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Difterite in Spagna: il caso evidenzia la carenza dell’antitossina difterica DAT in Europa

Antonietta Filia – reparto Epidemiologia delle malattie infettive, Cnesps-Iss

 

25 giugno 2015 - La segnalazione da parte delle autorità sanitarie spagnole, il 31 maggio scorso, del primo caso di difterite nel Paese dopo quasi 30 anni, ha messo in evidenza alcuni aspetti collegati alla difterite in Europa: sono presenti in Europa bambini non vaccinati contro la malattia (come nel caso spagnolo, un bambino di 6 anni) e sono possibili ritardi nella diagnosi e nella conferma di laboratorio.

 

Il tema più urgente è però la mancanza – o l’accesso limitato – all’antitossina difterica (DAT) in molti Paesi europei, inclusa l’Italia. La mancanza della DAT è dovuta alla forte diminuzione dell’incidenza della malattia dopo l’introduzione della vaccinazione di massa in Europa a partire dagli anni Ottanta (nel 2013, in Europa, sette Paesi hanno riportato 31 casi di difterite), a una diminuzione della reale percezione del rischio legato alla difterite e alle difficoltà di ottenere DAT di qualità adeguata. La mancanza di disponibilità della DAT mette a serio rischio la salute dei pazienti che hanno contratto l’infezione. Infatti, l’antitossina neutralizza la tossina circolante ma è inefficace per la tossina già all’interno delle cellule. Pertanto, anche se il trattamento con DAT viene somministrato a ogni stadio della malattia, quando viene iniziato oltre le 48 ore dal manifestarsi dei sintomi si dimostra meno efficace.

 

Secondo l’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc), il caso in Spagna attualmente non rappresenta una minaccia sanitaria transfrontaliera per i Paesi europei. Nel loro “Rapid risk assessment: A case of diphtheria in Spain” pubblicato il 15 giugno, vengono discusse le criticità e aspetti di sanità pubblica relativi a questa malattia nell’Ue. Oltre alla vaccinazione dei gruppi di popolazione non vaccinati, l’Ecdc raccomanda che siano presenti in tutti gli Stati membri dei sistemi di sorveglianza che consentano l'individuazione precoce e la diagnosi dei casi sporadici di difterite e i focolai. Per quanto riguarda la DAT, secondo l’Ecdc sarebbe utile per gli Stati membri avere a disposizione un inventario delle scorte di DAT disponibili a livello mondiale o acquisire congiuntamente un rifornimento comune da usare in caso di emergenze.

 

In Italia, le coperture vaccinali per difterite nei bambini a 24 mesi di età, sono state elevate per anni e ancora oggi restano superiori al 95% (95,5% nel 2013). Per quanti riguarda casi di difterite nel nostro Paese, i casi più recenti causati da C. diphtheriae produttori di tossina risalgono agli anni 90. Inoltre, nel periodo 2000-2014 sono stati segnalati 2 infezioni da C. ulcerans (tossinogenici), in aumento anche in Europa e negli Stati Uniti, e 5 da ceppi nontossinogenici di C. Diphtheriae. La circolazione di questi ultimi rappresenta un rischio per la diffusione della difterite perché i ceppi potrebbero tornare a produrre la tossina. La guardia, quindi, non deve essere abbassata e deve essere migliorata la comunicazione con i genitori sull’importanza di continuare a vaccinare i propri figli per evitare che questa malattia possa ripresentarsi. Inoltre, come raccomandato dall’ECDC, per la difterite e le altre malattie prevenibili da vaccino, è importante identificare eventuali gruppi di popolazione non vaccinati e i possibili ostacoli alla vaccinazione, e mettere in atto misure per migliorare le coperture vaccinali in questi gruppi. Infine, visto che i livelli di protezione del vaccino antidifterico diminuiscono a distanza di anni dopo la vaccinazione primaria, è importante sensibilizzare gli operatori sanitari e la popolazione generale della necessità di effettuare dosi di richiamo del vaccino ogni 10 anni, insieme al vaccino antitetanico (dT), come raccomandato dal ministero della Salute.

 

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