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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
Istituto Superiore di Sanità - EpiCentro

Informazioni generali

La febbre tifoide, conosciuta anche come febbre enterica o tifo addominale, è causata dal batterio Salmonella enterica sierovariante typhi (Salmonella Typhi). L’uomo è l’unico vettore della malattia che, se non trattata, ha un tasso di mortalità superiore al 10%.

 

Modalità di trasmissione

Durante l’infezione i soggetti affetti da febbre tifoide trasportano i batteri nel sangue e nell’intestino. La maggior parte dei pazienti è contagiosa fino alla fine della prima settimana di convalescenza, ma il 10% degli individui non trattati disperde i batteri fino a tre mesi dopo la guarigione. Il 2-5% delle persone non trattate può anche diventare portatore cronico della malattia continuando a disperdere batteri. Dall’intestino e dal sangue i batteri passano poi nelle feci e nelle urine delle persone infette, permettendo la trasmissione dell’infezione ad altri individui.

 

La trasmissione può avvenire per via diretta attraverso le feci o, più frequentemente, per via indiretta, tramite l’ingestione di cibi o bevande maneggiate da persone infette o tramite la contaminazione, attraverso gli scarichi fognari, dell’acqua usata per bere o per lavare il cibo.

 

La febbre tifoide è più diffusa nelle aree a maggior degrado ambientale, dove le condizioni igieniche sono scarse. Anche i fondali marini possono essere contaminati dalle fogne e di conseguenza i molluschi e i crostacei mangiati crudi sono un’importante fonte di contagio. In scarse condizioni igieniche anche il latte può essere facilmente contaminato. Le mosche possono contaminare gli alimenti che poi a loro volta contaminano l’uomo.

In caso di epidemie una frequente fonte di contagio è rappresentata dalle sorgenti d’acqua contaminate.

 

Sintomi e diagnosi

La febbre tifoide è una malattia sistemica caratterizzata da febbre con esordio progressivo.

Dopo una o due settimane di incubazione la temperatura corporea sale tra i 39 e i 40 gradi. Gli altri sintomi legati a questa patologia sono un diffuso senso di debolezza, tosse, roseole (caratteristici esantemi maculari sul tronco), ingrossamento della milza e del fegato, dolori addominali, mal di testa e perdita di appetito. In alcuni casi si osservano anche diarrea ed emorragie o perforazioni intestinali. In assenza di trattamento la malattia progredisce con febbre sostenuta, bradicardia, epatosplenomegalia, sintomi addominali e in alcuni casi polmonite. Dalla terza settimana i casi non trattati possono manifestare complicazioni gastrointestinali anche molto gravi.

 

L’unico modo per accertare con sicurezza la malattia è l’analisi di un campione di sangue o di feci.

 

Prevenzione

La prevenzione della febbre tifoide può essere effettuata attraverso l’educazione all’igiene personale, in particolare il lavaggio delle mani dopo l’uso del bagno e prima del contatto col cibo,il controllo dei sistemi di fognatura e delle mosche (che possono trasportare il batterio).

 

Anche il singolo individuo può e deve rispettare una serie di norme per evitare il contagio, soprattutto se si trova in Paesi dove la malattia è diffusa. Fondamentale per chi si reca in zone a rischio è evitare alcuni tipi di cibo (specialmente crudo) e di bevande (latte non pastorizzato). È sempre opportuno bere acqua minerale sigillata oppure, nel caso in cui non sia disponibile, portare l’acqua a ebollizione per almeno un minuto prima di berla. Le bevande devono essere senza ghiaccio e il cibo ben cotto. La frutta e la verdura crude andrebbero evitate o accuratamente pelate prima del pasto.

 

La vaccinazione contro la febbre tifoide può essere indicata per chi prevede un viaggio in Paesi dove la malattia è diffusa. Il ciclo di vaccinazione deve iniziare almeno una settimana prima della partenza, ma bisogna tenere presente che non sempre è efficace (quindi bisogna sempre rispettare le norme igieniche elementari citate) e che dopo qualche anno andrebbe effettuato il richiamo se persiste la necessità di copertura.

 

Spesso i vaccini per i viaggiatori sono in forma combinata: l’anti-febbre tifoide può essere per esempio somministrato insieme all’anti-epatite A. In questo caso il vaccino deve essere somministrato in dose unica almeno quattro settimane prima della partenza.

 

Dal momento che in alcuni Paesi può esserci la possibilità di resistenza dei microrganismi agli antibiotici, sono stati sviluppati due vaccini: il vaccino contenente germi vivi del ceppo mutante attenuato Ty21a, orale, con un tasso di protezione intorno al 67% fino a sette anni dopo l’ultima dose; e il vaccino a base di polisaccaridi capsulari (Vi Cps), iniettabile, con un tasso di protezione del 72% dopo un anno e mezzo e del 50% dopo tre anni.

Ci sono alcune limitazione per questi vaccini (per esempio incompatibilità con alcuni farmaci antimalarici), per cui è sempre indispensabile consultare un centro di medicina dei viaggi per valutare il bilancio rischi-benefici dell’uso di questi vaccini.

 

Trattamento

La febbre tifoide deve essere trattata con antibiotici, ma negli ultimi anni si sono diffuse diverse forme di farmacoresistenza che potrebbero portare a un aumento della mortalità della malattia. La terapia antibiotica deve essere accompagnata da un attento monitoraggio del paziente. Se dopo alcuni giorni di trattamento la febbre persiste può essere necessario cambiare terapia. I pazienti con febbre tifoide devono essere assistiti con precauzioni che mirino a limitare la possibilità di trasmissione del batterio, inclusa la disinfezione continua di feci e urine.