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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Distribuzione geografica e variazioni socioeconomiche del consumo di sodio e potassio in Italia

Simona Giampaoli*, Pasquale Strazullo**, Diego Vanuzzo***, Francesco Cappuccio,  Luigi Palmieri*, Chiara Donfrancesco*, Cinzia Lo Noce*, Serena Vannucchi*

 

* reparto Epidemiologia delle malattie cerebro e cardiovascolari, Cnesps-Iss

** Università di Napoli Federico II

*** Anmco/Hcf, Firenze

****Università di Warwick (Regno Unito)

 

24 settembre 2015 - Esiste un significativo gradiente Nord-Sud per il consumo di sale in Italia. Le persone che vivono nelle Regioni meridionali hanno una maggiore escrezione di sodio che altrove. Inoltre il consumo di sale nel nostro Paese è significativamente più elevato nei gruppi sociali più svantaggiati: esiste infatti un’associazione lineare anche tra occupazione, livello di istruzione e consumo di sale. L’articolo “Geographic and socioeconomic variation of sodium and potassium intake in Italy: results from the Minisal-Gircsi programme”, pubblicato sul British Medical Journal (Bmj) a settembre 2015, riporta i dati dello studio trasversale Minisal-Gircsi, condotto nel nostro Paese su un campione di 3857 uomini e donne di età 35-79 anni, arruolati nelle 20 Regioni italiane nell’ambito dell’Osservatorio epidemiologico cardiovascolare/Health Examination Survey (Oec/Hes).

 

Una riflessione interessante quella dell’indagine, anche alla luce della prossima Giornata mondiale del cuore che, come ogni anno, si celebra il 29 settembre. L’edizione 2015 ha infatti come slogan “Healty heart choices for everyone, everywhere” che sottolinea l’importanza di creare “ambienti salutari per il cuore” così da favorire scelte sane (dunque anche quelle relative all’alimentazione) per salute cardiovascolare.

 

Perché studiare il consumo di sodio e potassio?

Il sodio è presente nella nostra alimentazione in gran parte sotto forma di cloruro di sodio (NaCl), cioè di sale. In quantità molto minore come additivo alimentare, come per esempio il sodio glutammato. Il cloruro di sodio è presente in piccole quantità negli alimenti naturali ma nel corso della trasformazione industriale o artigianale viene spesso aggiunto come conservante, per conferire il sapore di salato o per migliorare le qualità organolettiche, come esaltatore di gusto e correttore di aromi non gradevoli.

 

Il sodio viene assorbito nel tratto distale dell’intestino tenue e nel colon e il contenuto medio nel nostro corpo è pari a 1,3-1,4 g/kg di peso corporeo: la metà si trova nei fluidi extracellulari, circa il 12% nei liquidi intracellulari (a una concentrazione nettamente inferiore) e il 35-40% nello scheletro. Il gradiente di concentrazione tra l’ambiente intracellulare ed extracellulare è mantenuto grazie all’azione della pompa sodio-potassio, che trasferisce sodio e potassio rispettivamente dall'interno all'esterno della cellula e viceversa contro il gradiente di concentrazione, lavoro reso possibile dall’energia fornita dall’ATP (Adenosina trifosfato).

 

Il bilancio corporeo del sodio è strettamente legato a quello dei fluidi ed è finemente preservato dall’opera dei reni. Il sodio che passa il filtro glomerulare è quasi totalmente riassorbito a livello tubulare.

 

La misurazione dell’escrezione di sodio nelle urine delle 24 ore rappresenta il metodo di elezione per la stima dell’apporto giornaliero. Dato il fabbisogno giornaliero molto basso, un deficit di sodio da ridotto apporto alimentare non si verifica in condizioni normali, neppure con diete a contenuto di sale molto basso. Una condizione di eliminazione eccessiva può verificarsi soltanto in condizioni patologiche, come nel caso di sudorazione profusa e prolungata, traumi, ustioni estese, diarrea cronica, vomito incoercibile, cheto-acidosi diabetica, eccessiva assunzione di diuretici. Anche la tossicità acuta da eccesso di sodio è improbabile; in condizioni patologiche, quali scompenso cardiaco, cirrosi epatica con ipertensione portale o insufficienza renale, l’assunzione di sodio ai livelli abitualmente presenti nell’alimentazione comporta un pericoloso aumento del volume totale dei fluidi extracellulari.

 

L'abuso abituale alimentare di sodio tende a favorire un aumento del volume dei fluidi extracellulari, mettendo in moto meccanismi di contro-regolazione della neutralità del bilancio idro-salino a spese di un aumento nel tempo della pressione arteriosa. Pertanto l’abuso di sale nella alimentazione quotidiana è un rischio per la salute: ridurre il consumo di sale contribuisce a prevenire non solo l’ipertensione arteriosa e le malattie cardiovascolari ad essa correlate, ma anche altre malattie quali gastrite, tumore dello stomaco, osteoporosi, insufficienza renale.

 

Nel documento “Global Action Plan for the prevention and control of noncommunicable diseases 2013-2020”, fra gli obiettivi di prevenzione, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) raccomanda agli Stati membri la riduzione del 30% nel consumo di sodio nella popolazione generale.

La relazione tra assunzione di potassio e la pressione arteriosa è nota da tempo. Il potassio è un elemento coinvolto nel mantenimento del bilancio idro-elettrolitico, della normale omeostasi cellulare e della funzione dei tessuti eccitabili. Noto è il suo ruolo nella regolazione della pressione arteriosa con livelli pressori più bassi in presenza di un apporto elevato di potassio con la dieta. Gli alimenti più ricchi di potassio, e soprattutto con un rapporto potassio/sodio più elevato, sono rappresentati da cibi freschi non sottoposti a trattamenti tecnologici di conservazione (frutta, verdure e carni fresche).

 

L’articolo del Bmj

Come detto, l’articolo pubblicato sul Bmj riguarda lo studio Minisal-Gircsi, nato nell’ambito dell’Osservatorio epidemiologico cardiovascolare/Health Examination Survey (Oec/Hes). L’Oec/Hes è stato condotto tra il 2008 e il 2012, grazie all’accordo di collaborazione fra Istituto superiore di sanità, l’Anmco-Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri–Fondazione per il tuo Cuore-Hcf, e ha esaminato 8714 uomini e donne su tutto il territorio nazionale, un campione di circa 220 persone ogni milione e mezzo di abitanti. Il consumo di sodio e potassio attraverso l’alimentazione è stato determinato analizzando le urine delle 24 ore da parte dell’Università di Napoli. Lo stato socio-economico è stato valutato attraverso 2 indicatori: titolo di studio (laurea, scuola superiore, scuola media, scuola elementare o equivalente) e livello di occupazione (8 categorie: dirigenti, funzionari e impiegati, operai qualificati, operai a bassa qualificazione, persone disabili, disoccupati e cassa-integrati, casalinghe).

 

Obiettivo dell’analisi condotta dal gruppo di studio dell’University of Warwick, esperto nel settore, avendo già condotto un’analisi analoga per la Gran Bretagna, era quello di valutare la distribuzione spaziale e socio-economica del consumo di sodio e potassio tenendo conto dei possibili confondenti socio-demografici, antropometrici e comportamentali.

 

L’analisi ha evidenziato un gradiente Nord-Sud significativo per il consumo di sale in Italia. Le persone che vivono nelle Regioni meridionali (per esempio Calabria, Basilicata e Puglia) hanno una maggiore escrezione di sodio che altrove (per esempio Val d’Aosta e Trentino-Alto Adige). Esiste un’associazione lineare anche tra occupazione e consumo di sale. Se confrontati con il livello di occupazione I (alta direzione), i livelli di occupazione III e IV hanno un 6,5% di maggiore consumo di sale. Una relazione simile è stata trovata tra livello di istruzione e consumo di sale: le persone con titolo di studio elementare e scuole medie, se paragonate a quelle laureate, hanno un 5,9% in più di sodio nelle urine. Il gradiente socio-economico spiega la variazione spaziale.

 

L’assunzione di potassio risulta maggiore nelle Regioni del centro Italia e in alcune Regioni al Sud. Coloro che hanno un livello di occupazione V (lavoratori con bassa qualificazione) mostrano un 3% di escrezione di potassio in meno rispetto alle persone con livello di occupazione I. In ogni caso, il gradiente socio-economico spiega solo parzialmente la variazione geografica.

 

In conclusione il consumo di sale in Italia è significativamente più elevato nei gruppi sociali più svantaggiati. Questo gradiente è indipendente da possibili confondenti e spiega molto bene la variabilità geografica.

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