Influenza A/H1N1: riflessioni “post-picco pandemico”
Queste pagine fanno riferimento a una situazione epidemiologica non più attuale e vengono mantenute come forma di documentazione di archivio.
23 settembre 2010 - A un anno circa dalla dichiarazione dello stato di pandemia provocato dal nuovo virus influenzale A/H1N1, la presidenza belga dell’Unione europea, in cooperazione con la Commissione europea, ha organizzato a Bruxelles una conferenza per fare il punto della situazione (si veda il resoconto sintetico, pdf 32 kb, su questo numero di EpiCentro). Nel frattempo l’Oms, che definisce le fasi epidemiologiche mondiali, ha annunciato che attualmente siamo nella fase “post-picco”, in attesa di verifica del livello a cui scenderemo prossimamente.
«In questo momento in cui l’ondata di pandemia è passata – commenta Stefania Salmaso, direttore del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (Cnesps) dell’Istituto superiore di sanità (Iss) – tirare le fila di quello che è successo e di quello che abbiamo imparato da questa esperienza è importantissimo a tutti i livelli, perchè le ragioni che stanno dietro alle scelte e alle strategie portate avanti devono essere chiare, prima di tutto agli operatori sanitari, che sono stati e che in futuro saranno chiamati in analoghe situazioni a svolgere un ruolo chiave».
I piani d’intervento
Proprio per la rapidità di diffusione e i rischi di gravi conseguenze per la salute di tutti, che caratterizzano le pandemie, l’Oms da molti anni aveva raccomandato ai singoli Paesi di preparare e tenere pronti i piani pandemici di risposta, da attivare al momento opportuno. Piani che devono contemplare strategie idonee a fronteggiare scenari severi. «In caso di pandemia infatti – spiega il direttore del Cnesps – i piani di risposta devono essere organizzati in modo da essere subito pronti a entrare in funzione, come molle cariche, veloci a scattare e a garantire interventi non solo tempestivi, ma anche efficaci e tarati sulle specifiche realtà locali. I piani pandemici di tutto il mondo sono stati redatti in seguito all’allarme dell’influenza “aviaria” H5N1 e quindi erano calibrati su uno scenario senz’altro peggiore di quanto abbiamo invece vissuto recentemente».
Prepararsi il meglio possibile al peggio: è questa, in poche parole, la necessità che ha messo in moto azioni come la valutazione in tempi rapidissimi degli studi clinici sui vaccini disponibili, l’attivazione dei sistemi di sorveglianza per monitorare i rischi, l’offerta di vaccinazione. Anche in Italia, quindi, al momento di dichiarazione di fase 6 della pandemia, si è attivato il piano pandemico (pdf 600 kb) già preparato.
L’evoluzione imprevista
Come in passato, anche nel caso del nuovo virus A/H1N1, la pandemia si è rivelata un fenomeno difficile da prevedere nella sua evoluzione. Dalla fine di aprile 2009 l’infezione ha fatto molto velocemente il giro del mondo, per poi arrestarsi prima del previsto.
«In Gran Bretagna, per esempio – continua l’esperta dell’Iss – ci sono state addirittura due ondate: la prima in maggio-giugno 2009, quando le scuole erano ancora aperte e sono stati importati molti casi dagli Usa. E la seconda in autunno, più o meno in corrispondenza di quella italiana. Sulla base delle esperienze precedenti, era plausibile attendersi che la pandemia continuasse a propagarsi al di fuori dell’ambito scolastico (che ne aveva fatto da moltiplicatore iniziale), diffondendosi così anche all’interno dei nuclei familiari. Un’aspettativa sostenuta, oltre che dai dati storici, anche dai primi dati sulla trasmissibilità dell’infezione virale, che avevano confermato una maggiore capacità di propagazione di questo virus rispetto a quello stagionale. Anche in Italia si sono prodotte stime di trasmissibilità sui primi 1000 casi notificati e sono state effettuate simulazioni con i modelli matematici già messi a punto in fase preparatoria. Tutti i risultati sono stati forniti alle autorità sanitarie per la pianificazione della risposta. L’andamento della pandemia è stato monitorato “in diretta” e i dati sono stati fatti circolare a scadenza giornaliera e settimanale. Tutti hanno così potuto verificare il rapido innalzamento della curva epidemica in una stagione non tipica per l’influenza, e l’altrettanto rapido declino dopo poche settimane dall’inizio. Il livello di trasmissione intra-familiare è stato invece molto più basso dell’atteso e la pandemia ha quindi manifestato prima del previsto un rapido declino una volta esaurita la circolazione scolastica».
Tutti gli interventi introdotti hanno quindi avuto pochissimo tempo per espletare l’effetto desiderato, perché in realtà l’ondata si è conclusa molto prima del previsto e il quadro clinico della maggior parte dei casi, essendo per lo più a carico di giovani, è stato meno severo di quanto temuto.
L’offerta vaccinale
Tra gli interventi prioritari previsti dal piano pandemico c’era la vaccinazione. Fin da giugno, alla dichiarazione della fase 6, sono state avviate le procedure per l’acquisizione dei vaccini, autorizzati dall’Agenzia europea Ema, per la loro distribuzione e l’offerta alla popolazione target. A causa delle condizioni di emergenza, però, il tempo per la comunicazione delle motivazioni di determinate scelte, come quelle legate all’offerta vaccinale, è stato molto limitato.
«L’Italia – prosegue Stefania Salmaso – ha deciso di organizzare l’offerta vaccinale prima verso i gruppi a rischio, per poi arrivare via via a coprire la maggior parte della popolazione. Invece in altri Paesi, come per esempio in Svezia e Olanda, gli approcci sono stati più allargati, facendo vaccinare gran parte della popolazione senza distinzioni per caratteristiche individuali». In Svezia, infatti, le autorità hanno optato subito per un’offerta di tipo universale e questo ha portato al raggiungimento di una copertura nazionale prossima al 70%, mentre in Olanda tutti i bambini sono stati vaccinati addirittura due volte.
Il valore dei piani pandemici
«Continuare a parlare della pandemia in questo momento – conclude Stefania Salmaso – è molto importante. È vero, la pandemia ha avuto un’evoluzione più rapida di quanto previsto. Ma i piani di preparazione erano comunque necessari, anche se lo scenario peggiore non si è realizzato: possiamo solo esserne contenti. Commentare criticamente a posteriori per il fatto che il piano pandemico fosse orientato su scenari più gravi e severi che poi non si sono manifestati, può essere utile solo se servirà a migliorare la nostra capacità di risposta, senza negare la solida base su cui sono stati definiti gli interventi per salvaguardare la salute di tutti».