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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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18 dicembre 2003

BMJ 2003;326:220 (25 January)

Lettera aperta a Tony Blair. Bisogna evitare l'escalation della violenza

 

Nell'ultimo mese sono stati pubblicati tre importanti rapporti sull'impatto a livello umanitario di violenza e conflitti internazionali. 1–3 In tutti e tre sono contenute prove degli effetti avversi sulla salute a breve e a lungo termine derivanti dall'uso della forza tra nazioni diverse. Il Rapporto su violenza e salute nel mondo [World Report on Violence and Health] dell'Organizzazione Mondiale della Sanità contiene un'analisi dettagliata di queste problematiche, studiate per tre anni da esperti in campo sanitario di diversi paesi.1 Il rapporto Danni collaterali: i costi sanitari e ambientali della guerra all'Iraq [Collateral Damage: The Health and Environmental Costs of War on Iraq] invece presenta uno studio di Medact, un'associazione no-profit del Regno Unito composta da infermieri, medici e altri professionisti del settore sanitario.2 Infine, l'ultimo rapporto pubblicato dalla Campagna Anti Sanzioni contro l'Iraq (CASI) con sede presso l'Università di Cambridge, è una relazione dell'ONU sulle possibili conseguenze umanitarie di una guerra all'Iraq.3

 

Secondo Medact se la minaccia di guerra contro l'Iraq dovesse concretizzarsi, “il totale dei morti da tutte le parti in conflitto durante lo scontro e nei tre mesi successivi potrebbe variare da 48.000 a più di 260.000. La guerra civile in Iraq potrebbe provocare altri 20.000 morti. Successivamente i decessi dovuti agli effetti avversi sulla salute nel dopoguerra potrebbero raggiungere i 200.000. In tutti questi casi, la maggior parte dei danni sarebbe a carico della popolazione civile.” Nel rapporto si prevede che “tra gli strascichi di una guerra 'convenzionale' si potrebbero annoverare guerra civile, carestia ed epidemie, ondate di rifugiati e profughi, oltre agli effetti catastrofici sulla salute e sullo sviluppo dei bambini.” Non è da escludere inoltre una ricaduta negativa in termini di conflitti internazionali, disuguaglianze e divisioni.

 

L'ultimo rapporto dell'ONU prevede anche un rilevante e diffuso impatto umanitario: “Si calcola che non meno di 500.000 persone potrebbero avere bisogno di cure a seguito di lesioni dirette e indirette più o meno gravi,” sulla base della stima dell'OMS di 100.000 persone danneggiate direttamente e 400.000 indirettamente. Nel rapporto si sottolinea l'attuale carenza di alcune attrezzature mediche, “per cui le scorte attuali sarebbero insufficienti” a coprire le maggiori richieste in periodo bellico. Tutto questo è aggravato dalla “verosimile mancanza di un sistema primario di assistenza sanitaria nei mesi dopo il conflitto.”

 

Nel rapporto si dice anche che "la situazione a livello alimentare di 3,03 milioni di persone in tutto il paese diventerebbe molto grave e che queste potrebbero avere bisogno di alimentazione terapeutica [secondo le stime dell'UNICEF].” Infine “si calcola che ci saranno circa 900.000 rifugiati iracheni che chiederanno aiuto, di cui 100.000 avranno bisogno di aiuto immediato [secondo l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR)]. Circa 2 milioni di persone potrebbero avere bisogno di assistenza con alloggio.” Per 130.000 rifugiati esistenti in Iraq “è probabile che l'ACNUR inizialmente non sarà in grado di fornire il sostegno necessario.”

 

Ma la conseguenza più preoccupante dell'uso della forza in Iraq e a livello internazionale è il ruolo che questo avrebbe dal punto di vista dell'escalation della violenza collettiva. L'OMS definisce la “violenza collettiva”-da parte di stati o organizzazioni non governative-come: “L'uso strumentale della violenza da parte di persone che si riconoscono come membri di un'organizzazione-sia che si tratti di un gruppo temporaneo sia che abbia una struttura permanente-contro un altro gruppo o insieme di individui, allo scopo di raggiungere obbiettivi politici, economici o sociali.” A detta dell'OMS tale uso collettivo della forza avrebbe un impatto negativo in termini di stabilità e benessere sociale a lungo termine. La violenza internazionale è in continuo aumento e “in tutto si calcola che nel ventesimo secolo 72 milioni di persone abbiano perso la vita a causa di conflitti, senza contare le 52 milioni di vite perse in conseguenza dei genocidi.” Il conflitto tende a subire un'escalation a seguito dell'uso collettivo della forza in quanto la violenza diventa una forma più frequente e legittimata di azione politica o sociale.

 

I professionisti in campo sanitario di tutto il mondo sono consapevoli di dover rimediare ai danni provocati dalla guerra. Ciononostante la nostra responsabilità consiste anche nel cercare di prevenire la violenza e nel sostenere l'importanza di una soluzione pacifica dei conflitti. Il personale e gli studenti della London School of Hygiene and Tropical Medicine provengono da e lavorano in più di 120 paesi, molti di questi in guerra. La nostra esperienza e le prove concrete confermano l'opinione dell'OMS, delle Nazioni Unite e di Medact.

 

Noi riteniamo che una guerra avrebbe conseguenze disastrose a breve, medio e lungo termine in ambito sociale e per la sanità pubblica—non solo in Iraq, ma a livello internazionale. Ogni conflitto affonda le proprie radici nella disuguaglianza e nell'ingiustizia. L'intervento militare in Iraq, considerato che ci sono ancora tante possibilità di disarmo pacifico, rischia di condurre a un aumento incontrollabile della violenza collettiva. L'OMS ritiene che il conflitto possa essere evitato solo se si arriva a tipi di sviluppo più equilibrati e a forme di governo che esprimano senso di responsabilità e moralità in tutti i paesi. Da parte nostra ci associamo a tale conclusione e riteniamo che sia possibile prevenire ulteriori atti di violenza adottando forme di gestione a livello internazionale e locale fondate su concetti di pace ed etica.

 

Per tutti questi motivi siamo contrari all'intervento militare in Iraq. Speriamo che questa lettera contribuisca a una discussione approfondita tra i rappresentanti del governo e l'opinione pubblica. Con questa dichiarazione, infine, esprimiamo il nostro appoggio a tutti coloro che si oppongono all'azione militare per motivi etici e umanitari, indipendentemente dalla posizione politica o dal credo religioso individuale.

 

Carolyn Stephens docente di politiche ambientali e sanitarie, dipartimento di politica e sanità pubblica - London School of Hygiene and Tropical Medicine, London WC1E 7HT-

carolyn.stephens@lshtm.ac.uk In nome e per conto del personale, degli studenti e dei laureati della London School of Hygiene and Tropical Medicine, in collaborazione con Medact.

 

 

I nomi dei 500 firmatari di questa lettera sono pubblicati sul sito bmj.com.

 

 

1 Organizzazione Mondiale della Sanità. World report on violence and health. (consultato il 20 gennaio 2003).

 

2 Medact. Collateral damage: the health and environmental costs of war on Iraq. (consultato il 20 gennaio 2003).

 

3 Campaign Against Sanctions on Iraq (CASI). Rapporto interno ONU. Possibili scenari umanitari. (consultato il 20 gennaio 2003)

  

(Traduzione a cura di Elena Di Concilio)