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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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La battaglia dello Zimbabwe contro il colera

Anna Pellizzone - redazione EpiCentro

 

(traduzione, sintesi e adattamento da:

The Lancet, volume 373, numero 9668, pagine 993-994, 21 marzo 2009)

 

16 aprile 2009 - I casi di morte per colera nello Zimbabwe sono diminuiti, ma sono ancora di gran lunga al di sopra dei livelli accettabili stabiliti dalla comunità internazionale. Il numero delle infezioni di colera ha iniziato a diminuire nel febbraio 2009, alimentando così la speranza che l’epidemia, che ormai andava avanti dai oltre sei mesi, fosse finalmente sotto controllo. La terza settimana di febbraio si sono registrati 5000 nuovi casi di colera, contro i 7000 della settimana precedente. Ma il controllo della malattia sarà effettivamente raggiunto solo se le agenzie e le autorità aumenteranno i loro sforzi per costruire strategie di prevenzione tra le comunità della popolazione. “Se non diamo questa spinta, potremmo continuare a vedere questa situazione per molte settimane ancora”, dichiara il direttore dei programmi di ricovero dell’Oms Daniel Lopez Acuna, “e quindi ci troveremmo di fronte a un evitabile e non necessario costo in termini di vite umane”.

 

I numeri dell’epidemia

Le agenzie di aiuto internazionale condividono le preoccupazioni di Daniel Lopez Acuna. Al 9 marzo 2009 i decessi accertati erano più di 4000 e gli abitanti dello Zimbabwe che hanno contratto la malattia quasi 90.000. Si tratta del più alto numero di infezioni mai registrate in una singola epidemia. “Nessuno sa quanto cresceranno questi numeri”, spiega Kate Sheahan, responsabile della risposta all’emergenza del gruppo inglese Merlin, che sta contribuendo all’istituzione di 50 punti per la reidratazione orale nelle cliniche e nei centri del Paese.

 

L’epidemia è iniziata nel tardo agosto del 2008, quando due decessi per colera sono stati riportati nel dormitorio della città di Chitungwiza. “È dal 2004 che temiamo l’arrivo di un’epidemia”, dichiara a The Lancet Farai Mangodza, dirigente di un’associazione di residenti di Harare. In Zimbabwe, infatti, piccoli focolai di colera sono diffusi dal 1992 ma questa volta una serie di fattori sfavorevoli hanno trasformato uno di quei piccoli focolai in un’epidemia devastante.

 

La situazione politica

Le tensioni politiche tra il presidente Robert Mugabe e il Movimento per il cambiamento democratico, accompagnate dalla crisi economica, hanno inflitto gravi danni alle infrastrutture di Harare. Fogne a cielo aperto sono emerse in molte parti della città. I tagli dell’acqua sono diventati frequenti. Addirittura, in alcune aree della città, non si è avuta acqua corrente per due anni. I residenti, disperati, hanno iniziato a usare l’acqua di superficie, molto spesso contaminata. La scarsità di carburanti ha reso impossibile la raccolta dei rifiuti. “La violazione del diritto all’accesso ad acqua sicura e potabile e a un’igiene adeguata e il collasso del sistema sanitario sono state le cause dell’epidemia”, afferma l’Associazione di medici dello Zimbabwe per i diritti umani (Zimbabwe Association of Doctors for Human Rights) in un rapporto del 26 febbraio 2009 intitolato: “Cholera in a Time of Health System Collapse: Violations of Health Rights and the Cholera Outbreak”.

 

Le condizioni economiche e sanitarie della popolazione

La malattia si è diffusa a ventaglio attorno alla città di Harare, colpendo soprattutto i centri di Budiriro, Glen View e Glen Norah. Indeboliti dalla disoccupazione (il 94% della popolazione non ha un lavoro), dall’inflazione e dalla mancanza di cibo, i cittadini non sono nelle condizioni di fare fronte all’epidemia. Molti non possono sostenere le spese per lo zucchero e per i sali necessari alla reidratazione o per i trasporti verso le strutture sanitarie. Secondo i dati della Zimbabwe Association of Doctors for Human Rights, il 61% delle morti per colera è avvenuto al di fuori dei centri di trattamento e l’alto tasso di infezioni da Hiv (nello Zimbabwe un cittadino su 6 è sieropositivo) ha probabilmente aumentato la vulnerabilità della popolazione. L’epidemia si è quindi diffusa alle città di Chinhoyi, Beitbridge e Chegutu, dove si è assistito al fenomeno degli “orfani del colera”, fino a raggiungere velocemente tutte le dieci Province dello Zimbabwe e oltrepassando anche i confini nazionali verso la Provincia del Limpopo nella Repubblica Sudafricana.

 

Il Governo dello Zimbabwe ha dichiarato lo stato di calamità nazionale il 3 dicembre 2008, consentendo solo allora l’accesso agli aiuti internazionali, quando i decessi accertati erano già superiori a 480 e il numero di infezioni di oltre 11.700. Messaggi di prevenzione, come quello dell’Unicef che raccomandava di utilizzare solo acqua bollita, raramente sono stati rispettati per via delle pessime condizioni di vita nelle città, dove l’elettricità è disponibile solo 20 ore alla settimana e la legna da ardere è molto costosa.

 

L’educazione sanitaria

I donatori hanno investito circa 300 mila dollari per stampare poster informativi sulla malattia. I poster sono arrivati alle aree rurali solo sporadicamente e molto spesso, a causa della scarsa disponibilità di carta nel Paese, sono stati utilizzati per altri scopi (come carta igienica o per avvolgere le verdure). Anche le pastiglie per purificare l’acqua sono state spesso utilizzate in modo sbagliato: si è infatti diffusa la convinzione che, se inghiottite, potessero essere una cura contro il virus Hiv.

 

Le strategie per combattere il colera sono gradualmente cambiate all’inizio del 2009, nel momento in cui l’epidemia si è spostata nelle aree rurali. Il personale impegnato nelle azioni di aiuto è coinvolto nella ricerca dei casi di infezione, nell’educazione delle famiglie dei pazienti e nella disinfezione delle case.

 

Il governo dello Zimbabwe

“Da un punto di vista medico sono soddisfatto della risposta al colera”, dichiara a The Lancet il nuovo ministro della Salute Henry Madzorera. “ Abbiamo colmato quasi tutti i nostri punti deboli con l’aiuto internazionale”. Il picco di mortalità è sceso dal 5,7% del 21 gennaio 2009 al 4,6% del 25 febbraio 2009 e, anche se ancora di gran lunga al disopra della soglia accettabile a livello internazionale (1%), il ministro dichiara che “rappresenta comunque un miglioramento”.

 

La nuova coalizione di Governo è fonte di speranza. La situazione di stallo politico durata per mesi è finita l’11 febbraio 2009 con l’insediamento del nuovo Primo ministro Morgan Tsvangirai, leader del Movimento per il cambiamento democratico. Alla cerimonia d’inaugurazione, Morgan Tsvangirai ha dichiarato la priorità della lotta all’epidemia di colera e, insieme al presidente Mugabe, ha partecipato a un meeting con le Nazioni Unite.

 

Povertà e scarsità di cibo

La scarsa disponibilità di alimenti rimane una minaccia. “Il problema che abbiamo ora nei campi per il trattamento del colera è la mancanza di cibo per i pazienti. Anche il personale sanitario ha fame”, spiega Morgan Madzorera. In gennaio la seconda ondata di infezioni ad Harare è stata causata dagli abitanti delle zone rurali venuti in città alla ricerca di cibo. Febbraio e marzo sono le stagioni in cui si raggiunge il picco della fame: il World Food Programme calcola che nello Zimbabwe circa 7 su 11,6 milioni di persone hanno bisogno di aiuto. Una situazione confermata dagli esperti del settore che dichiarano che le strategie per costruire la sicurezza alimentare nel Paese sono di primaria importanza.

 

La situazione economica è molto grave. Gli operatori sanitari della metà delle cliniche per la cura del colera non hanno abbastanza garanzie. Fino a oggi le donazioni per la lotta contro il colera sono state molto generose, ma si teme una minore disponibilità di fondi per il sostegno di attività a lungo termine per la garanzia di acqua, sanità e igiene e per la prevenzione di altre epidemie in futuro. La battaglia è tutt’altro che vinta. “Dobbiamo considerare il colera ancora per alcuni mesi come altamente endemico”, dice Anne-Claude Rossier, del Comitato internazionale della Croce Rossa ad Harare. “Possiamo sperare per il meglio, ma… dobbiamo essere preparati al peggio”.