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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Notiziario - 8 febbraio 2007

Regno Unito: focolaio epidemico di A/H5N1 in un allevamento di tacchini

Il Department for the Environment Food and Rural Affairs (Defra) ha confermato la presenza del virus dell’influenza aviaria A/H5N1 in un allevamento di tacchini nel North Suffolk, nel Regno Unito. I risultati degli esami di laboratorio effettuati sono stati confermati da esperti del Servizio veterinario statale. Le fattorie infettate sono sottoposte a quarantena la sera del 1 febbraio 2007, così come richiesto dalle misure Ue. Il Defra ha provveduto ad avviare l’abbattimento di tutto il pollame, ha imposto la chiusura dell’area circostante nel raggio di 3 chilometri e ha messo sotto sorveglianza una zona di 10 chilometri. Nonostante questo episodio, il rischio per gli esseri umani rimane estremamente basso. Tuttavia, ogni possibilità di esposizione nell’uomo è presa molto seriamente e la Health Protection Agency ha lavorato, a stretto contatto con il Defra e i partner locali del National Health Service (Nhs), per assicurare che fossero prese tutte le misure necessarie per proteggere le persone esposte al virus. Questi interventi includono l’offerta di antivirali e vaccini per l’influenza stagionale alle persone che sono state in stretto contatto con il pollame infetto.

 

Ministero della Salute: in Italia nessun caso, alta la sorveglianza

In base a quanto riportato nel comunicato stampa dello scorso 3 febbraio, il sottosegretario alla Salute Gian Paolo Patta ha dichiarato che i casi di infezione da virus A/H5N1 in un allevamento di tacchini in Gran Bretagna costituiscono il terzo focolaio epidemico sostenuto dal virus A/H5N1 in Europa dal 29 gennaio, dopo i due episodi osservati in Ungheria. È possibile che questi siano attribuibili a una ripresa delle migrazioni dei volatili, causata dall’abbassamento delle temperature di queste ultime settimane. Secondo quanto riportato, al Comitato veterinario permanente dell’Unione europea verranno fornite tutte le informazioni di dettaglio. Per quanto riguarda l’Italia, la vigilanza è permanente su tutto il territorio con circa 1000 prelievi al mese effettuati negli ultimi cinque mesi. Tutti i campioni sono risultati negativi. L’unico caso di influenza riscontrato ha interessato un allevamento di germani nel mese di novembre colpito da un normale virus a bassa patogenicità.

 

Fao: vigilare sull'infezione nei gatti

I gatti possono essere contagiati dal virus altamente patogeno dell’influenza aviaria, ma sinora non vi sono riscontri scientifici che provino che il virus si sia trasmesso in modo costante tra i gatti o dai gatti agli esseri umani. Lo ha affermato la Fao che, in via precauzionale, ha raccomandato che nelle aree dove si sono verificati focolai nel pollame o nei volatili selvatici, ci si assicuri che i gatti siano tenuti separati dai volatili, fintanto che esista un pericolo di contagio. Negli allevamenti commerciali i gatti dovrebbero essere quindi tenuti al chiuso. La Fao raccomanda anche di non ricorrere alla soppressione dei gatti come misura di controllo, perché non vi è sino a oggi alcun elemento che possa indicare che i gatti trasmettano il virus in modo stabile e continuato. Al contrario, l’eliminazione dei gatti potrebbe portare a un aumento improvviso dei roditori (per esempio ratti), molto nocivi per l’agricoltura e potenziali trasmettitori di gravi malattie agli esseri umani.

Ha suscitato allarme la notizia, peraltro non confermata, che in Indonesia l’infezione da H5N1 sia stata identificata diffusamente nei gatti. In prossimità dei mercati avicoli di Giava e di Sumatra, dove di recente si sono verificati focolai d’infezione, sono stati analizzati esemplari di gatti randagi, che di solito si cibano di resti trovati tra i rifiuti. Non è comunque la prima volta che i gatti vengono infettati dal virus: in passato sono stati registrati casi in Thailandia, Iraq, Russia e anche Unione europea. I gatti possono contrarre l’infezione cibandosi dei resti di polli o di volatili selvatici infetti, sviluppare la malattia in forma grave, o addirittura letale, ed espellere il virus attraverso l’apparato respiratorio o digestivo.

“La situazione desta qualche preoccupazione non solo perché i gatti potrebbero agire da intermediari nella diffusione del virus H5N1 tra specie diverse, ma anche perché lo sviluppo del virus nei felini potrebbe facilitare la trasformazione del virus in un ceppo più contagioso, in grado di scatenare una pandemia”, ha affermato il vicedirettore generale della Fao Alexander Müller. Le ricerche condotte in Indonesia nel mese di gennaio, nelle zone dove sono stati segnalati focolai, hanno tuttavia mostrato che l’80% dei gatti non era infetto. Questo è un segnale incoraggiante, perché indica che è assai improbabile che i felini possano diventare un serbatoio permanente del virus. È più probabile che i gatti siano i portatori finali del virus”, ha affermato Peter Roeder, esperto di salute animale della Fao. La Fao raccomanda che i gatti siano tenuti sotto stretta osservazione per vigilare su qualsiasi presenza del virus. "Qualsiasi mortalità insolita deve far nascere il sospetto che possa trattarsi di H5N1, e le infezioni tra i felini potrebbero essere un segnale d'allarme precoce della presenza del virus. L’osservazione dei gatti deve dunque diventare parte dei sistemi di sorveglianza nelle zone colpite”, ha aggiunto Roeder.

La Fao avvierà studi sul campo a Giava, nelle zone dove il virus H5N1 è diffuso e dove si sono verificate morti di felini, per analizzare il loro ruolo nella trasmissione della malattia. La ricerca sarà poi estesa ad altre parti dell’Indonesia e in altri Paesi. “Occorrono anche studi sperimentali per capire meglio la biologia dell’infezione H5N1 nei gatti, molto importante per esempio la durata della diffusione del virus dagli animali infetti”, ha aggiunto Roeder.

 

Oms: premature le conclusioni sulla resistenza del virus H5N1 ai farmaci in Egitto

I virus A/H5N1 isolati in Egitto, che presentavano una mutazione associata a una riduzione della sensibilità all’osteltamivir, non sono sufficienti a dedurre conclusioni a livello clinico. Lo ha affermato a Ginevra nel corso di una teleconferenza David Heymann, rappresentante dell'Oms per l'influenza aviaria. Per questo, spiega Heymann, l'Oms continua il monitoraggio. Anche sul recente focolaio in Nigeria proseguono gli studi dell'Oms, principalmente per chiarire la provenienza del virus. Rispondendo alle domande dei giornalisti, Heymann si è anche occupato di politiche sanitarie: in particolare, suscita perplessità e preoccupazione la recente decisione delle autorità indonesiane di interrompere la condivisione dei campioni del virus identificati nel Paese. Il governo indonesiano sostiene di non avere garanzie che i suoi cittadini avrebbero benefici dalla condivisione, mentre ci sarebbero sicuri vantaggi per le case farmaceutiche. Per risolvere questi problemi, e in generale per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad affrontare la diffusione del virus, l'Oms ha in programma numerosi incontri insieme alla Fao, alle industrie e ai rappresentanti dei singoli Paesi. La misura principale, secondo Heymann, consiste nel sensibilizzare la popolazione e informarla sui rischi. In particolare, è importante vincere la resistenza di molti allevatori a segnalare i casi di pollame infetto. Per quanto riguarda l'Europa, invece, nonostante i recenti focolai, l'allarme rimane basso: come spiega Heymann, le misure di sicurezza europee sono le più elevate e garantiscono la protezione della popolazione. Il rischio di una pandemia è quindi basso, potrebbe aumentare in caso di una mutazione del virus, ma è una possibilità che attualmente non si può prevedere.

Fonte: teleconferenza con David Heymann, rappresentante dell'Oms per l'influenza aviaria.

 

Il ceppo H5N1 identificato in Ungheria è simile a quello dello scorso anno

L’Organizzazione mondiale della salute animale (Oie) ha confermato che il ceppo di influenza aviaria A/H5N1 isolato in un focolaio notificato dall’Ungheria ha un genoma per il 99,4% simile al ceppo che ha infettato alcuni Paesi europei lo scorso anno. Bernard Vallat, direttore generale dell’Oie, ha spiegato che questa informazione conferma che le caratteristiche genetiche del virus isolato in Ungheria non sono ancora mutate in modo significativo. È noto che i virus umani e aviari dell’influenza sono in grado di mutare o scambiare materiale genetico, dando vita a nuovi ceppi. In certe condizioni, questi nuovi ceppi possono essere gravati da una maggiore letalità, sia per gli animali che per l’uomo. Sin dall’inizio della crisi dell’A/H5N1 nel 2003, l’Oie richiede di migliorare a livello globale sia il monitoraggio che le misure di controllo sul virus negli animali. Il sequenziamento trasparente e lo scambio di campioni di virus sono anch’essi cruciali per tracciare l’evoluzione genetica del virus e attivare tempestivamente a livello globale le appropriate misure di risposta.

 

Nigeria: confermato il primo decesso nel Paese

Il governo della Nigeria aveva annunciato nei giorni scorsi il decesso, avvenuto il 16 gennaio 2007, di un caso sospetto di influenza aviaria in una donna di 22 anni proveniente da Lagos. Test preliminari sui campioni prelevati dalla giovane donna sono risultati positivi al virus influenzale A/H5. I campioni sono stati quindi inviati al centro di collaborazione Oms per l’influenza a Londra, e il 3 febbraio è stato confermato che si tratta del virus dell’influenza aviaria A/H5N1. La madre di questa donna è deceduta il 4 gennaio 2007 con sintomi simili, ma non sono stati prelevati campioni per la ricerca del virus. Le persone entrate in contatto con la ragazza sottoposte a follow up non hanno mostrato sintomi fino al doppio del tempo del periodo di incubazione previsto per l’influenza aviaria. Sono stati eseguiti test di laboratorio su campioni prelevati da queste persone e da altri tre casi sospetti, compreso un paziente deceduto. Questi campioni prelevati sono risultati negativi ai test effettuati dal centro di collaborazione Oms di Londra. Sono comunque in corso ulteriori indagini per identificare la fonte dell’infezione per la giovane donna deceduta.

Il virus A/H5N1 dell’influenza aviaria è stato individuato in focolai nel pollame in Nigeria e, come è avvenuto in altri Paesi, ci si aspetta che si possano verificare sporadici casi di infezione tra gli esseri umani. L’Oms sta comunque collaborando con il governo della Nigeria per una sorveglianza intensiva. È importante ricordare che la carne di pollame cotta in maniera adeguata, cioè a temperature uguali o superiori a 70°C, in modo che nessuna parte di essa sia di colorito rossastro, è sicura per il consumo alimentare. Non esiste infatti alcuna prova sulla trasmissione del virus A/H5N1 in seguito a consumo di carne ben cotta o di uova. Il rischio più elevato di esposizione al virus si ha attraverso la macellazione o la manipolazione di pollame vivo o morto. Per ulteriori informazioni sulla corretta procedura di cottura dei cibi si possono consultare le pagine dedicate a questo argomento sul sito dell’Oms.

 

(revisione a cura di Caterina Rizzo – reparto malattie infettive, Cnesps – Iss)