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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Ma il latte di mamma chi lo promuove?

Martina Carabetta – presidente della Leche League Italia

 

Ad agosto l’allontanamento da parte di un custode del museo del Prado di una mamma intenta ad allattare il proprio bambino ha sortito la vivace reazione di un gruppo di giovani donne madrilene che, decise a rivendicare il proprio diritto di allattare in pubblico, hanno occupato pacificamente i divanetti del museo in compagnia dei loro piccoli. In Italia, per lo stesso motivo, nell’aprile scorso una giovane romana veniva cacciata a male parole da un bar.

 

Si tratta certamente di episodi negativi ma, secondo la nostra esperienza, si tratta di episodi isolati, non per questo da accettare o subire ma neanche da ingigantire. In Italia, come in tutta Europa, allattare in pubblico non è un tabù assoluto, come invece avviene negli Stati Uniti dove viene considerato alla stregua di un “atto osceno” e dove, in alcuni Stati, hanno promulgato delle leggi ad hoc per permettere alle donne di allattare in pubblico.

 

In Italia di solito si tratta di eventi legati ai pregiudizi di qualche singolo individuo, come è accaduto alla mamma romana che è stata cacciata da un bar perché seduta ad allattare. Centinaia di donne allattano normalmente nei ristoranti, ai centri commerciali, e nessuno si sente offeso, anzi spesso ricevono occhiate intenerite o di simpatia.

 

Alcune difficoltà oggettive

Chi, come noi, lavora per aiutare le mamme ad allattare crede che l’allattamento debba tornare ad essere la cosa più naturale del mondo e quindi guardiamo con disagio e preoccupazione ai periodici scoppi di casi mediatici. Preferiremmo che allattare in pubblico non diventasse un problema di cui dover discutere e argomentare, ma che fosse ricondotto alla sua normalità. Piuttosto, vediamo altre difficoltà più diffuse nel nostro Paese, più urgenti, che toccano l’allattamento in modo più diretto e ampio e su cui occorre una riflessione immediata.

 

Un esempio di fondamentale importanza è il fatto che ancora oggi troppe mamme non hanno la possibilità di avere un contatto immediato con il loro bambino (nonostante le raccomandazioni a livello internazionale). Molte lo vedono il giorno dopo, oppure lo vedono per qualche minuto e poi solo dopo qualche ora. È importante invece che subito dopo il parto il bambino venga messo “pelle a pelle” sulla pancia della mamma e si aspetti che cominci a poppare spontaneamente.

 

Dal 1 al 7 ottobre si celebra in Italia la settimana mondiale per l’allattamento, che quest’anno ha come tema il contatto mamma-figlio entro la prima ora di vita. Nel nostro Paese oggi vi sono solo 13 ospedali “Amici dei bambini” (riconoscimento Oms/Unicef che garantisce che in quel reparto di ostetricia si rispettano i 10 passi per la promozione dell’allattamento materno), e molti altri ospedali ancora non prevedono nemmeno il rooming in, cioè che mamme e neonato stiano in camera insieme tutto il giorno per permettere loro di allattare senza restrizioni.


Tantissime mamme ci raccontano che non hanno ricevuto alcun aiuto durante le prime poppate per attaccare il bambino al seno, o che hanno ricevuto indicazioni contrastanti dai vari operatori che le hanno seguite durante la degenza. Spesso vengono dimesse con l’indicazione della “giunta” di formula senza alcuna indicazione medica che la giustifichi (spesso è direttamente stampata sul libretto di dimissione). Per non parlare poi di cosa succede a casa, quando la mamma non sa veramente più a chi rivolgersi se ha dubbi o difficoltà per allattare.

 

Allattare, nella società moderna

Il marketing delle ditte di sostituti del latte materno e cibi per l’infanzia, approfittando di una legislazione carente (il nostro DL 500/94 implementa solo in parte il Codice di commercializzazione dei succedanei del latte materno), bombarda i neogenitori di sconti, offerte, buoni omaggio, riviste patinate e quant’altro per convincerli della bontà dei loro prodotti. Ma il latte di mamma chi lo promuove?

 

Chi è intorno alla mamma insiste sul fatto che «di latte artificiale non è mai morto nessuno» e la stessa generazione attuale di mamme è stata la meno allattata in Italia, così anche le nonne preoccupate della crescita del nipotino, insinuano dubbi sulla bontà del latte materno.

Inoltre, oggi le donne tornano in ufficio sempre prima e spesso hanno un contratto che non permette agevolazioni di orario per allattare. Si è quindi portati a pensare che si debba smettere di allattare quando si ricomincia a lavorare (ovviamente non è così, ma è uno dei miti più frequenti).

 

Queste sono le difficoltà più diffuse oggi in Italia e che vorremmo portare alla ribalta affinché diventino storia passata. Sono questi i problemi quotidiani che migliaia di neomamme si trovano a dover affrontare, spesso da sole, perché la cultura predominante non è una cultura accogliente e preoccupata che la coppia madre-bambino viva nel modo migliore i primi anni. Ci si preoccupa piuttosto che la donna torni il più presto possibile alla vita “di prima”, la vita di una donna moderna, produttiva, inserita nella vita economica.

 

Il rifiuto di accettare l’allattamento in pubblico è solo uno dei tanti sintomi visibili (ma a mio parere non il principale) di questo, non la vera causa del problema. Se dedichiamo le nostre energie a questi aspetti non aiutiamo un vero immediato cambiamento per le neomamme che partoriscono nel nostro Paese. Se dedichiamo le nostre energie a cambiare i problemi a monte, abbiamo la speranza di veder cambiare di conseguenza anche tutto il modo in cui la società intera guarda l’allattamento.