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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Malattie dell’anziano: invecchiamento fisiologico o patologico?

Il tema della salute mentale dell’anziano presenta una notevole rilevanza in termini di sanità pubblica. L’attenzione verso la caratterizzazione del decadimento cognitivo ha portato, fin dagli anni ’60, a tentare di definire una specifica categoria nosologica caratterizzata dalla presenza di un deficit cognitivo isolato in soggetti con età avanzata, per poter identificare una fase di transizione dall’invecchiamento fisiologico a quello patologico che potesse essere utile alla comprensione della fase precoce della storia naturale delle demenze. Nel corso degli ultimi decenni, sono state quindi proposte diverse possibili categorie quali “Benign Senescent Forgetfulness”, “Age Associated Memory Impairment”, “Age Associated Cognitive Decline”, “Cognitive Impairment No Dementia” e infine “Mild Cognitive Impairment (Mci)”. Con questa definizione proposta da Petersen nel 1999 si descrive un soggetto che presenta: un disturbo soggettivo di memoria (preferibilmente confermato da un famigliare), l’assenza di altri deficit cognitivi, normali abilità nelle attività di vita quotidiana, la presenza di un deficit di memoria documentato rispetto all’età e scolarità della popolazione normale e infine l’assenza di demenza. Il Mild Cognitive Impairment è probabilmente un fattore di rischio per la demenza ma si deve sottolineare che in molti casi (circa 20-40%) si osserva anche un cosiddetto ritorno alla normalità cognitiva, aspetto che implica una difficoltà a individuare in modo accurato questo tipo di soggetti. Per tali ragioni nelle raccomandazioni del progetto Alcove (pdf 86 kb) si ribadisce che il Mci è un’entità di ricerca e non clinica.

 

In questa prospettiva va segnalato che, per la prima volta, si comincia a discutere in termini molto concreti di prevenzione primaria e secondaria di demenza. L’articolo “The projected effect of risk factor reduction on Alzheimer's disease prevalence”, pubblicato da Deborah E. Barnes e Kristine Yaffe su The Lancet Neurology nel 2011, riassume le evidenze per quanto riguarda i sette fattori di rischio potenzialmente modificabili quali il diabete, l’ipertensione in età adulta, l’obesità in età adulta, il fumo, la depressione, la bassa scolarizzazione e l’inattività fisica.

 

Prevalenza di uso di farmaci antidemenza e antidepressivi

Nell’ambito del progetto europeo Alcove si è tentato di caratterizzare l’uso dei farmaci antidemenza nella popolazione anziana. In particolare si è rilevato che nel 2011 in Umbria 1,8% della popolazione con età ≥65 anni ha ricevuto almeno una prescrizione di inibitori delle colinesterasi (Farmaci che incrementano la relazione tra cellule del sistema nervoso). L'analisi per età e sesso ha indicato che la prevalenza di uso aumenta con l'età, da circa 0,3% nella fascia di età 65-69 anni al 3,5% per il gruppo di età 80-84. L'aumento sembra essere maggiore tra le donne più anziane: nella fascia di età 80-84 la prevalenza nella popolazione femminile è quasi il 4%. Tra gli assuntori di inibitori delle colinesterasi il 26% ha ricevuto anche una prescrizione di farmaci antipsicotici e il 56,5% una prescrizione di antidepressivi. Si stima che l'uso di farmaci antipsicotici è stato sette volte maggiore nella coorte di assuntori di inibitori delle colinesterasi (farmaci traccianti per la demenza) rispetto alla coorte di anziani e quasi tre volte maggiore per gli antidepressivi. Per approfondire leggi il report conclusivo del work packageEpidemiological data on dementia” (pdf 1,9 Mb) del progetto Alcove.

 

Alcune stime dell’Organizzazione mondiale della sanità indicano che nel 2020 la depressione,dopo le malattie cardiovascolari, sarà la patologia responsabile della perdita del più elevato numero di anni di vita aggiustati per disabilità (disability-adjusted life-years).

 

La prevalenza di depressione è più alta nelle donne rispetto agli uomini ed aumenta in maniera rilevante all’aumentare dell’età. Un precedente studio di popolazione italiano ha riportato una prevalenza quasi del 15% negli ultra 75enni, valore probabilmente sottostimato a causa dei casi di depressione frequentemente non diagnosticati in età avanzata. In linea con questo dato, l’uso di farmaci antidepressivi è cresciuto costantemente nell’arco degli ultimi anni in Italia, riportando un indice di variazione annua del +5,4% dal 2002 al 2011. Nel rapporto Osmed 2012 (pdf 14,8 Mb) è riportata un’analisi dettagliata dell’uso degli antidepressivi nella pratica clinica dei medici di medicina generale.

 

Data di creazione della pagina: 10 ottobre 2013

Revisione a cura del: Reparto di Farmacoepidemiologia, Cnesps-Iss