English - Home page

ISS
Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
Istituto Superiore di Sanità - EpiCentro

Metti un cluster al bar

Fabio Filippetti - U.O. Epidemiologia Zona territoriale 10 Camerino, Asur Marche

 

 

Fino a poco tempo fa, la mia sede lavorativa era un ufficio della Direzione sanitaria ospedaliera di un piccolo ospedale dell’entroterra maceratese, dove svolgevo la mia attività di epidemiologo. Nella primavera del 2003, come mi capitava qualche volta, sono sceso al bar per una pausa di metà mattinata e, chissà, magari per incontrare qualche collega per fare due chiacchiere. Quella volta mi sono imbattuto in due ginecologi dell’ospedale, uno dei quali era il responsabile del reparto, dove si registrano circa 700 parti l’anno. Davanti al cappuccino abbiamo parlato della situazione ospedaliera, ma anche di musica lirica, visto che il responsabile ne è un fine intenditore.

 

A un certo punto, l’amabile conversazione si è interrotta a causa di una lampadina che si è accesa nella testa del mio interlocutore, che improvvisamente mi ha detto a bruciapelo: “A proposito, tu ti che occupi di epidemiologia… È un po’ che volevo dirtelo: qualche mese fa, nel giro di 3-4 settimane ci è capitato di diagnosticare 4 casi di anencefalia fetale, tutti confermati dai successivi approfondimenti. Tutte le donne avevano la data dell’ultimo ciclo mestruale compresa tra metà giugno e metà agosto 2002. Il fatto è che l’anenecefalia è considerata un evento raro: io ne ho vista soltanto un’altra nella mia attività lavorativa e qua me ne sarei aspettata una ogni vent’anni. C’è qualcosa che non va: penso che dovremmo approfondire la questione”.

 

Niente male come pausa: con il cappuccino ancora in mano avevo avuto la segnalazione di un possibile cluster epidemico, la valutazione approssimativa dei valori osservati e attesi e l’invito ad approfondire la vicenda!

 

Al ritorno nella mia stanza, pur perplesso, ho iniziato a documentarmi sull’anencefalia, visto che era comunque eticamente e scientificamente doveroso avviare un’indagine epidemiologica. Per inciso, si tratta di una malformazione inclusa nel gruppo dei difetti del tubo neurale, con un’eziologia complessa e poco conosciuta, in cui sembrano essere coinvolti fattori sia genetici che ambientali. I quattro casi diagnosticati nello stesso ospedale riguardavano quattro donne che risiedevano in due comuni confinanti di una zona geograficamente delimitata della provincia di Macerata.

 

Dei quattro casi, tre si sono conclusi con l’interruzione della gravidanza. Il quarto, invece, ha avuto una storia diversa: il bambino è nato ed è sopravvissuto qualche giorno, quindi l’autopsia ha confermato la diagnosi. Quello che non si era assolutamente previsto è stato il forte impatto sulla popolazione di quest’ultimo caso di anenecefalia alla nascita e della conoscenza degli altri casi diagnosticati. I genitori del nato hanno presentato in Procura un esposto contro ignoti, successivamente ritirato. Poi è stata formulata un’interpellanza in consiglio comunale e sui giornali locali sono apparsi alcuni articoli. Ecco allora che la popolazione ha cominciato ad allarmarsi, associando questi casi alla presenza delle più disparate problematiche ambientali. Come spesso accade quando non si hanno risposte rassicuranti o non se ne hanno proprio, la fantasia ha potuto davvero scatenarsi: non è stato difficile vedere un’associazione con il caso di mucca pazza verificatosi in un animale della zona, o con la nube tossica che aveva allarmato la popolazione qualche anno prima, per non citare ipotesi ancora più fantasiose.

 

E le risposte della scienza? L’indagine epidemiologica, a seguito di una segnalazione già tardiva di per sé, è partita in ritardo, è durata a lungo e alla fine non ha messo in luce problematiche particolari. Per lo studio, condotto in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche, ci si è mossi su base provinciale (300 mila residenti), consultando gli archivi disponibili (abortività terapeutica, Sdo, mortalità, cartelle cliniche ginecologiche) e somministrando alle donne coinvolte un questionario per l’analisi dei cluster (Cdc). Non abbiamo avuto delle risposte: se qualcosa è successo, come è probabile, non siamo riusciti a individuarne la causa.

 

Per completezza, ricordo che come ipotesi si è discusso anche di iperclorazione delle acque, un fattore di rischio evidenziato dagli studi internazionali più recenti. In effetti nel periodo considerato era stata segnalata qualche non conformità microbiologica delle acque potabili. Tuttavia non si è trattato in nessun caso di clorazioni spinte e comunque i comuni coinvolti non erano raggiunti dallo stesso acquedotto. D’altra parte l’esistenza del cluster è stata confermata: tra il 2002 e il 2004 sono state 6 le anencefalie diagnosticate in residenti della provincia, con un eccesso sei volte superiore all’atteso, stimato dai Registri attivi in altre zone.

 

Da una parte, quindi, la notizia si è diffusa nella popolazione, molto colpita dalla nascita del bambino destinato a morire nel giro di pochi giorni e quindi con una percezione del rischio fortemente condizionata dagli aspetti umani della vicenda. Dall’altra, a livello sanitario non siamo stati abbastanza preparati a dare la risposta giusta: e non comunicando nei tempi giusti con la popolazione si è probabilmente contribuito ad accrescere l’allarme. Per fortuna il tempo ha rasserenato gli animi: delle 6 donne, 4 hanno affrontato successive gravidanze senza problemi e l’allarme, in assenza di nuovi casi, è cessato.

 

Questo episodio ci ha insegnato molto: se non c’è un adeguato sistema di sorveglianza (nelle Marche tuttora non è attivo un registro malformazioni), in particolare per gli eventi rari, può capitare che il cluster ci sia, ma non si veda. Inoltre, anche per eventi sanitari di questo tipo, bisogna sempre prevedere una corretta strategia di comunicazione: nella nostra Zona territoriale abbiamo infatti costituito un gruppo operativo sulla comunicazione del rischio.

 

Un’ultima considerazione, un po’ provocatoria: dall’esperienza abbiamo imparato che, in assenza di dati disponibili, si può attivare un sistema di sorveglianza semplice, efficace ed economico. Invece di restare chiuso nella sua stanza, l’epidemiologo dovrebbe fare colazione al bar ogni giorno, perché questo può rappresentare una preziosa fonte informativa: potremmo chiamarlo “sistema di sorveglianza cappuccino”. È una conclusione un po’ amara, ma basta una bustina di zucchero per tirarsi su… sempre che il bar ci sia: nella mia nuova sede, distante dall’ospedale, non c’è alcun bar, ma soltanto un distributore automatico poco frequentato!