La spagnola del 1918 e le responsabilità della scienza
Philipp A. Sharp, MIT - Editoriale del numero 5745 di Science
(Traduzione, sintesi e adattamento a cura della redazione di EpiCentro)
Ammontano a circa 50 milioni di morti in tutto il mondo (675 mila solo negli Stati Uniti) le stime ufficiali delle vittime della grande pandemia di influenza del 1918, meglio nota come “spagnola”. La ricostruzione del virus del 1918 attraverso la sintesi di tutte le sue otto sottounità e la generazione stessa del virus infettivo è descritta sul numero 5745 della rivista Science, pubblicata 7 ottobre 2005. Le sequenze degli ultimi tre segmenti di gene del virus vengono invece illustrate in un articolo pubblicato sul numero 437 di Nature del 6 ottobre 2005. Come previsto, il sequenziamento ha messo pienamente in luce che si tratta di un virus molto più letale dei “normali” ceppi influenzali. Ne risultano quindi due notizie, una buona e una cattiva. Quella buona è che ora potremo sviluppare nuove terapie e forse anche un vaccino efficace. Quella cattiva è che un eventuale gruppo terroristico potrebbe servirsi di queste conoscenze per tentare di diffondere il virus.
Il punto allora è: il sequenziamento del virus della spagnola avrebbe dovuto esser tenuto nascosto oppure è giusto averlo messo a disposizione di tutta la comunità scientifica, nonostante i rischi legati al bioterrorismo? Si tratta di una questione piuttosto complessa e delicata, su cui si continua a discutere almeno fin dall’11 settembre 2001. Del resto, il Comitato scientifico americano per la biosicurezza è stato istituito proprio per offrire specifiche consulenze alle agenzie governative e alla comunità scientifica in merito alle politiche di trasparenza e divulgazione delle informazioni. È rassicurante sapere che quest’organo, interpellato in merito all’opportunità di pubblicare gli studi sul virus del 1918, si sia espresso favorevolmente, concludendo che i benefici per la scienza derivanti da queste informazioni hanno un valore estremamente maggiore dei potenziali rischi.
Noi siamo profondamente convinti che pubblicare sia stata la decisione più giusta, sia in termini di sicurezza nazionale che di sanità pubblica. Certo, è impossibile prevedere il modo in cui le osservazioni scientifiche potranno stimolare la scoperta di nuove cure o di nuove procedure per il controllo e la gestione delle pandemie. Per esempio, nell’articolo di Nature il confronto tra le sequenze suggerisce che il virus della spagnola sia nato non da una serie di modifiche nei geni della polimerasi, ma dallo spostamento di questi geni, in blocco, da una fonte aviaria in un virus influenzale umano. La disponibilità di queste informazioni permetterà l’identificazione dell’origine aviaria del materiale genetico e chiarirà il motivo per cui è stato selezionato proprio questo particolare set di geni. Analogamente, i risultati dell’articolo di Science suggeriscono che il taglio di una proteina sulla superficie del virus del 1918 (un passo chiave per l’innesco dell’infezione) potrebbe scaturire da un nuovo meccanismo. Un’ipotesi che, se verificata, potrebbe portare alla sintesi di nuovi farmaci capaci di bloccare questo passaggio e prevenire così lo scoppio di una pandemia.
La gente deve sapere anche che il virus della spagnola non può uscire dai laboratori di ricerca. Tutti gli esperimenti vengono eseguiti, infatti, in strutture a livello 3 di biosicurezza, così come raccomandato dai Cdc e dai National Institutes of Health americani. I dati al momento disponibili sembrano suggerire che alcuni farmaci e possibili vaccini futuri potranno contrastare l’infezione provocata dal virus della spagnola. Ci sembra saggia, quindi, la recente decisione politica di stoccare grandi quantità di antivirali.