativizzato gli anticorpi anti-HCV, di cui il 50% entro gli otto mesi di età. Solo due tra i 32 bambini testati oltre i 18 mesi di età sono risultati positivi. Per quanto riguarda gli altri soggetti inferiori ai 18 mesi di età, 156 hanno eseguito una sola volta la PCR e 6 di loro sono risultati positivi. Degli altri 92 bambini che hanno eseguito la PCR più di una volta, 8 sono risultati positivi, 71 negativi e 13 hanno mostrato dei risultati discordanti.

Il rischio complessivo stimato di trasmissione verticale dell’infezione da HCV è stato del 6,7%. Le madri coinfettate con HIV dimostravano un rischio 3,8 volte maggiore (18,6%) rispetto a quelle HIV-negative (6,8%). Tale aumento può essere ricondotto alla notevole carica viremica associata con la immunodeficienza.

L’allattamento non è risultato un fattore di rischio significativo per la trasmissione del virus.

Nessuno dei 32 bambini nati con parto cesareo elettivo ha mostrato evidenza di infezione. Contrariamente, il rischio stimato di trasmissione dell’infezione è risultato del 7,7% per il  parto per via vaginale e del 5,9% per il parto cesareo condotto in emergenza.

La sensibilità della PCR è risultata essere del 22% durante il primo mese di vita, per poi salire al 97% nei mesi seguenti. Gli Autori ritengono, di conseguenza, poco utile eseguire tale test nel primo mese e considerano indicativo di quasi certa assenza di infezione un risultato negativo dello stesso dopo il primo mese.

Se si ha una positività del test, il rischio di infezione è del 73% per cui gli Autori ravvisano la necessità di eseguirne un altro, sebbene i risultati classificati come falsi positivi possano includere anche i bambini che eliminano l’infezione e perdono gli anticorpi.

Gli Autori concludono affermando che se la riduzione della trasmissione dell’infezione da HCV nei parti cesarei d’elezione verrà confermata in altri studi, si dovrà valutare l’opportunità di uno screening prenatale, prendendo in considerazione l’accettabilità tra le pazienti tossicodipendenti e valutando il suo rapporto costo-beneficio.

 

epatite B

Effectiveness of hepatitis B vaccination in babies born to hepatitis B surface antigen-positive mothers in Italy. Mele A, Tancredi F, Romanò L, et al. J Infect Dis 2001; 184 (7): 905-8.

In questo lavoro è stata analizzata l’efficacia della vaccinazione anti epatite B  in una popolazione ad alto rischio di infezione ed è stata  valutata  la necessità di somministrare una dose di richiamo di vaccino per sostenere nel tempo l’immunità.

A questo scopo è stato indagato lo stato immunitario di 522 bambini, nati da madri HBsAg positive dal 1985 al 1994, ai quali alla nascita erano stati somministrati il vaccino e le immunoglobuline anti epatite B. A 5-14 anni di distanza 17 bambini risultarono anti-HBc positivi, di cui 3 erano anche positivi per HbsAg . Due di questi bambini erano infettati dal virus selvaggio, mentre il terzo aveva una doppia sostituzione prolina->serina alle posizioni 120 e 127 del gene S dell’HBV. Quest’ultimo bambino era HBeAg positivo ed aveva elevati titoli di anti-HBs, mentre la madre era portatrice del virus selvaggio e era anti Hbe positiva. Dei rimanenti 505 bambini, 400 (79,2%) avevano ancora livelli di anti-HBs protettivi (< 10 mU/mL).

Gli Autori sottolineando l’efficacia a lungo termine della vaccinazione nei neonati da madri HBsAg, affermano che la possibile emergenza di mutanti in seguito alla vaccinazione non sembra influenzarne la validità.

 

Dalla letteratura internazionale

epatite A:

Control of a community-wide outbreak of hepatitis A by mass vaccination with inactivated hepatitis A vaccine. Zamir C, Rishpon S, Zamir D, et al. Eur J Clin Microbiol Infect Dis 2001; 20 (3): 185-7.

The possible role of hepatitis A virus in the pathogenesis of atherosclerosis. Zhu J, Quyyummi AA,  Norman JE, et al. J Infect Dis 2000; 182: 1583-7.

Protracted, but not acute, hepatitis A virus infection is strongly associated with HLA-DRB1 1301, a marker for pediatric autoimmune hepatitis. Fainboim L, Canero Velasco MC, Marcos CY, et al. Hepatology 2001; 33 (6): 1512-7.

 

epatite B:

A dominant hepatitis B virus population defective in virus secretion because of several S-gene mutations from a patient with fulminant hepatitis. Kalinina T, Riu A,  Fischer L, et al. Hepatology 2001; 34 (2): 385-94.

Hepatitis B infection in patients with acute liver failure in the United States. K. Teo E, Ostapowicz G, Hussain M, et al. Hepatology 2001; 33 (4): 972-6.

 

epatite C:

Long-term mortality and morbidity of transfusion associated non-A, non-B and type C hepatitis: a national Heart, Lung and Blood Institute collaborative study. Seef LB, Hollinger FB, Alter HJ, et al. Hepatology 2001; 33: 455-63.

Cigarette smoking and hepatic lesions in patients with chronic hepatitis C. Pessione F,  Ramond MJ, Njapoum C, et al. Hepatology 2001; 34: 121-5.

Risk of parenterally transmitted hepatitis following exposure to surgery or other invasive procedures: results from the hepatitis surveillance system in Italy. Mele A, Spada E, Sagliocca L, et al. J Hepatology 2001; 35: 284-9.

 

ALTRI TIPI VIRALI:

SEN Virus infection and its relationship to transfused-associated hepatitis. Umemura T, Yeo AET, Sottini A, et al. Hepatology 2001; 33: 1303-11.

Responsabile SEIEVA: Alfonso Mele
Hanno collaborato: Enea Spada, Maria Elena  Tosti, Fabrizio Marzolini,  Andre’ Salem Szklo, Elvira Bianco, Loreta Kondili, Isabella Richichi, Simonetta  Crateri, Valeria Wenzel, Pina Iantosca e Tommaso Stroffolini

TOP