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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
Istituto Superiore di Sanità - EpiCentro

Informazioni generali

La febbre di Lassa fa parte del gruppo delle febbri emorragiche virali (Fev), patologie di origine virale a carattere sistemico, caratterizzate da esordio improvviso, acuto e spesso accompagnate da manifestazioni emorragiche. In generale, gli agenti responsabili delle Fev sono virus a Rna (arenavirus, bunyavirus, filovirus, flavivirus), la cui sopravvivenza è garantita da serbatoi naturali come animali o insetti. I virus sono confinati geograficamente nelle aree dove vivono le specie ospiti.

 

La febbre di Lassa prende il nome dalla città nigeriana in cui, nel 1969, due infermiere missionarie morirono a causa di questa malattia, fino a quel momento sconosciuta. L’agente eziologico è un virus a Rna appartenente alla famiglia degli Arenaviridae, diffuso prevalentemente in Africa, il cui serbatoio principale sono i roditori Mastomys.

 

Modalità di trasmissione

Come per tutte le febbri emorragiche, gli uomini non sono serbatoi naturali per il virus, ma possono essere infettati attraverso il contatto con animali infetti o artropodi vettori. La febbre di Lassa è trasmessa dal contatto diretto con escreti di roditori o tramite aerosol di escreti e saliva dei roditori.

 

In alcuni casi, dopo la trasmissione accidentale, può avvenire la trasmissione da uomo a uomo, per contatto diretto con sangue, tessuti, secrezioni o escreti di persone infette, soprattutto in ambito familiare e nosocomiale.

 

Sintomi

Nell’80% dei casi, la febbre di Lassa è una patologia lieve o addirittura asintomatica, ma può presentarsi come malattia sistemica grave nel restante 20%.

 

A differenza delle altre Fev, l’esordio della febbre di Lassa è graduale e il periodo di incubazione può arrivare anche a 3 settimane (contro una media di 1-9 giorni per le altre). I sintomi iniziali sono piuttosto generici: febbre, cefalea, mialgie, faringodinia con essudato tonsillare, difficoltà ad alimentarsi (disfagia), tosse secca, dolore toracico (a volte forte dolore retrosternale), crampi addominali, nausea, vomito e diarrea.

 

Il peggioramento delle condizioni cliniche si manifesta con edema del volto e del collo, insufficienza respiratoria, versamento pleurico e pericardico, proteinuria, encefalopatia, sanguinamento delle mucose. Ipotensione e shock si possono verificare indipendentemente dal sanguinamento. Durante la convalescenza si può manifestare ipoacusia. Il tasso di letalità complessivo è inferiore al 1%, mentre sale al 15-20% nei casi non trattati.

 

Prevenzione

Nelle zone dove la malattia è endemica (principalmente in Africa occidentale), la prevenzione dell’infezione consiste essenzialmente nell’adozione di norme igieniche che riducano l’accesso dei roditori nelle case. In particolare, occorre conservare i cereali e altre provviste in contenitori sigillati, tenere i contenitori dei rifiuti lontano dalle abitazioni e mantenere le case il più pulite possibile. Anche i gatti domestici possono contribuire ad allontanare i roditori Mastomys, che comunque non sono completamente eliminabili nelle aree endemiche, perché troppo numerosi.

 

Per quanto riguarda il controllo dell’infezione, familiari e operatori sanitari dovrebbero evitare il più possibile il contatto con il sangue o altri fluidi corporei dei malati. Nella maggior parte dei casi, per proteggere gli infermieri sono sufficienti le misure protettive routinarie. Tuttavia, è sempre bene indossare maschera, guanti, camice e occhiali protettivi, oltre a sterilizzare gli strumenti contaminati.

In rari casi, i viaggiatori che soggiornano in aree dove la malattia è endemica possono esportarla verso altri Paesi. Anche se altre malattie tropicali sono più frequenti, la febbre di Lassa dovrebbe essere presa in considerazione per la diagnosi quando il paziente torna dall'Africa occidentale, soprattutto se è stato in zone rurali.

 

Diagnosi

Per tutte le Fev, la diagnosi è piuttosto difficile fino a quando non appaiono caratteristiche cliniche più specifiche o quando vengono registrati più casi. La diagnosi differenziale delle febbri emorragiche virali va posta con tutte le condizioni caratterizzate da febbre, rash, interessamento epatico e/o renale, emorragie.

 

La diagnosi si basa sull’identificazione del virus durante la fase acuta e successivamente sulla rilevazione della risposta immune. Gli esami per la ricerca del virus possono essere eseguiti mediante coltura virale, ricerca degli antigeni, rilevazione degli acidi nucleici e visualizzazione diretta con microscopia elettronica. Attualmente per la diagnosi si utilizzano principalmente i test di biologia molecolare, amplificando l’acido nucleico estratto dai materiali biologici mediante RT-PCR classica o Real-Time. I risultati preliminari possono essere rapidamente confermati tramite sequenziamento del prodotto di amplificazione. Contemporaneamente, è opportuno procedere all’isolamento virale su colture di tessuto.

 

La diagnosi sierologica consiste nella ricerca degli anticorpi specifici (IgM, dosabili già nella fase acuta, e IgG) mediante test Elisa o immunofluorescenza. Questi test sono utili per rilevare, nelle successive indagini epidemiologiche, eventuali infezioni asintomatiche o per effettuare indagini di sieroprevalenza.

 

Non esistono test commerciali disponibili per la diagnosi di infezioni da virus delle febbri emorragiche. Questa diagnosi può essere eseguita solo presso centri di elevata specializzazione, dotati di laboratori idonei alla manipolazione degli agenti di classe 4 e dei necessari materiali di controllo.

 

Trattamento

Per tutte le febbri emorragiche è necessaria una terapia di supporto che preveda il mantenimento della volemia e dell’equilibrio idroelettrolitico. Per controllare il sanguinamento si possono somministrare plasma, piastrine, sangue. Può essere utile una copertura antibiotica per la prevenzione di infezioni secondarie. Per il controllo dello shock è consigliabile la somministrazione di dopamina.

 

Nel caso della febbre di Lassa è disponibile un trattamento antivirale specifico a base di ribavirina, in grado di ridurre la letalità se iniziato precocemente, anche se la sua efficacia non è stata dimostrata in maniera definitiva.