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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Archivio per anni

 

In ricordo di Pierluigi Morosini

Lo staff di Ipertesto Edizioni si unisce al ricordo di quanti hanno conosciuto Pierluigi Morosini e hanno potuto apprezzarne le doti umane e professionali.

 

La redazione di Ipertesto Edizioni

 


 

Sale della terra. Così, mi dissero, si era espresso Tomatis a proposito di Piero Morosini, all’inizio della sua esperienza nel Laboratorio di Epidemiologia. Mi bastava per avere desiderio di stare in contatto e scambiare opinioni. Sempre piacevole e stimolante ogni incontro con Piero, anche quando le reciproche opinioni divergevano. Ogni contatto era un arricchimento. Ho apprezzato la sua eleganza nell’elaborare i pensieri, oltre alla sua eleganza nel vestire. È raro incontrare persone come Piero: quando capita si è fortunati.

 

Michele Grandolfo

Cnesps, Iss

 


 

Ripensando in questi giorni al mio rapporto con Piero Morosini, mi è tornato in mente che il nostro primo incontro era stato minuziosamente documentato: una sua conferenza del 1984 a Ferrara, come apertura di un progetto più ampio sulla valutazione dei servizi psichiatrici. La conferenza è stata registrata e trascritta da una diligente dattilografa, ieri l'ho trovata in cantina e passata sullo scanner. Voglio condividere con voi questo ricordo e vi invio le prime due pagine (pdf 25 kb) del suo discorso. È linguaggio parlato, non scritto, vivace e pungente. Provate a immaginare che effetto possa aver avuto nel 1984 l'affermazione che c'è una correlazione positiva fra numero di medici e mortalità.

Provate a pensare che l'Ebm non era nemmeno in fase di gestazione, Donabedian aveva appena scritto il suo capolavoro e il libro di Cochrane era uscito da poco in Italia.

Buona lettura e… grazie, Piero!

 

Ulrich Wienand

MD PhD

Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara "Arcispedale S. Anna"

 


 

Ancora non mi sembra vero che Piero è morto, vedo la sua foto, ricordo come se fosse ieri la festa di matrimonio e quella al suo circolo a metà maggio scorso, mi sembra che sia ancora giù. Pur lavorando a solo un piano di distanza, non ci vedevamo spesso, a volte passavano mesi, ma se avevo voglia di chiedergli qualcosa o solo di fare due chiacchiere, se ero fortunata che c’era e non era occupato, mi accoglieva sempre volentieri e una cosa tira l’altra mi intratteneva anche più del previsto. Un pregio ma anche un difetto: alla base, credo, del suo continuo rincorrere il tempo, un cronico accumulatore di ritardi. Quando lavoravo con lui questo mi faceva impazzire, non so quante volte ho desiderato chiudere la porta e dire “basta, non entra più nessuno e non si comincia niente di nuovo”. Per una ordinatrice sistematica come me, uno come Piero che ripeteva continuamente “dove l’ho messa” era l’ideale per dare libero sfogo al bisogno di accudire intelligentemente…

L’avevo scelto io, nel lontano 1982, appena capito di che cosa si occupava quell’alieno personaggio che vedevo passare nel corridoio, avevo chiesto di essere trasferita nel suo reparto (che consisteva solo di lui stesso). Eravamo entrati da circa un anno entrambi, i nostri numeri di matricola erano consecutivi, solo che lui era già grande grosso e famoso, io ero una piccola assistente sconosciuta entrata da esterna, soprattutto grazie a un buon inglese che mi aveva alzato la media al concorso (una specie di miracolata, oggi non sarebbe proprio possibile). E fu proprio grazie all’inglese che cominciammo a lavorare insieme. Alla mia offerta di collaborazione mi affidò la traduzione dall’inglese di un opuscolo su “100 domande da porsi entrando in un residenza per lungodegenti”, uno dei tanti nella marea di letteratura grigia e colorata che collezionava nei sui viaggi di scoperta, soprattutto nel mondo anglosassone. Io rimasi folgorata da quelle cose semplici ma delle quali nessuno si occupava, mi convinsi che era giusto dargli una mano e soprattutto mi si aprì tutto un mondo nuovo (anziani, disabili, malati psichiatrici, valutazione dei servizi ecc) quando già cominciavo a chiedermi che cosa ci facevo lì…

Piano piano arrivarono altri volontari che a quell’epoca non si chiamavano precari e che erano per la maggior parte psichiatri o psicologi. Tra le tappe importanti del lavoro insieme, metterei senz’altro tutta l’epidemiologia psichiatrica, ma anche i primi corsi di epidemiologia clinica. Lui era andato di persona alla mitica McMaster University (ho ancora la cartolina) e fu tra i primi a tradurre e ad adattare le griglie di valutazione di articoli scientifici, che utilizziamo per tanti corsi destinati alle varie specialità mediche. Eravamo già avviati verso la Evidence Based Medicine.

Lavorando con Piero ho conosciuto tante persone interessanti, qualcuno è stato anche una grande amicizia. In particolare, mi sento in dovere di ricordare Albert Kushlick (che ci ha lasciato già da una decina d’anni), che Piero incontrò a New York durante un corso di psicoterapia. Da queste esperienze personali nasceva spesso uno spunto da integrare nel suo lavoro. Direi che non si capiva dove finiva la sua vita privata e il suo lavoro. Dalla loro amicizia nacque una preziosa collaborazione nel campo dell’assistenza a persone con difficoltà cognitive. Albert era uno psichiatra che aveva fatto un percorso inverso a quello tradizionale: dalla ricerca accademica era tornato sul campo, dove applicava con rigore metodi e strumenti tesi a migliorare la qualità della vita di questi pazienti e dei loro carer. Il corso che organizzammo insieme a lui a Firenze nel settembre del 1983 resta una pietra miliare della mia vita, perché in qualche modo segnò anche quella personale, oltre a costituire una grande soddisfazione professionale e un impegno che oserei dire etico ancor prima che lavorativo.

Ma non erano tutte rose e fiori con Piero. Quando si arrabbiava la situazione diventava tragicomica ed era meglio non assistere. Non sopportava la stupidità, gli faceva scattare un’intolleranza primordiale. Una volta se la prese pure con me perché avevo eseguito un suo ordine sbagliato. Mi urlò: “Ma se allora ti dico di buttarti dalla finestra, tu ti ci butti?!”. E io, furibonda: “No! Ti ci butto a te e tutte le cartacce tue”. Il tutto avvenne in presenza di Alfredo Zampieri e Mantovani senior, che erano venuti a pranzare con noi. Il giorno dopo avevo la febbre a 40° e rimasi a casa malata per una settimana. Non mi ricordo se mi chiese scusa, ma cito l’episodio non tanto per ricordare come poteva essere lui, quanto per testimoniare di un periodo caldo e partecipato, se penso a come sono diventata saggia e distaccata adesso. Ho un po’ di nostalgia per quei tempi, una tarda gioventù piena di conflitti e ideali. Ma anche delle prime depressioni, in cui i motivi personali si sovrapponevano alle insicurezze sul lavoro. In questo lui poteva capirmi, avevamo una certa complicità, come solo chi ha sofferto dello stesso male può capire.

È vero, a un certo punto lo lasciai, non riuscivo più a seguirlo. L’arrivo di Francesco Taroni provocò una rottura nel gruppo, era difficile accontentare entrambi questi due separati in casa. Scherzando, lui mi rinfacciava di avere preferito i Drg, ma non smise di volermi bene, aveva una stima di fondo per me da quella prima traduzione, che aveva commentato “Per lo meno si vede che sai l’italiano”, che alla luce di poi è proprio un bel complimento.

Negli ultimi tredici anni il nostro rapporto si era arricchito di una scherzosa componente: lo prendevo sempre in giro perché gli piaceva tanto mio marito. Un giorno lui e Fiorino lo avevano portato a cercare funghi ed erano rimasti reciprocamente entusiasti. Tanto che una volta lo invitai a cena e mi ritrovai a fare solo da passavivande tra i due, che avevano ingaggiato uno scambio fitto fitto di discorsi: i più vari, dalla religione alla politica alla botanica, senza darmi neanche modo di intervenire. Sì, poteva essere prevaricante, ma solo perché gli uscivano le parole a raffica, con una velocità pari alla vastezza degli argomenti. Mi faceva tanto ridere come parlava inglese, con una proprietà superiore alla media dei suoi pari, ma con un’inflessione tutta sua, la stessa che gli veniva in italiano. Anzi, in milanese.

Scrivendo queste poche righe di ricordi molto personali, mi sono resa conto che parlando di lui ho ripercorso un pezzo della mia vita. Se sono cresciuta professionalmente lo devo anche a lui, magari inconsapevolmente ma ha contribuito al mio percorso. Anch’io in fondo qualche volta mi sento un po’ speciale, un po’ eclettica, se solo fossi capace di leggere ed elaborare come faceva lui…

Mi dispiace tanto, so che ha sofferto molto alla fine, mesi fa già ne era consapevole e mi aveva detto: “Non sopporto l’idea di dover soffrire, di morire nel dolore”. Non si ribellava tanto all’idea della morte, quanto alla rassegnazione al dolore propria della dottrina cristiana. Come non essere d’accordo con lui? Per fortuna prevale un ricordo festoso, quando alla fine di un sontuoso pranzo di nozze ha preso il microfono e ci ha letto qualche poesia serena e una manciata di aforismi pungenti. E il giorno dopo, di buon’ora, se ne è andato a cogliere funghi, erbe e radici seguito da un gruppetto di affezionati. Si divertiva come un bambino (stavo per dire… come un matto!).

 

Antonella Lattanzi

Cnesps, Iss

 


 

I m so sorry to hear the sad news of Piero's passing away from us. I always remember him with great affection, for his intense passion and enthusiasm about quality issues and his warmth and friendship.

One of the funny things I remember about him was his reaction when I told him (in 1994) that I was now on sabbatical and living in Catalonia. He looked straight at me and said, with sincere feeling, how he thought Spanish was: "...the most beautiful, beautiful language in the world but…", he continued, "why do they speak it in such a monotone voice?!".

He is one of those characters whom I will probably never forget and wish I had had the chance to know him more than I did.

 

Andrew Thompson

Senior Lecturer in Advanced Quantitative Methods School of Social and Political Studies University of Edinburgh Chrystal Macmillan Building

Scotland

 


 

Pierluigi Morosini per me è stato un collega incomparabile, un maestro dell'epidemiologia e un grandissimo amico. Un faro di intelligenza geniale, immensa cultura e profonda umanità. Chi ha lavorato con lui è stato sempre arricchito dai suoi consigli e commenti preziosi e lungimiranti. Piero non sarà mai dimenticato da chi l'ha conosciuto. Le sue parole, i suoi insegnamenti e anche le sue toccanti poesie rimarranno sempre nel cuore dei suoi amici e colleghi. 

 

Margherita Branca

 


 

Ho conosciuto Morosini in una sessione di valutazione dei progetti europei di ricerca sanitaria a Bruxelles. Entrambi, senza conoscerci reciprocamente, eravamo stati inseriti nello stesso panel del DG Research.

Dopo aver letto i progetti con una attenzione e una scrupolosità senza precedenti, Pierluigi espresse nella fase di discussione una critica feroce ai criteri di valutazione, e demolì uno dopo l'altro tutti gli schematismi della Commissione, fino a esprimere attraverso una raffinata teoria epistemologica l'assoluta impossibilità di fare ricerca a livello europeo. Inutile dire che, tra i funzionari della Commissione, obbligati a ragionare e a gestire i processi secondo un percorso codificato e con una tempistica strettissima, si sparse il panico più totale. Anche perché non era possibile obiettare il parere di un esperto indipendente, e Pierluigi era assolutamente fermo sulle sue convinzioni. La sessione si protrasse faticosamente fino a tarda ora, annaspando progetto dopo progetto poiché Pierluigi non accettava di assegnare un "voto" a ciò che secondo lui era logicamente ingiudicabile.

Da secondo "italiano" mi fu chiesto di mediare, cosa che feci cinicamente prospettando soluzioni fredde e pragmatiche, con un pizzico di “mediterraneità” tale da limare le posizioni del caro collega. Al termine della sessione Pierluigi mi si avvicinò dicendo: "Fabrizio, non riuscirò mai ad avere uno stile impeccabile di stampo anglosassone come il tuo, sono troppo radicale". Eppure sapevo che lui aveva assolutamente ragione, e che quel complimento lo avrebbe meritato lui per la sua impareggiabile onestà intellettuale.

Ho partecipato a numerosi altri panel con esperti di altissimo livello, ma mai mi è capitato di incontrare una persona di simile spessore umano e professionale. Al termine dei tre giorni passammo con i colleghi una serata incantevole nei dintorni della Grand Place, che ricordo ancora oggi e ricorderò sempre.

Un vero peccato non averlo più incontrato, e non poterlo più incontrare.

 

Fabrizio Carinci

 


 

Piero aveva il dono di saperti insegnare qualcosa a ogni incontro, senza la supponenza che le distanze intellettuali spesso contribuiscono a creare, ma con sincera amicizia.

Ho un ricordo vivo e piacevole del lavoro fatto in quei giorni al Conero in cui creammo la "Carta di Portonovo" e di una passeggiata sulla spiaggia di sassi quando, felici come bambini, camminammo per un pezzo tutti assieme alla fine del nostro incontro.

Dall'amico ti aspetti che condivida l'immagine che uno ha di se stesso o, perlomeno, che non se ne allontani troppo. Anche se la sua valutazione è positiva, non è mai esagerata. Tutti mi possono fraintendere, ma non un amico.

Questa è stata la base delle relazioni nel consiglio con Piero: benevolenza nel costruire rapporti di reciprocità, fiducia come strumento di crescita, condivisione e cooperazione.

Un abbraccio

 

Mario Baruchello


 

A Pierluigi Morosini tutta la nostra stima, affetto e riconoscenza.

 

Silvana Appiano

Antonella Battilomo

Fernando Buonuomo

Claudio Cartoni

Giuseppe Casale

Giancarlo Corbelli

Paolo Cornaglia Ferraris

Livia Crozzoli Aite

Caterina De Nicola

Anna De Santi

Francesco Di Giulio

Nicola Ferrari

Paolo Ferraris

Anna Luisa Frigo

Michele Gallucci

Angela Guarino

Giampiero Genovese

Elisabetta Iannelli

Emanuela Lopez

Walter Macino

Silvana Noviello

Patrizia Rubbini Paglia

Michela Sammartino

Rosanna Verdoliva

Silvana Zambrini

 

Il gruppo Care

 


 

Apprendo con dispiacere della scomparsa di Pierluigi Morosini. Nel novembre del 2002, durante un convegno in Italia, un signore che non conoscevo personalmente mi avvicinò, interessato alla mia relazione, proponendomi di contribuire con un capitolo a un libro. Poi ho scoperto che era Morosini. Ho avuto così l'onore di partecipare a una pubblicazione curata da lui. Non credo che molte persone, nella sua posizione e con la sua autorevolezza, avrebbero avuto la stessa disponibilità e apertura per invitare uno sconosciuto, riconoscendovi un possibile utile contributo.

 

Vincenzo Guardabasso

Catania

 


 

Ti ho conosciuto in Clinica del lavoro a Milano, nell’estate del 1975, quando per due mesi hai frequentato i reparti perché dicevi che non si poteva fare epidemiologia senza conoscere la clinica. E così hai motivato me, laureando, a lavorare in sanità pubblica. Anche se non ci siamo più incontrati, ti ho sempre seguito sulla rivista “Epidemiologia e prevenzione”.

Un affettuoso ricordo

 

Antonio Gattinoni

Direttore del dipartimento di Prevenzione medica

Asl di Lecco

 


 

Ho conosciuto Morosini quando nella Associazione di epidemiologia si era abbastanza pochi da fare subito amicizia, anche se lui era già tra i maggiori riferimenti. Solo qualche anno dopo ebbi l'occasione di chiedergli dei suggerimenti per lavorare nella mia Usl sull'epidemiologia dell'alcol. Mi accolse senza problemi nel suo studio dove passai mezza giornata, mentre mi riempiva di consigli e di letteratura. E intanto teneva a bada una serie di altre incombenze, e io sudavo per la paura di non riuscire a tenergli dietro e a utilizzare in pieno il mare di informazioni e di spunti di riflessione che stava condividendo con me, come se avessimo lavorato insieme una vita.

E mai in tutte le volte che ci siamo incontrati mi ha fatto mancare un cenno, un saluto, un commento stimolante o solo ironico, che mi facevano sentire amico di una grande persona.

Appartengo ai fortunati che hanno conosciuto questo tipo di persona e so che non smetterà di mancarmi.

 

Marco Petrella

Dipartimento di Prevenzione

Servizio Epidemiologia

Perugia

 


 

Vorrei dare il mio ultimo saluto al professor Morosini, che ho avuto il piacere di conoscere in diverse occasioni in giro per l'Italia. Una mente lucida, dinamica, un vulcano d'innovazioni e genialità, che sicuramente lascerà un grande vuoto nella ricerca epidemiologica della psichiatria italiana. Un caloroso saluto a lui, sentite condoglianze alla famiglia.

 

Silvia Azzali

Servizio psichiatrico di diagnosi e cura Parma

 


 

Ho conosciuto Pierluigi Morosini nel 1980 ad Erice. Mi colpì subito la sua curiosità verso altri saperi, la sua grande libertà di pensiero associata all'attenzione verso l'innovazione in sanità.

Mi spiace non averlo potuto conoscere meglio...

 

Mario Cuccia

responsabile Servizio epidemiologia Ausl 3 Catania 

 


 

Vorrei esprimere le mie più sentite condoglianze alla famiglia del dottor Pierluigi Morosini.

 

Salvatore Lopresti

Dirigente Regione Calabria

 


 

Caro Piero,

come dimenticare la tua sensibilità, la tua gentilezza, la tua poliedricità, la tua intelligenza e acutezza? E quegli impeti di emozionalità che a volte ti facevano urlare polemicamente contro qualcuno nel corridoio comune, ma sempre nel rispetto del buongusto e dell’educazione che ti rendevano ancora più simpatico. I tuoi molteplici interessi ti rendevano un interlocutore ideale, sempre aggiornato e attento. Ci intrattenevi con le tue definizioni sull’epidemiologia ottenute combinando arbitrariamente vari pezzi di frase. Le tue poesie ci toccavano il cuore per la loro immediatezza e profondità.

Sarai sempre presente nei nostri cuori.

 

Sergio Mariotti

Cnesps, Iss

 


 

Persona che lo ricorderò per tutta la vita, per professionalità e competenza. Anche nel modo di trattare con il mondo delle associazionismo. Lui sapeva trasmetterti ogni cosa, con la sua semplicità comunicativa. Lo ricorderò sempre anche per il suo umorismo, mai offensivo. Ti faceva veramente sorridere con la sua semplicità e naturalezza.

Per una grande persona, condoglianze.

 

Roberto Bartocci, per tutta l’associazione Mobilitas di Roma

responsabile settore Diversamente abili

 


 

Siamo davvero in tanti a essere addolorati per la morte di Piero e siamo consapevoli che gli dobbiamo molto e che ci mancherà nei prossimi anni. Una visione lucida nel campo della sanità pubblica. In 22 anni di collaborazione non solo ho potuto beneficiare dei suoi vulcanici insegnamenti, ma ho assistito, dai primi corsi di formazione per gli operatori in Italia di epidemiologia psichiatrica e valutativa, del miglioramento continuo di qualità, dai primi progetti valutativi degli interventi e dei servizi di psichiatria, dalla messa a punto di innumerevoli strumenti valutativi, alla creazione di una rete informale, ma solida, concreta, formidabile di servizi di salute mentale che oggi operano sulla base di principi metodologicamente corretti e nel rispetto dell’utenza e dei suoi familiari.

Ti dobbiamo molto Piero, e lo dico con certezza anche per tantissimi operatori che ho conosciuto grazie a te, soprattutto per esserti speso fisicamente, per aver messo a disposizione il tuo talento di ricercatore e animatore professionale e scientifico per i servizi italiani, affinché adottassero quanto più possibile pratiche di provata efficacia e fossero pronti a valutarne nel tempo gli esiti.

 

Franco Veltro

direttore Dipartimento di salute mentale di Campobasso

ex ricercatore a contratto presso l’Iss dal 1987 al 1989

 


 

Per ricordare Piero rischierei di cadere nell’ovvio e nello scontato dell’elogio, della magnificazione o anche solo del grande affetto che ci legava.

Così come voleva il titolo della collana della casa editrice da lui stresso fondata (“Guide per la mente”), interpretava al meglio la funzione di “maestro di pensiero”. E questa funzione era contenuta nelle sue parole, mai senza importanza, ma anche nei suoi scritti.

Quando Mauro Pesce, eminente docente all’Università di Bologna di Storia del Cristianesimo era un po’ meno famoso di adesso, poiché non aveva ancora fatto l’“intervista a Gesù” assieme a Corrado Augias, accettò il mio “intraprendente” invito a scrivere la prefazione al libro di Piero “Vangelo e Corano”, mi affrettai a leggerlo per avere una misura più obiettiva del valore di lunghissime e interessantissime discussioni che avevamo avuto in una delle meravigliose estati passate assieme al mare a Copanello.

Ho affidato alle parole del professor Pesce, allora, il compito di riassumere oggi, più incisivamente e più obiettivamente di quanto non possa fare io stesso, le qualità, la complessità, il valore umano, culturale e scientifico della “persona” Morosini. […] Di fronte a questi complessi fenomeni (leggi: funzione sociale e politica delle religioni, movimenti restaurativi cattolici, radicalismo islamico, fioritura di sette e movimenti di vario tipo ecc - ed eravamo ancora solo nel 2001!), questo libro suscita interesse perché sintomo di un modo particolare di reagire che mi sembra irrinunciabile per le persone colte. L’autore non è uno specialista di storia delle religioni, ma un ricercatore di vasta responsabilità scientifica, che però ha al suo attivo una formazione culturale e umanistica ampia e profonda. […] Si tratta di un atto di responsabilità civile […] quello di prendere posizione esplicita circa il valore delle proposte umane che le religioni ci fanno. […] L’interrogazione di Morosini […] ha una caratteristica importante: è diretta […] per decidere se i valori che essi Vangelo e Corano propongono sono accettabili o meno. E lo fa sulla base di una profonda cultura civile e umanistica che ha appunto le caratteristiche appena esposte: pluralismo, distinzione fra Stato e Chiesa, tra ragione e fede, funzione critica della ragione. Bisogna dirlo chiaramente: è un atteggiamento apprezzabile. […] La presenza di diverse religioni dovrebbe obbligare a porre domande a tutte le religioni presenti, senza presupporre una tradizionale riverenza per l’una o una tradizionale diffidenza per l’altra. Morosini […] è alieno da un atteggiamento irreligioso o areligioso, […]esprime una religiosità personale. […] Il lettore si renderà conto che l’autore non affronta tematiche dogmatiche, ma prevalentemente […] etiche e generalmente umane.

Era solo una delle tante prese di posizioni personali che lo avevano reso famoso anche quando scivolava nella polemica, abbandonando transitoriamente pacatezza e tolleranza.

Quelle prese di posizione personali, chiare e consapevoli di chi aveva scelto come compito civile irrinunciabile il porsi sempre domande e il cercare risposte.

Grazie Piero!

 

Mario Nicotera

Catanzaro

 


 

È difficile per me intervenire in questa circostanza di grande dolore e trovare una traccia che possa far comprendere il cordoglio che ho provato e provo tutt’ora.

Credo di poter parlare a nome di tutti i suoi amici dicendo che il suo ricordo rimarrà per sempre vivo in quanti l’hanno conosciuto, stimato e amato.

Piero era un grande studioso, un innovatore, un lavoratore instancabile, una personalità eclettica, che ha dedicato tutta la sua vita alla ricerca nel campo dell’epidemiologia, della qualità e della salute mentale. Dotato di un’intelligenza vivida e di un grande rigore scientifico, la sua cultura e i suoi interessi spaziavano in ambiti completamente diversi. Dalle pubblicazioni sulla comunicazione in oncologia, all’accreditamento d’eccellenza, a numerosi saggi sulla depressione e disturbi mentali, fino alle poesie.

Persone oneste, corrette, e giuste come lui ne sono rimaste poche e ce ne saranno sempre meno. Un uomo dall’indubbia integrità morale al quale possiamo e dobbiamo tributare tutta la nostra ammirazione e la nostra stima, anche se dall’approccio diretto e deciso e dalla forte e complessa personalità.

Un uomo degno di essere ricordato e indicato come esempio di rettitudine e di grande intelligenza.

Affettuoso con gli amici e severo con chi perseverava nell’errore, un uomo poliedrico e straordinario malgrado il suo carattere difficile.

Talvolta la sua mente geniale lo rendeva artefice di bizzarre distrazioni, delle quali inevitabilmente si pentiva, chiedeva scusa con atteggiamento quasi timido e innocente. Una volta, ad esempio, trovandosi al Cefpas per un corso, mi chiese in prestito la macchina, nuova fiammante (l’avevo comperata una settimana prima) per andare a funghi. La riportò indietro completamente rigata da un cespuglio di rovi dentro il quale si era infilato. Mi torna ancora in mente il suo sguardo pentito, come quello di un bambino che è stato scoperto con le mani nella marmellata, mentre si offriva di farmela riverniciare. Innocenza, la sua, che contrastava con l’irreprensibilità che lo caratterizzava.

E cosa dire del primo corso di comunicazione realizzato in Iss, da lui appoggiato, durante il quel ne combinò una delle sue, scoppiando in una sfuriata inarrestabile contro un partecipante. Ma subito dopo, in atteggiamento di chi prova una grande vergogna per ciò che ha fatto, ha chiesto scusa, quasi con le lacrime agli occhi, alla vittima del suo attacco verbale.

Ricordo ancora con grande affetto e commozione il sostegno certo che ho ricevuto da lui sia in Iss, sia quando sono stata nominata alla direzione del Cefpas. Era sicuramente felice per me e si è reso subito disponibile, offrendomi generosamente la sua professionalità e competenza, sempre con grande signorilità. Tanti sono i ricordi in questi 20 anni di amicizia e stima.

Il Cefpas, tutto il suo personale, e i professionisti della sanità siciliana salutano lo studioso, il maestro, ma soprattutto un grande amico.

A Piero, commossa, rivolgo un addio e un grazie per essere stato quel grande uomo, quell’amico straordinario e per essere stato semplicemente Piero.

Dallo “Qohelet della Sicilia”.

 

Pina Frazzica

Direttore generale del Cefpas

 


 

Abbiamo trascorso trent'anni della nostra vita accanto e al seguito di Piero Morosini. Con lui abbiamo condiviso molte avventure intellettuali e umane. Con lui abbiamo discusso e studiato, parlato e ascoltato, scherzato e fatto festa, ci siamo arrabbiati e riappacificati.

La fortuna di vivere una vita piena è strettamente legata alla conoscenza di persone come Piero, che della loro curiosità hanno fatto vita, della loro onestà hanno fatto storia, della loro continua ricerca hanno fatto modello di vita.

Abbiamo imparato tanto da Piero, tanto gli abbiamo dato, tanto impareremo ancora dai suoi scritti che, riletti molte volte, sempre danno cose nuove, spunti, suggerimenti, ricordi, connessioni, pensieri.

Piero, rinascimento in un continuo e persistente medioevo, ci ha dato il senso della ricerca e della comprensione dei fenomeni in sanità. E, se la sanità è una metafora della vita, della vita stessa. Per questo, finché qualcuno leggerà i suoi scritti, commenterà le sue parole, ricorderà le sue lezioni, Piero non finirà la sua vita.

Andandosene, Avedis Donabedian mandò a tutti i suoi amici del mondo una poesia, scritta negli ultimi suoi difficili giorni. Ci diceva che sarebbe stato ad attenderci su una spiaggia calda, con un sole tiepido e una bella luce morbida, perché in realtà l'unica cosa che gli dispiaceva, andandosene, era la mancanza dei cari amici con cui aveva trascorso i suoi 81 anni di vita a scoprire i principi della qualità dell'assistenza sanitaria.

Un giorno, Piero, in vacanza in Australia, su una spiaggia della barriera corallina incontrò casualmente Avedis con sua moglie Dorothy. Fu una festa.

Me lo immagino ritornato su quella spiaggia, incontrare Avedis che aspettava qualcuno, me li immagino venirsi incontro, farsi festa e continuare, per sempre, la loro ricerca, assieme.

 

Andrea Gardini

insieme a tutti i soci che in 25 anni di vita hanno partecipato, con Piero Morosini, all'avventura intellettuale della Società italiana per la qualità dell’assistenza sanitaria

 


 

Ciao Piero

hai cavalcato la saggezza dell’intelligenza

e cercato il bello in ogni anfratto delle umane debolezze

hai toccato con coraggio là dove la mente si chiede l’ultimo perché

e rischia di perdersi e naufragare

la tua mente non conosce l’odio, non conosce la vendetta, non conosce il rancore

come acqua limpida che sgorga infinita hai costruito in avanti con il tuo fare

con l’unico scopo di migliorare la qualità di vita su questo piccolo giardino che è la nostra Terra.

 

Grazie Piero…

 

Gabriella Palumbo

Iss