Informazioni generali
BSE significa letteralmente: Bovine Spongiform Encephalopathy, ma la malattia è universalmente nota come “morbo della mucca pazza”. Si tratta di una malattia del gruppo delle Encefalopatie Spongiformi Trasmissibili (TSE), o malattie da prioni, che colpisce prevalentemente bovini, ed è causata da un agente infettivo non convenzionale: è ormai generalmente accettato che questo agente infettivo non sia un virus, bensì una proteina modificata rispetto alla forma “non patologica”, definita “prione”.
La malattia prende il nome dalle lesioni encefaliche, che appaiono all’esame
microscopico come aree otticamente vuote che ricordano appunto l’aspetto “di
spugna”. Gli esami dei tessuti cerebrali delle mucche con la forma
conclamata di malattia, mostrano chiaramente la presenza delle tipiche
lesioni spongiformi, causate dall’accumulo nei neuroni della forma
patologica (PrPsc, acronimo da Prion Protein Scrapie) di una proteina, detta
PrPc, fisiologicamente presente nelle cellule nervose bovine come anche in
quelle degli altri animali e dell’uomo.
La malattia colpisce maggiormente le mucche da latte, che si ammalano con
maggior frequenza all’età di circa 5 anni. Dal punto di vista clinico i
sintomi rilevabili sono prevalentemente di tipo neurologico, tra cui
prevalgono modificazioni del comportamento, della sensibilità, del
movimento. Nella maggior parte dei casi, questi sintomi sono i primi a
comparire. La mucca diventa ansiosa, nervosa e aggressiva, sembra
intimorirsi dall’avvicinamento dell’uomo e reagisce in modo eccessivo agli
stimoli esterni (per esempio durante la mungitura, oppure quando qualcuno si
avvicina eccessivamente o in modo improvviso). A questi comportamenti si
possono associare sintomi che rivelano un coinvolgimento del sistema nervoso
autonomo, come la diminuzione della frequenza di ruminazione e del battito
cardiaco, e la caduta della produzione lattea.
Man mano che la malattia progredisce i deficit nella capacità di
movimento e nella postura si fanno più accentuati: le mucche tendono a
rimanere con la testa abbassata, vanno soggette a tremori involontari e
l’andatura si fa barcollante. Incespicano e cadono spesso sulle zampe
posteriori, fino a punto in cui non riescono a mantenere la stazione eretta.
Un po’ di storia
La BSE è stata diagnosticata per la prima volta nel Regno Unito nel 1986. Si riteneva fosse una malattia specifica della specie bovina, finché non furono descritte, a partire dal 1990, nuove forme morbose analoghe nel gatto e in alcune specie di felidi e di ruminanti selvatici di giardini zoologici inglesi, alimentati con carni e mangimi con componenti di farine di carne ed ossa di ruminanti. Fin dal 1988 erano stati sollevati sospetti di un legame tra la BSE e la somministrazione di farine animali negli allevamenti bovini inglesi. Sospetti che nello stesso anno sfociarono nella messa al bando ufficale di questi prodotti dall’alimentazione dei ruminanti del Regno Unito, seguita da analoga decisione comunitaria dal 1994.
Nel
Regno Unito
si sono contati fino ad ora circa 190.000 casi di BSE: il picco si è
riscontrato nel 1992 con oltre 37.000 nuovi casi, contro i poco più di mille
del 2000. A luglio del 2001, nel resto della
Comunità Europea
sono stati diagnosticati circa 2000 casi di BSE. Attualmente si ritiene che
la crisi sia stata innescata dal “riciclaggio” del prione attraverso
l’utilizzo di carcasse di bovini affetti da BSE nella produzione di farine
di carne ed ossa destinate all’alimentazione animale.
Per quanto riguarda l’origine della malattia fra i bovini, ci sono diverse
ipotesi. Il modello accettato dalla maggior parte degli esperti è di tipo
multifattoriale: l’aumento della proporzione di farine di carne che venivano
usate nella dieta delle bovine da latte, il riciclo delle carcasse infette,
nonché le modifiche nella tecnologia di produzione delle farine a partire
dal 1981-82, avrebbero innescato e favorito l'amplificazione fra i bovini di
un agente raro e non ancora identificato, oppure di un ceppo dell’agente
della
scrapie delle pecore.
La sorveglianza
L’attitudine dimostrata dall’agente della BSE al cosiddetto “salto di specie” ha portato nuova apprensione quando, nel 1996, fu descritto il primo caso della cosiddetta nuova variante della malattia di Creutzfeld-Jakob (nvCJD). Dal 1996 ad oggi sono stati segnalati circa 100 casi di nvCJD (picco nel 2000 con 28 casi), di cui 3 soltanto al di fuori del Regno Unito. Oggi è di fatto generalmente accettato che la malattia sia dovuta all’esposizione a materiali specifici a rischio (SRMs), cioè a tessuto nervoso e ad altri tessuti bovini in cui è stata dimostrata la presenza dell’agente.
Oggi, a livello di sanità pubblica, la malattia viene considerata
prioritaria per la percezione che l’opinione pubblica europea e mondiale ha
avuto ed ha attualmente del problema. Il timore di contrarre una malattia
comunque letale (al pari della rabbia, per esempio) può costituire una
chiave di lettura per interpretare la profonda crisi e la perdita di fiducia
di parte dei consumatori nei confronti della carne bovina. In Italia, nel
primo semestre 2001, in seguito all’entrata in vigore delle disposizioni che
prevedono i test per BSE su tutti i capi macellati oltre i 24 mesi di vita e
alla positività in alcuni di essi, si è assistito a una riduzione notevole
del consumo di carni bovine. La crisi BSE si è aggiunta ad altre questioni
legate alla più generale problematica della sicurezza alimentare. Al 3
gennaio 2002 secondo il
Ministero della Salute sono stati rilevati 49 casi positivi su oltre
455.000 analisi effettuate.
Per quanto riguarda le disposizioni comunitarie per l’adozione di un Sistema
di Sorveglianza Permanente, l’Italia è all’avanguardia o comunque al passo
con gli altri Stati Membri: è previsto infatti l’esame obbligatorio per
tutti i bovini con sintomi, l’effettuazione dei test BSE in laboratori
autorizzati delle categorie a rischio, (si testano tutti i morti in stalla e
tutti i bovini macellati di età uguale o superiore a 24 mesi). Sembra
tuttavia opportuno potenziare gli sforzi per altri due punti espressamente
indicati dalla Comunità Europea: l’ottenimento di risultati di Risk Analysis
per tutti i potenziali fattori di insorgenza della malattia e la loro
evoluzione nel tempo e l’implementazione di un programma di formazione
destinato a veterinari, allevatori, ed altre categorie di operatori allo
scopo di incoraggiare la segnalazione di casi clinici sospetti.