I frutti dell’ipocrisia. Storie di chi l’agricoltura la fa. Di nascosto
Salomè
Gensini, Responsabile medico “progetto stagionali” Medici senza
frontiere - Italia
L’agricoltura in Italia rappresenta ancora un
settore importante per l’occupazione, soprattutto nel Centro e nel Sud.
Proprio in queste aree il lavoro agricolo viene svolto in elevate
percentuali da lavoratori immigrati in situazione di irregolarità
lavorativa perché questi stessi non posseggono un permesso di soggiorno
o perché, pur avendo un permesso di soggiorno, non hanno un contratto di
lavoro (è il caso di molti rifugiati e richiedenti asilo). Le
specificità del lavoro agricolo, unite alla precarietà delle condizioni
di vita che inevitabilmente colpiscono gli stranieri irregolari, hanno
spinto l’associazione umanitaria Medici senza frontiere a indagare a
fondo le condizioni di vita e di salute degli stranieri impiegati come
lavoratori stagionali nelle campagne del Sud d’Italia.
Con un sistema di cliniche mobili le equipe di Msf
hanno visitato, nel corso del 2004, 770 stranieri impiegati in
agricoltura tra Campania, Puglia, Basilicata, Sicilia e Calabria, su un
totale stimato di 12mila immigrati impiegati nel settore in quelle aree.
Il 23,4% dei lavoratori intervistati sono richiedenti
asilo; il 6,3% sono rifugiati; il 18,9% ha un permesso di
soggiorno per motivi diversi dal “lavoro stagionale” (studio, lavoro di
altro genere, famiglia ecc); il 51,4% non ha alcun permesso di
soggiorno valido. Nessuno degli stranieri visitati da Msf godeva del
contratto di lavoro previsto dalla legge per gli stagionali impiegati in
agricoltura.
I lavoratori stagionali incontrati da Msf sono
spesso vittime di sfruttamento lavorativo e vivono in condizioni di vita
a dir poco precarie: due fattori che rappresentano chiari presupposti
per il deterioramento dello stato di salute. Inoltre, nonostante la
legge italiana assicuri l’assistenza sanitaria per gli immigrati
regolari e irregolari, nel corso dello studio Msf ha riscontrato come in
quasi tutte le zone visitate questi diritti rimangano per lo più solo
sulla carta, in parte per la mancata o scorretta applicazione della
legge e spesso per mancanza di conoscenza di questo diritto da parte
degli stranieri stessi e talvolta degli operatori sanitari. Questo vuole
dire che il lavoratore irregolare che si ammala (e ha tutti i
presupposti per ammalarsi), molto difficilmente riceverà le cure
adeguate.
I risultati dell’inchiesta di Msf sono allarmanti:
la grande maggioranza dei lavoratori incontrati vive in condizioni
igieniche e alloggiative inaccettabili, addirittura inferiori agli
standard minimi fissati dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr)
per l’allestimento di campi profughi in zone di crisi. Per quanto
riguarda l’accesso alle cure, il 75% dei rifugiati, l’85,3% dei
richiedenti asilo e l’88,6% degli stranieri irregolarmente presenti
(tutti lavoratori) non beneficiava di alcun tipo di assistenza
sanitaria. Di fronte a questo, nonostante si tratti di una popolazione
giovane e forte (30 anni in media), tra le 770 persone visitate da Msf,
appena 41 (pari al 5,6%) hanno ricevuto una diagnosi di “buone
condizioni di salute”. Tra la popolazione italiana della stessa età, la
percentuale di persone in buona salute è del 70,7%.
Il cosiddetto “intervallo di benessere” (tempo che
passa dall’arrivo in Italia dell’immigrato sano alla prima domanda di
assistenza sanitaria) si sta sempre più accorciando. Il 10% degli
stranieri necessitano di assistenza sanitaria dopo un mese dall’arrivo
in Italia; il 39,7% manifesta questo bisogno dopo un periodo compreso
tra 1 e 6 mesi. Le malattie più gravi si riscontrano negli stranieri che
vivono in Italia da più tempo (18-24 mesi). Il 73,6% dei pazienti
visitati da Msf presentavano patologie croniche. Un dato che diventa
ancora più preoccupante se si considera che tra gli stranieri impiegati
in agricoltura, il 50,9% delle malattie diagnosticate sono di origine
infettiva dunque prevenibili o facilmente curabili: patologie
dermatologiche (23,6%); parassiti intestinali e malattie del cavo orale
(15,5% ciascuna); malattie respiratorie (14,3%, inclusi 12 casi di
tubercolosi).
La mancanza di servizi igienici e di acqua, la
condivisione dei posti letto, la promiscuità, sono tutti fattori che
amplificano seriamente la possibilità di diffusione di questo tipo di
malattie. La povertà, gli stenti e le privazioni si riflettono anche sul
mancato rispetto del fabbisogno calorico: queste persone, che in salute
avrebbero bisogno di una media di 2800 Kcal giornaliere per il lavoro
che svolgono, spesso non riescono a provvedere a un’alimentazione
corretta e in diversi casi è stato formulato il sospetto diagnostico di
malnutrizione cronica dell’adulto e di diversi tipi di malnutrizione
secondaria.
Infine, tra gli stagionali, Msf ha trovato alcune
patologie direttamente legate al lavoro:
- intossicazione cronica o acuta per fitofarmaci: 15 persone presentano un sospetto diagnostico di intossicazione per fitofarmaci acuta o pregressa. Tutte sono state visitate a Ragusa (Sicilia);
- patologie “ergonomiche”, dovute a condizioni estreme di lavoro, con posizioni forzate ripetute allo sfinimento e sforzi muscolo-scheletrici. Queste patologie sono peggiorate dalle condizioni di vita e Msf le ha trovate nel 41,4% della popolazione visitata. Il 56% risulta avere sofferto di patologia dovuta al lavoro nel passato e di queste il 61,1% mantiene lesioni articolari o continua a presentare patologia muscolo scheletrica al momento della visita del team Msf.
Si parla di persone molto giovani, con patologie
muscolo-scheletriche o articolari che già sono croniche per 231 persone
su 672 (le altre presentano tipi di patologia dovuta al lavoro comunque
non meno importante: neurologica, dermatologica, respiratoria,
intossicazione cronica o acuta per fitofarmaci ecc), a cui possiamo
aggiungere 56 persone con patologia muscolare o articolare traumatica di
recente insorgenza (traumi fisici come ferite, lesioni tendiniti,
amputazioni,ustioni) procurati durante il lavoro. Questi infortuni il
più delle volte provocano diversi gradi di invalidità, anche permanente.
Spesso gli stagionali sono oggetto di violenze,
essendo più vulnerabili e facili da “sfruttare”: in certe zone gli
episodi di soprusi subiti raggiungono percentuali importanti (il 46%
degli intervistati) e si tratta, praticamente nella totalità dei casi,
di episodi perpetrati da italiani.
Proprio queste violenze sono responsabili
dell’ultimo grande gruppo di patologie riscontrate negli immigrati: le
patologie della sfera psico-affettiva. In Campania l’82,3% delle persone
visitate sono state valutate a livello psico-affettivo: il 67,8% delle
persone presentano alterazioni di tipo ansioso severo; il 14,3%
alterazioni non specifiche affettive e comportamentali, il 17,8%
mostrano un sospetto diagnostico di depressione. Un gruppo a sé è
rappresentato dalle donne immigrate che lavorano nelle zone di raccolta
senza godere di alcun tipo di tutela: né lavorativa (sono il gruppo meno
pagato in assoluto), né sociale, né legale (sfruttamento anche sessuale
non denunciabile), né sanitaria (tutela della maternità quasi
inesistente).