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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Informazioni generali

Attenzione: pagina in aggiornamento

9 gennaio 2014 - Il radon (Rn) è un gas inerte e radioattivo di origine naturale. È un prodotto del decadimento nucleare del radio all’interno della catena di decadimento dell’uranio. Il suo isotopo più stabile è il radon-222 che decade nel giro di pochi giorni, emettendo radiazioni ionizzanti di tipo alfa e formando i suoi cosiddetti prodotti di decadimento o “figli”, tra cui il polonio-218 e il polonio-214 che emettono anch’essi radiazioni alfa. Il radon è inodore, incolore e insapore, quindi non è percepibile dai nostri sensi. Se inalato, è considerato molto pericoloso per la salute umana poiché le particelle alfa possono danneggiare il Dna delle cellule e causare cancro al polmone.

 

La radioattività del radon si misura in Becquerel (Bq), dove un Becquerel corrisponde alla trasformazione di un nucleo atomico al secondo. La concentrazione nell’aria si esprime in Bq/metro cubo, indicando così il numero di trasformazioni al secondo che avvengono in un metro cubo d’aria.

 

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), attraverso l’International Agency for Research on Cancer (Iarc), ha classificato il radon appartenente al gruppo 1 delle sostanze cancerogene per l’essere umano.

 

Dove si trova?

Il radon è presente in tutta la crosta terrestre. Si trova nel terreno e nelle rocce ovunque, in quantità variabile. Il suolo è la principale sorgente del radon che arriva in casa. I materiali edili che derivano da rocce vulcaniche (come il tufo), estratti da cave o derivanti da lavorazioni dei terreni, sono ulteriori sorgenti di radon. Essendo un gas, il radon può spostarsi e sfuggire dalle porosità del terreno disperdendosi nell’aria o nell’acqua. Grazie alla forte dispersione di questo gas in atmosfera, all’aperto la concentrazione di radon non raggiunge mai livelli elevati ma, nei luoghi chiusi (case, uffici, scuole ecc) può arrivare a valori che comportano un rischio rilevante per la salute dell’uomo, specie per i fumatori.

 

Il radon si distribuisce uniformemente nell’aria di una stanza, mentre i suoi prodotti di decadimento si attaccano al particolato (polveri, aerosol) dell’aria che noi respiriamo e poi si depositano sulle superfici dei muri, dei mobili ecc. La maggior parte del radon che inaliamo viene espirata prima che decada (ma una piccola quantità si trasferisce nei polmoni, nel sangue e, quindi, negli altri organi), mentre i prodotti di decadimento si attaccano alle pareti dell’apparato respiratorio e qui irraggiano (tramite le radiazioni alfa) soprattutto le cellule dei bronchi.

 

Il radon si può trovare anche nell’acqua potabile. La concentrazione è molto variabile sia dal punto di vista spaziale che temporale e, anche se in maniera molto minore rispetto alla sua presenza in atmosfera, può comunque rappresentare una fonte di esposizione dello stomaco a radiazioni ionizzanti.

 

Radon negli ambienti quotidiani

Per la maggior parte delle persone, la principale esposizione al radon avviene in casa, nei luoghi di lavoro e nelle scuole. La concentrazione dipende da quanto uranio (da cui deriva il radon) è presente nel terreno sottostante l’edificio. Il gas migra dal suolo (o dai materiali da costruzione) e penetra all’interno degli edifici attraverso le fessure (anche microscopiche), gli attacchi delle pareti al pavimento, i passaggi dei vari impianti (elettrico, termico, idraulico). Di conseguenza, i livelli di radon sono generalmente maggiori nelle cantine e ai piani bassi.

 

Inoltre, vi sono forti variazioni sia spaziali che temporali: edifici anche vicini possono avere concentrazioni molto diverse, e in genere vi sono forti variazioni tra giorno e notte, estate e inverno e tra diverse condizioni meteorologiche. A causa di queste fluttuazioni, per avere una stima precisa della concentrazione media di radon in un edificio è necessario fare una misurazione per una durata sufficientemente lunga, preferibilmente un anno. Si utilizza un piccolo dispositivo in cui è presente un materiale che, essendo sensibile alle particelle alfa emesse durante il processo di decadimento del radon, rimane impresso con tracce indelebili. Il numero di tracce rilevate sul materiale è proporzionale alla concentrazione del gas nell’ambiente.

 

Effetti sulla salute

Il principale danno per la salute (e l’unico per il quale si abbiano al momento evidenze epidemiologiche) legato all’esposizione al radon è un aumento statisticamente significativo del rischio di tumore polmonare. A livello mondiale, il radon è considerato il contaminante radioattivo più pericoloso negli ambienti chiusi ed è stato valutato che il 50% circa dell’esposizione media delle persone a radiazioni ionizzanti è dovuto al radon.

 

In realtà, il pericolo per la salute dell’uomo viene non tanto dal radon in sé, ma dai suoi prodotti di decadimento che, essendo elettricamente carichi, si attaccano al particolato dell’aria e penetrano nel nostro organismo tramite le vie respiratorie. Quando questi elementi “figli” si attaccano alla superficie dei tessuti polmonari, continuano a decadere e a emettere particelle alfa che possono danneggiare in modo diretto o indiretto il Dna delle cellule. Se il danno non è riparato correttamente dagli appositi meccanismi cellulari, può evolversi dando origine a un processo cancerogeno.

 

Valori di riferimento e normativa

Molti Paesi hanno emanato delle normative o raccomandazioni per far sì che i livelli di concentrazione del radon non superino determinati valori di riferimento, detti anche “livelli di azione”.

  • Nelle abitazioni: la raccomandazione pubblicata nel 1990 dalla Commissione Europea Raccomandazione CEC 90/143 raccomandava un livello di riferimento di 400 Bq/metro cubo per le abitazioni. L’Italia, a differenza di diversi altri Paesi europei, non ha recepito questa raccomandazione, né adottato altra norma specifica per il radon nelle abitazioni. In alcuni casi, però, i valori specificati dalla raccomandazione CEC 90/143 sono stati utilizzati come riferimento. A seguito dei risultati dei numerosi studi epidemiologici effettuati negli ultimi 20 anni e della conseguente rivalutazione del rischio di tumore polmonare associato all'esposizione al radon nelle abitazioni, nel 2009 l'Oms ha pubblicato il rapporto WHO Handbook on Indoor Radon: A Public Health Perspective (pdf 600 kb, leggi anche l’approfondimento di EpiCentro sul rapporto Oms), nel quale si raccomanda che i Paesi adottino possibilmente un livello di riferimento di 100 Bq/metro cubo o comunque non superiore a 300 Bq/metro cubo. Il rapporto dell’Oms ha avuto un notevole impatto nel processo di revisione delle normative internazionali (come descritto in: Bochicchio F. The newest international trend about regulation of indoor radon. Radiation Protection Dosimetry vol.146, 2011). In particolare, per quanto riguarda l’Europa, un livello di riferimento non superiore 300 Bq/metro cubo sarà inserito nella direttiva europea in materia di radioprotezione la cui emanazione è prevista per il 2012, e che l’Italia sarà obbligata a recepire. Di conseguenza il livello di riferimento 400 Bq/metro cubo incluso nella raccomandazione europea del 1990 va considerato superato dalle più recenti raccomandazioni e normative internazionali e quindi, in assenza di una normativa nazionale, non può più essere preso come riferimento temporaneo. L’Italia avrà comunque entro tre anni circa una normativa nazionale sul radon nelle abitazioni tramite il recepimento della direttiva europea sopra citata. Altri Paesi europei hanno già delle normative in materia, anche se spesso a carattere di semplice raccomandazione, nelle quali sono adottati come livelli di azioni valori compresi tra 150 e 1000 Bq/metro cubo; per esempio: Stati Uniti 150 Bq/metro cubo, Regno Unito e Irlanda 200 Bq/metro cubo, Germania 250 Bq/metro cubo, Svezia 400 Bq/metro cubo. Molti di questi Paesi dovranno a breve aggiornare le loro normative, a seguito dell’emanazione della citata direttiva europea e di un’analoga normativa internazionale per i Paesi non europei
  • negli ambienti di lavoro: in Italia, con il Decreto legislativo 26/05/00 n. 241, si è fissato un livello di 500 Bq/metro cubo, superato il quale il datore di lavoro deve valutare in maniera più approfondita la situazione e, se il locale è sufficientemente frequentato da lavoratori, intraprendere azioni di bonifica. La concentrazione di radon deve essere misurata in tutti i luoghi di lavoro sotterranei. Inoltre, le Regioni (e le Province autonome di Trento e Bolzano) devono fare una mappatura del territorio per individuare le zone più a rischio e in cui è necessario misurare la concentrazione di radon anche nei locali non sotterranei, con priorità per i locali seminterrati e al piano terra
  • nell’acqua potabile: le linee guida fornite dall’Oms e dalla Commissione europea raccomandano un’intensificazione dei controlli se la concentrazione di radon nelle riserve di acqua potabile supera i 100 Bq/litro. Gli Stati Uniti hanno proposto un limite massimo di 159 Bq/litro per le riserve private d’acqua. La Commissione europea raccomanda azioni immediate oltre i 1000 Bq/litro. In Italia, il Consiglio superiore di sanità ha raccomandato che la concentrazione di radon nelle acque minerali e imbottigliate non superi i 100 Bq/litro (32 Bq/litro per le acque destinate ai bambini e ai lattanti).

Gli interventi possibili

Anche se non è possibile eliminare del tutto il radon dagli ambienti in cui si vive, ci sono diversi modi (con diversa efficacia) per ridurne la concentrazione nei luoghi chiusi, tra cui:

  • depressurizzare il suolo, realizzando sotto o accanto la superficie dell’edificio un pozzetto per la raccolta del radon, collegato a un ventilatore. In questo modo, si crea una depressione che raccoglie il gas e lo espelle nell’aria esterna all’edificio
  • pressurizzazione dell’edificio: aumentando la pressione interna, si può contrastare la risalita del radon dal suolo.
  • migliorare la ventilazione dell’edificio

Fondamentale è, poi, fare in modo che per le nuove costruzioni si adottino criteri anti-radon, come sigillare le possibili vie di ingresso dal suolo, predisporre un vespaio di adeguate caratteristiche cui poter facilmente applicare, se necessario, una piccola pompa aspirante ecc.

 

Le iniziative

A livello mondiale, nel 2005, l’Oms ha creato l’International Radon Project (Irp), in cui venti Paesi hanno formato una rete di collaborazione per identificare e promuovere programmi per la riduzione dell’impatto del radon sulla salute. Il progetto, di durata triennale, ha avuto come obiettivo principale l’elaborazione del WHO Hanbook on Indoor Radon (pubblicato nel 2009), contenente linee guida e raccomandazioni sui diversi aspetti della problematica radon con l’intento di favorire una strategia comune nei diversi Stati. Il primo e il secondo meeting si sono svolti a Ginevra rispettivamente a gennaio 2005 (pdf 433 kb) e a marzo 2006 (pdf 251 kb), il terzo si è tenuto a Monaco a marzo 2007.

 

A livello europeo, nel 2009 è iniziato il progetto triennale Radon Prevention and Remediation (Radpar), che vede coinvolti esperti di 11 Paesi europei, nell’ambito del quale l’Iss coordina il Work Package Developing policies and strategies to promote effective radon prevention and remediation.

 

In Italia, nel 2002, è stato elaborato un Piano nazionale radon (Pnr) con la collaborazione di un gruppo multidisciplinare di esperti, nell’ambito della commissione per l’elaborazione di proposte di intervento sull’inquinamento indoor. Il Pnr rappresenta un insieme organico e coordinato di azioni volte alla riduzione del rischio radon (incluse normative, mappature, informazione, formazione) ed ha avuto il parere favorevole del Consiglio superiore di sanità e della Conferenza Stato-Regioni. Alla fine del 2005, il Pnr ha ricevuto un primo finanziamento dal Ccm per realizzare il progetto “Avvio del Piano nazionale radon per la riduzione del rischio di tumore polmonare in Italia”. A coordinare il progetto è l’Istituto superiore di sanità, con la collaborazione delle Regioni, dell’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro (Ispesl, ora Inail), dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (Apat, ora Ispra). Il Piano nazionale radon punta a realizzare nei prossimi anni, in modo coordinato e condiviso a livello nazionale, il complesso di azioni necessarie per affrontare in problema radon. Consulta anche il sito “Il radon e il Piano nazionale radon”.

 

 

(revisione a cura di Francesco Bochicchio – direttore del reparto di Radioattività e suoi effetti sulla salute, dipartimento Tecnologie e salute, Iss)