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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Informazioni generali

La campylobatteriosi è una malattia infettiva causata dal batterio Gram negativo Campylobacter. Descritta negli anni Cinquanta come rara batteriemia nelle persone immuno-compromesse, nel 1972 è stata individuata come causa di malattie diarroiche. La maggior parte delle infezioni (circa il 90%) è provocata dalle specie C. jejuni e C. coli, mentre meno frequenti sono quelle causate dalle specie C. lari, C. fetus e C. upsaliensis.

 

La campylobatteriosi è una delle malattie batteriche gastrointestinali più diffuse al mondo e il suo tasso di incidenza ha superato in alcuni Paesi europei quello relativo alle salmonellosi non tifoidee. La sua diffusione negli ultimi 10 anni ha, infatti, registrato un incremento e rappresenta un problema di salute pubblica di impatto socio-economico considerevole.

 

Sintomi e diagnosi

Il periodo di incubazione della campylobatteriosi varia da un giorno a una settimana, a seconda dei casi. I sintomi sono solitamente leggeri o moderati e consistono in diarrea, dolori addominali, febbre, mal di testa, nausea e vomito. La loro durata varia generalmente da uno a sette giorni, ma nel 20% dei casi circa, può superare la settimana.

 

Manifestazioni più gravi della malattia si verificano in meno dell’1% dei pazienti, solitamente in soggetti molto anziani o molto giovani, e includono meningiti, endocarditi e aborti settici. Pazienti con deficit di immunoglobuline possono presentare infezioni gravi, prolungate e ricorrenti. Il tasso di mortalità è basso, ma per i pazienti più vulnerabili (bambini, anziani e immuno-compromessi) il cui numero nell’Unione europea è in crescita, le conseguenze della malattia possono essere molto gravi.

 

La campylobatteriosi è stata associata a diverse sequele croniche che includono artrite reattiva, infiammazioni a carico di fegato e reni e la sindrome di Guillain-Barré. A causa della mancanza di caratteristiche cliniche specifiche, la campylobatteriosi è difficile da distinguere dalle altre patologie gastrointestinali. Una diagnosi definitiva può essere effettuata solo attraverso l’analisi microbiologica di campioni clinici.

 

Trasmissione

Episodi epidemici di infezione da Campylobacter sono stati associati prevalentemente al consumo di acqua o latte contaminati, alimenti a rischio consumati crudi e, occasionalmente, a carne di pollo. La trasmissione del Campylobacter attraverso il latte può essere facilmente controllata tramite la pastorizzazione e quella attraverso l’acqua con un sicuro sistema di potabilizzazione. Carni di maiale e di ruminanti sono generalmente considerate a basso rischio, tuttavia le frattaglie crude di questi animali sono a rischio piuttosto elevato di trasmissione.

 

Anche i prodotti freschi, se consumati crudi, sono a rischio e quindi, per ridurre al minimo la diffusione del Campylobacter, è indispensabile incrementare l’applicazione di misure di prevenzione, come le Gap (Good Agriculture Practices) e le Ghp (Good Handling Practices), ed evitare l’impiego di acqua contaminata per l’irrigazione dei campi e il lavaggio degli alimenti. Anche i molluschi bivalvi consumati crudi sono potenzialmente a rischio per il consumatore.

 

Nei casi sporadici, la principale via di trasmissione è la carne di pollame, a rischio di contaminazione durante la manipolazione sia da parte dei produttori sia da parte dei consumatori. A questo proposito è utile promuovere le norme igieniche di base sia durante le fasi di preparazione, che durante la conservazione del cibo. Anche gli animali domestici possono essere “serbatoi” del Campylobacter e favorirne la trasmissione, mentre il contagio diretto da uomo a uomo è piuttosto raro.

 

Prevenzione

Il pollame rappresenta uno dei principali serbatoi delle diverse specie di Campylobacter. In Europa la quota di pollai risultati positivi alle indagini microbiologiche effettuate è variabile da Paese a Paese e, precisamente, da un minimo del 5% a un massimo del 90%.

 

Le conoscenze sulle vie di contaminazione del pollo sono ancora incomplete, ma i fattori maggiormente correlati alla diffusione del Campylobacter sono il livello di biosicurezza, la stagione, l’età del pollame, le modalità di somministrazione dei mangimi, i trasferimenti dei capi da un allevamento a un altro, le condizioni di trasporto del pollame, l’acqua e i medicinali somministrati agli animali.

 

La contaminazione della carne avviene durante la macellazione, attraverso il contatto con il materiale fecale o tramite il contenuto intestinale degli animali in macellazione. Il lavaggio della carne dopo la macellazione riduce il rischio di contaminazione, così come il congelamento dei prodotti alimentari. Misure di controllo in tutti i settori della catena alimentare, dalla produzione alla preparazione domestica del cibo, contribuiscono a ridurre il rischio di infezione. L’unico metodo efficace per eliminare il Camplylobacter dai cibi contaminati è quello di introdurre un trattamento battericida come il riscaldamento (cottura o pastorizzazione) o l’irradiazione (raggi gamma).

 

Terapia e farmaco-resistenza

Nel trattamento della campylobatteriosi è fondamentale la re-idratazione dei liquidi nei pazienti. Il trattamento con antibiotici non è solitamente indicato per le enteriti di moderata gravità. Tuttavia per i pazienti più a rischio, come gli anziani, i pazienti con brividi e sintomi sistemici, gli immuno-compromessi e le donne incinte, che solitamente presentano una dissenteria da moderata a grave (diarrea con sangue), il trattamento antibiotico può essere vantaggioso. Le infezioni da Campylobacter possono essere trattate efficacemente con antibiotici come eritromicina, tetraciclina e fluorochinolone.

 

Il fenomeno della farmaco-resistenza da parte delle varie specie di Campylobacter è in aumento e, in modo particolarmente allarmante, quella relativa ai fluorochinoloni, identificata in Europa alla fine degli anni Ottanta. Alcuni studi mostrano una correlazione tra l’approvazione all’uso dei fluorochinoloni negli allevamenti e lo sviluppo di campylobacteriosi resistenti ai fluorochinoloni, sia negli animali che nell’uomo.