Gli antibiotici nell'allevamento bovino: risultati di un'indagine tra i veterinari del settore
Luca Busani1, Caterina Graziani1, Alessia Franco2, Alessandra Di Egidio2, Goffredo Grifoni2, Giovanni Formato2, Marcello Sala2, Nancy Binkin3 e Antonio Battisti2
1Laboratorio
di Medicina Veterinaria, ISS
2Istituto
Zooprofilattico Sperimentale di Lazio e Toscana, Roma
3Laboratorio
di Epidemiologia e Biostatistica, ISS
Gli antibiotici
sono farmaci fondamentali per il controllo delle malattie
infettive dell’uomo e degli animali. Hanno inoltre contribuito
al miglioramento delle produzioni zootecniche. Negli ultimi
anni si è però assistito all’emergenza e alla diffusione di
fenomeni di antibioticoresistenza, con possibili rischi per la
salute pubblica.
Per studiare
l’impiego degli antibiotici da parte dei veterinari che
lavorano nel campo dell’allevamento bovino e la loro percezione
del problema dell’antibioticoresistenza in considerazione dei
principi dell’uso prudente, definiti in modo consensuale da
vari organismi internazionali, è stata fatta un’indagine tra
giugno e settembre 2002, con i seguenti obiettivi:
-
valutazione dell’impiego degli antibiotici e conformità coi principi dell’uso prudente;
-
conoscenza dell’attitudine ad adottare pratiche conformi con le linee guida per l’uso prudente nel settore veterinario e identificazione di fattori associati con pratiche a rischio;
-
utilizzo di protocolli e strumenti di prevenzione collaterali (profilassi vaccinale, uso di probiotici) alla terapia antibiotica;
-
valutazione della percezione del problema dell’antibioticoresistenza;
-
Dalle liste di iscritti a due società scientifiche (1 143 soggetti) sono stati selezionati 250 candidati mediante campionamento casuale semplice. I soggetti selezionati sono stati intervistati telefonicamente riguardo:
-
tipo e dimensioni degli allevamenti;
-
attitudine all’impiego di vaccini per il controllo di patologie respiratorie ed enteriche batteriche;
-
uso del laboratorio per diagnosi e test di suscettibilità agli antibiotici;
-
uso di antibiotici per la terapia e la profilassi di mastiti, enteriti neonatali e dello svezzamento, infezioni respiratorie;
-
percezione del problema antibioticoresistenza;
Sono stati considerati solo veterinari liberi professionisti che operano nel settore dei bovini da latte e/o da carne. I dati sono stati inseriti mediante EpiData 2.1 e analizzati con EpiInfo 2002.
Centosei dei 250
veterinari (42%) sono stati inclusi nell’indagine, 48 non erano
idonei, 4 hanno rifiutato l’intervista, 92 non sono stati
reperiti telefonicamente. I veterinari intervistati seguono
circa 1/20 della popolazione totale di bovini sul territorio
nazionale; la maggioranza (81%) opera nel Nord Italia e segue
allevamenti di bovini da latte (62,3%).
La vaccinazione per
le infezioni respiratorie è consigliata nel 3% degli
allevamenti da latte e nel 34% in quelli da carne per le
enteriti neonatali è consigliata rispettivamente nel 24% e nel
30%.
La diagnosi da
laboratorio è utilizzata dal 67% per le mastiti, dal 37% per le
enteriti e dal 17% per le infezioni respiratorie. Oltre il 60%
pratica terapia empirica in attesa dei risultati del
laboratorio.
Gli antibiotici
prescritti con maggior frequenza sono riportate nella
Tabella. Tra gli intervistati, come prima
scelta in terapia, il 12% per mastite, il 68% per enteriti, il
28% per malattie respiratorie usano farmaci di “nuova
generazione“ (cefalosporine di III-IV, aminoglicosidi di nuova
generazione, fluorochinolonici), soprattutto nei grandi
allevamenti da carne. Per le forme respiratorie, il 12%
utilizza fenicoli (florfenicol). Il 20%, il 28% e il 62% ha
riportato l’uso di antibiotici per profilassi (metafilassi)
rispettivamente per enteriti, malattie respiratorie, mastite
(asciutta).
Il 21% “spesso” e
il 64% “talvolta” ha sperimentato insuccessi terapeutici.
Maggior propensione all’impiego di antibiotici di ultima
generazione si è riscontrata nei veterinari che hanno
riscontrato fallimento terapeutico. L’analisi multivariata ha
mostrato associazione significativa tra:
-
percezione di fallimento terapeutico (“spesso”) e utilizzo di antibiotici di nuova generazione per la mastite (OR aggiustato 4,1, IC 95% 1,1-14,3);
-
percezione di fallimento terapeutico (“spesso” e “talvolta”) e utilizzo di fluorochinolonici per le enteriti neonatali (OR aggiustato 6,2 IC 95% 1,6-23,8).
Dal 78% al 92% del campione ha partecipato a convegni/corsi d’aggiornamento nell’ultimo anno, è abbonato a riviste italiane e riceve aggiornamento dall’industria farmaceutica; il 39% consulta mailing list e il 24% è abbonato a riviste estere; circa il 20% utilizza correntemente tutti gli strumenti di aggiornamento. Oltre il 20% ha dimostrato un elevato livello di consapevolezza del problema dell’antibioticoresistenza.
Il campione
intervistato è abbastanza giovane, usa strumenti differenziati
di aggiornamento ed è a conoscenza di problemi connessi all’uso
non prudente degli antibiotici sia negli animali che nell’uomo.
L’attitudine all’utilizzo di antibiotici di nuova generazione
non è influenzata né dall’aggiornamento né dal livello di
percezione del problema antibioticoresistenza, né dall’utilizzo
del laboratorio, ma pare più legato all’esigenza di intervenire
farmacologicamente negli allevamenti in modo risolutivo.
Infatti, anche chi utilizza “spesso” il laboratorio per
diagnosi e antibiogramma per infezioni enteriche, tende a
impiegare fluorochinolonici come prima scelta (38,5%).
Tale attitudine è
considerata un comportamento a rischio in sanità pubblica; nel
nostro studio esso non risulta associato con l’età, l’area di
attività, la formazione, l’aggiornamento, l’uso del
laboratorio, la consapevolezza del problema
antibioticoresistenza. L’omologazione sostanziale nell’utilizzo
di alcune categorie di farmaci di nuova generazione si
evidenzia, purtroppo, anche nel trattamento delle enteriti
neonatali in cui la terapia antibiotica è indicata soltanto
quando sussistono sintomi di infezione sistemica.
Il commento
Antonia Ricci
Centro Nazionale di Referenza per le Salmonellosi, Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Legnaro (PD)
La resistenza dei
microrganismi agli antibiotici è attualmente considerata, a
livello mondiale, come uno dei principali problemi della sanità
pubblica, e coinvolge in modo equivalente la medicina umana e
la medicina veterinaria. è stato ampiamente dimostrato come
l’utilizzo di antibiotici negli animali porti alla selezione di
ceppi resistenti che hanno la possibilità di colonizzare
l’intestino e, conseguentemente, di essere escreti e di
contaminare l’ambiente e gli alimenti derivati (1). Questo
comporta una duplice possibilità di interazione animale-uomo:
da un lato, qualora i microrganismi resistenti siano agenti di
zoonosi (ad esempio, Salmonelle e Campylobacter), questi sono
in grado di causare infezione nell’uomo e ovviamente di
veicolare a quest’ultimo la propria resistenza, ma è
altrettanto vero che anche batteri non patogeni per l’uomo
subiscono nell’intestino dell’animale la stessa pressione
selettiva a cui sono sottoposti i batteri “target” della
terapia antibiotica e possono acquisire o esprimere
determinanti genetici di resistenza che possono essere
trasmessi a microrganismi diversi, anche spiccatamente
patogeni.
In un recente
lavoro (2) sono stati testati per quanto riguarda l’antibioticoresistenza
ceppi di Escherichia coli ed enterococchi isolati da contenuto
intestinale di bovini regolarmente macellati nell’ambito del
territorio regionale del Veneto. Per entrambi i microrganismi,
i livelli più elevati di resistenza si evidenziano nei ceppi
isolati da vitelli a carne bianca, il che è sicuramente da
mettere in relazione con il massiccio uso di sostanze ad azione
antimicrobica in questa categoria di animali. In particolare,
in E. coli sono da notare gli elevati livelli di resistenza al
sulfametoxazolo/trimethoprim (58,3%), al cloramfenicolo
(30,6%), e ai fluorochinoloni (16,7% all’enrofloxacin). Non
sono state rilevate resistenze nei confronti delle
cefalosporine. Per quanto riguarda gli enterococchi, batteri
commensali ma talvolta agenti responsabili di importanti
infezioni nosocomiali, si è evidenziata nei vitelli elevata
resistenza all’eritromicina (88,5%) e alla spiramicina (96,2%),
bassi livelli di resistenza ad ampicillina e gentamicina (<
10%), mentre il 26,9% e il 7,7% erano resistenti
rispettivamente a vancomicina e teicoplanina. Queste ultime due
resistenze assumono peraltro carattere di notevole gravità, in
quanto sono verso antibiotici particolarmente importanti nel
trattamento di infezioni da enterococchi multiresistenti
nell’uomo, al punto che l’evidenza di fenomeni di resistenza
alla vancomicina in batteri di origine animale ha portato nel
1997 al bando, a livello comunitario, dell’avoparcina (analogo
della vancomicina) come promotore di crescita negli animali
(3).
Questi risultati
sono particolarmente interessanti se letti alla luce
dell’indagine effettuata da Busani e coll., e portano a
sottolineare la necessità sia di istituire piani di
monitoraggio dell’antibioticoresistenza a livello nazionale,
sia di promuovere l’applicazione di pratiche di uso prudente
degli antibiotici nel settore zootecnico.
Riferimenti bibliografici
1. Ricci A, Vio D, Zavagnin P, et al. Monitoraggio dell’
antibioticoresistenza in batteri zoonotici e commensali isolati
da bovini al momento della macellazione. Atti della Società
Italiana di Buiatria 2003; 35: 59-66.
2. Van den Bogaard
AE, Stobberingh EE. Epidemiology of
resistance to antibiotics. Links between animals and
humans. Int J Antimicrobial Agents 2000; 14(4): 327-35.
3. Direttiva
97/72/CE della Commissione del 15 dicembre 1997 relativa agli
additivi nell'alimentazione degli animali. GU n. L 351 del 23
dicembre 1997. p. 0055-9.