Trichinellosi: Sardegna e Friuli Venezia Giulia a confronto
Claudio Gortani – Unità operativa di assistenza veterinaria, Ass 3 “Alto Friuli”
L’insorgenza del recente focolaio di trichinellosi in Sardegna ha sollevato alcune perplessità in merito a una corretta gestione del fenomeno da parte degli ispettori delle carni del Servizio veterinario pubblico. Ci si chiede istintivamente come mai il problema sia sfuggito al controllo della Sanità pubblica veterinaria e se non sia insensato applicare criteri di semplificazione nella macellazione dei suini a domicilio come sta già avvenendo in Friuli Venezia-Giulia.
Sono domande lecite, ma troppo superficiali ed emotive, che corrono il rischio di portare a conclusioni frettolose, inopportune e fuorvianti, condizionate dall’eterna paura di sbagliare.
Per rispondere correttamente ai quesiti va conosciuta bene la situazione degli allevamenti sardi, che hanno ancora migliaia di aziende che praticano l’allevamento brado, dove la promiscuità con gli altri animali selvatici favorisce il rischio di infestazione da Trichinella delle loro carni: la Barbagia dunque non è paragonabile al Friuli, se parliamo di ciclo biologico del parassita e di probabilità di trasmissione della malattia dal suino all’uomo.
In Friuli è stata infatti approvata recentemente una Delibera regionale di semplificazione della visita a domicilio per i suini macellati a uso privato: il veterinario non si reca in tutte le case, ma attua un piano di monitoraggio programmato che prevede ugualmente alcune ispezioni, l’esame trichinoscopico, sia nelle carni dei suini macellati a domicilio che nelle volpi abbattute a caccia e un monitoraggio sierologico negli allevamenti intensivi di origine per la ricerca di anticorpi nei confronti della stessa trichinellosi. Una modo di procedere che consente uno snellimento amministrativo secondo noi doveroso.
Con onestà professionale, va detto che non abbiamo
alcun dubbio sulla prevalenza della malattia nei nostri allevamenti, anche a
carattere familiare: secondo i criteri comuni di analisi quantitativa del
rischio è sicuramente uguale a zero. Lo stesso ragionamento, però, non è più
valido se valutiamo la probabilità di infestazione delle carni di quei suini
che pascolano in libertà negli alpeggi, dei cinghiali abbattuti a caccia o
delle carni di orso provenienti dalla vicina Slovenia, che attira per
curiosità e fa tendenza anche tra i nostri cittadini.
Quello che si vuole sottolineare è che il Servizio veterinario pubblico deve
conoscere a fondo il proprio territorio e attuare dei programmi di
prevenzione che siano appropriati ed efficaci, ma anche rispettosi delle
risorse che ci sono state assegnate. I problemi sanitari delle carni dei
suini familiari della provincia di Nuoro non sono assolutamente paragonabili
a quelli del resto del Paese e meritano considerazioni e programmi di
prevenzione completamente diversi.