Test Bse in Italia
Il
primo Paese europeo ad effettuare un’attività di sorveglianza attiva nei
confronti della BSE, a seguito di diagnosi di casi di malattia ottenuti con
un sistema “passivo”, è stata la Svizzera, seguita nel 2000 anche dalla
Francia. L’adozione di un sistema che ricerchi attivamente i casi nei bovini
portati al macello ha portato ad un incremento significativo nel numero di
casi diagnosticati per anno. Per esempio, in Francia si è passati da 31 casi
nel 1999 a 149 casi nel 2000. All’inizio del 2001 anche Germania, Italia e
Spagna hanno adottato il sistema attivo, sull’onda della preoccupazione
crescente dell’opinione pubblica, giungendo inevitabilmente alla scoperta dei
primi casi di BSE.
In
Italia viene eseguito un test rapido di screening (Western blot) su ogni
bovino macellato regolarmente di oltre i 30 mesi di età (24 mesi dal 12
settembre 2001) e su ogni animale di almeno 24 mesi delle categorie definite
“a rischio”, ovvero gli animali inviati per macellazioni d’urgenza o con
sintomi sospetti all’esame ante-mortem, e sugli animali morti in
stalla. Inoltre, ad ulteriore garanzia del consumatore, su tutti gli animali
macellati al di sopra dei 12 mesi di vita, vengono asportati e distrutti i
tessuti ad alto rischio (fra cui: sistema nervoso centrale, milza, tonsille,
spina dorsale), quelli cioè in cui si annida il prione patologico.
Per
quanto riguarda i punti critici delle misure adottate per affrontare la crisi
BSE, è necessario sottolineare che la decisione di estendere i test a tutti i
bovini macellati, ha sollevato perplessità sull’appropriatezza dell’utilizzo
di test “rapidi”, disegnati per animali con sintomi clinici (malattia
neurologica manifesta). I dubbi riguardano la possibilità per questo tipo di
test, di rilevare la malattia anche molto tempo prima che si manifesti. In
condizioni sperimentali, la sensibilità dei test risultava del 100%
(99.7-100%, one sided Poisson), classificando correttamente tutti i soggetti
positivi di riferimento (animali affetti da forma clinica di BSE), ma
mostrando vari gradi di sensibilità analitica (10-1 - 10-2.5)
quando i campioni positivi di riferimento venivano diluiti serialmente. I
campioni diluiti dovrebbero corrispondere a quelli in cui la malattia è in
una fase molto precoce. Questo esperimento ha dunque mostrato i limiti del
test di diagnosticare precocemente la malattia, quando cioè la concentrazione
di proteina prionica patologica nei tessuti è ancora bassa.
Questi
test (in Italia il test Western Blot) sono stati successivamente utilizzati a
garantire in un certo modo la sanità delle carni bovine esitate al commercio,
nonostante le loro differenze in sensibilità analitica e nonostante non si
abbiano sufficienti informazioni sulla progressione della malattia nel bovino
(in particolare la relazione esistente tra titoli infettanti e la
concentrazione di PrPsc lungo il periodo di incubazione).