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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Aspetti epidemiologici

Secondo l’American Psychiatric Association, la prevalenza di ADHD tra i bambini americani è del 3-5 per cento, utilizzando le definizioni di caso indicate dal DSM-IV, per un totale di quasi 5 milioni di bambini. Nel 35 per cento dei casi, l’ADHD si accompagna, sempre secondo l’APA a disordini comportamentali, come quello dell’atteggiamento di sfida continua, nel 26 per cento dei casi a problemi comportamentali e di ansietà, nel 18 per cento dei casi a depressione.
Secondo  servizi di salute mentale americani, tra il 30 e il 70 per cento dei bambini con ADHD continuano ad avere sintomi anche in fase adulta. Circa l’80 per cento dei bambini necessita di trattamento anche in fase adolescenziale e il 50 per cento anche in fase adulta.

I primi risultati di un massiccio studio americano, il Multimodal Treatment Study of Children with ADHD (MTA) condotto da 18 istituzioni mediche specialistiche in sei università americane, su 600 bambini delle scuole primarie, ha dimostrato che il trattamento farmacologico, da solo o in combinazione con approcci terapeutici, è più efficace rispetto ai soli trattamenti terapeutici nel ridurre i sintomi dell’ADHD.

Tra il 1982 e il 1996 sono stati condotti diversi studi in base ai criteri del DSM-III, la versione precedente del manuale dell’APA. Questi studi danno valori di prevalenza dell’ADHD oscillanti tra il 4 e il 12 per cento tra i bambini americani. Una revisione sistematica di questi studi, fatta da Green e colleghi nel 1999, fornisce un dato di prevalenza del 6,8 per cento dell’ADHD diagnosticata secondo i criteri del DSM-III. La sindrome nei maschi ha una prevalenza tre volte più alta che nelle femmine: 9.2 per cento contro 3 per cento. Gli studi di prevalenza sono stati revisionati nel 2001 anche da James Guevara e Martin Stein sul British Medical Journal, per fornire una risposta medica basata su prove di efficacia di fronte a una potenziale diagnosi di ADHD.

Secondo le Linee guida elaborate dalla Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza nel 2002 (SINPIA), “tre studi epidemiologici condotti in Italia, uno in Umbria e Toscana da Gallucci e collaboratori (1993), e due in Emilia da Camerini e collaboratori (1999) e da Marzocchi e Cornoldi (2000, mostrano che, quando il disturbo viene specificamente ricercato, nella popolazione infantile generale la sua frequenza è di circa il 4 per cento (in pratica un bambino in ogni classe di 25 alunni), non dissimile dalle stime Nord Americane e Nord-Europee. Secondo il documento elaborato dall’Iss per accopagnare l’apertura del Registro Nazionale, uno studio condotto in due regioni del centro Italia su un campione di 232 bambini ha evidenziato una prevalenza del 3.9 per cento, in base alla presenza di almeno 8 criteri maggiori del DSM-IIIR. Casi potenziali invece si misuravano nel 6.9 per cento della popolazione infantile. Secondo le ricette registrate in quattro regioni italiane, Veneto, Liguria, Toscana e Piemonte, gli psicofarmaci per il trattamento della sindrome sarebbero oggi prescritti all’1,7 per mille dei bambini soprattutto nella fascia di età tra i 14 e i 18 anni.