L’eliminazione della rosolia congenita
Giorgio Bartolozzi - pediatra, Firenze
Il 1 marzo 2005 si è tenuta a Roma nella nuova sede del 
	Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute 
	una riunione dei rappresentanti delle Regioni per ascoltare alcune relazioni 
	sulla rosolia congenita, tenute dagli esperti più esperti in Italia su 
	questa affezione (M. Ciofi degli Atti, M.G. Pompa, M.G. Revello, W. 
	Buffolano, E. Franco). Una riunione quanto mai opportuna perché 
	nell’applicazione del Piano nazionale per l’eliminazione del morbillo e 
	della rosolia congenita era stato giustamente dato particolare risalto alla 
	lotta contro il morbillo, quasi mettendo in secondo piano la lotta, 
	altrettanto necessaria, per limitare al massimo la rosolia congenita. Eppure 
	nei confronti della rosolia e della rosolia congenita avevamo molto 
	sbagliato, e di sicuro le difficoltà nelle quali ci dibattiamo oggi 
	dipendono molto anche dagli errati comportamenti che abbiamo assunto nel 
	passato. Fin dagli anni Sessanta abbiamo seguito una strategia sbagliata: 
	quasi tutte le Regioni (essendo questa una vaccinazione raccomandata, la 
	scelta del calendario era lasciata alle Regioni) hanno emanato delle leggi 
	che prevedevano la vaccinazione del solo sesso femminile all’età di 12 anni, 
	cioè poco prima di entrare nell’età fertile. Questa scelta era legata al 
	fatto che i vaccini allora a disposizione (sia il ceppo Cendehill che il 
	ceppo HPV-77) non erano molto immunogeni, per cui si pensava fosse 
	necessaria un’elevata circolazione del virus (ecco perché i maschi non 
	venivano vaccinati), per permettere continue, piccole, asintomatiche 
	reinfezioni esogene, come richiami dell’immunità antirosolia, nei soggetti 
	vaccinati.
	
	Questa strategia è stata un fallimento, perché 
	l’elevata circolazione virale faceva ammalare quei soggetti di sesso 
	femminile che non erano stati sottoposti alla vaccinazione, mantenendo un 
	numero elevato di casi di rosolia congenita che in Italia erano ogni anno, 
	quando li contavamo, fra 50 e 100. Nei Paesi (come Stati Uniti e soprattutto 
	Finlandia) dove veniva vaccinata tutta la popolazione (femmine e maschi) al 
	compimento del primo anno di vita e a 5-6 anni non solo il numero dei casi 
	di rosolia congenita si era abbassato a poche unità, ma era scomparsa o 
	quasi anche la rosolia naturale nei soggetti suscettibili. Nel Regno Unito, 
	che per primo aveva proposto in Europa la vaccinazione del solo sesso 
	femminile, già nel 1992 vi fu un cambiamento di strategia, per passare alla 
	vaccinazione universale di tutti i soggetti dopo l’età di un anno e a 5-6 
	anni. In Italia abbiamo perso tempo e, nonostante gli inviti a passare alla 
	nuova strategia, solo nell’aprile 1999 è stato accolta ufficialmente la 
	vaccinazione universale, per femmine e per maschi, con due dosi.
	
	La disponibilità di un vaccino più efficace, come 
	quello a disposizione da oltre una ventina di anni (RA 27/3), rende infatti 
	inutili le reinfezioni esogene e permette il passaggio alla vaccinazione 
	universale. Ma abbiamo fatto un altro errore: dal 1991 abbiamo seguito la 
	“politica dello struzzo”, cioè abbiamo tolto dall’obbligo di notifica i casi 
	di rosolia congenita, per cui fino al novembre 2004 (cioè per 13 anni) buio 
	completo sull’epidemiologia della rosolia congenita nel nostro Paese. Solo 
	con il Decreto ministeriale del 14 ottobre 2004 (Gazzetta ufficiale n. 259 
	del 4 novembre 2004) è stato deciso che i casi di rosolia congenita andavano 
	di nuovo notificati. Oggi che abbiamo tutti gli strumenti a disposizione, è 
	necessario recuperare il tempo che abbiamo perduto. Anzi, per attenuare gli 
	errori che abbiamo fatto, è necessario un maggiore impegno da parte di tutti 
	per sconfiggere la rosolia congenita. Avendo a disposizione il vaccino MPR, 
	il cui R sta per rosolia, esaminando le coperture vaccinali per il morbillo, 
	siamo in grado di conoscere le coperture per la vaccinazione contro la 
	rosolia. Grazie alla campagna contro il morbillo, attualmente in corso, 
	abbiamo superato la copertura dell’80% e forse anche quella dell’85%. 
	L’obiettivo è arrivare al 95% di copertura con la prima dose e meglio ancora 
	con la seconda, entro il 2007.
	
	Ma, a questo punto, penso sia necessario fare alcune 
	considerazioni sull’epidemiologia della rosolia: secondo la famosa tabella 
	di Anderson RM e May RO (Lancet, 1990) l’R0 per la rosolia è di 7-8, cioè 
	intorno a un caso di rosolia si ammalano, fra i suscettibili, 7-8 soggetti, 
	contro un R0 per il morbillo e la pertosse di 17-18: quindi la rosolia ha un 
	potenziale d’infettività fra i suscettibili circa metà di quello del 
	morbillo e della pertosse. In queste condizioni viene calcolato che sia 
	sufficiente raggiungere una copertura vaccinale dell’85-87% per limitare o 
	annullare l’incidenza della malattia. Per questo gli elevati livelli di 
	copertura contro il morbillo, in alcune aree già raggiunti e superati e in 
	altre in via di raggiungimento, ci tranquillizzano anche nei confronti della 
	rosolia. Ma vaccinando soltanto i nuovi nati (come stiamo facendo dal 1999) 
	non risolviamo il problema, perché lasciamo in preda al virus della rosolia 
	tutti i soggetti suscettibili al di là dei 6-7 anni che non erano stati 
	vaccinati con MPR. Ecco la necessità assoluta di un’accurata opera di 
	“ripescaggio”. Opera senza dubbio piena di difficoltà perché necessariamente 
	deve coinvolgere alcune professioni che fino a oggi erano state lontane 
	delle vaccinazioni. Sto pensando ai ginecologi-ostetrici, ai medici di 
	medicina generale, alle ostetriche e a tante altre persone, che vanno in 
	tutti i modi coinvolte per convincere le donne in età fertile a controllare 
	la propria situazione immunologica nei confronti della rosolia ed 
	eventualmente a procedere alla vaccinazione. Valutare la situazione 
	immunologica al parto è senz’altro utile, ma è sempre una battaglia di 
	retroguardia, perché la prima gravidanza è già stata espletata e perché si 
	fanno sempre più rare le coppie con due figli.
	
	L’anamnesi ha una scarsissima importanza, sia perché 
	gli errori di diagnosi sono frequentissimi, sia perché l’infezione della 
	rosolia si presenta anche senza sintomi, o con sintomi non specifici, o 
	infine con sintomi parziali. E poi anche perché molti altri virus (adenovirus, 
	ecovirus, coxsackie, parvovirus B19 e altri) possono presentarsi con un 
	esantema uguale a quello della rosolia, tanto che noi pediatri distinguiamo 
	un esantema della rosolia e un esantema roseleiforme, dovuto ad altri agenti 
	infettivi. Di qui la necessità di procedere alla determinazione degli 
	anticorpi specifici mediante il Rubeotest. Ecco che finalmente, nella 
	diagnosi di certezza della rosolia, entra il laboratorio, sia come 
	isolamento virale, che come accertamenti sierologici. Già nel Piano 
	nazionale per l’eliminazione del morbillo e della rosolia congenita è 
	previsto un ricorso al laboratorio per accertare la diagnosi delle due 
	malattie, almeno quando, aumentando la copertura, la loro incidenza si sia 
	fatta meno frequente.
	
	Il problema della rosolia congenita è aggravato dal fatto che il neonato, 
	colpito dall’infezione, elimina virus per lunghi periodi di tempo: non per 
	7-10 giorni come nella malattia acquisita dopo la nascita, ma per mesi e 
	talvolta anche per più di un anno. Egli diventa una vera e propria 
	“mitragliatrice” che spara virus tutt’intorno: ha una potenzialità infettiva 
	tremenda, per cui va previsto il suo isolamento, sia quando è ricoverato 
	nella nursery che quando torna al proprio domicilio; vanno evitati 
	soprattutto contatti con di donne in stato iniziale di gravidanza, 
	nell’ipotesi che esse possano essere suscettibili. Prima dell’avvento della 
	vaccinazione la percentuale di donne in età fertile suscettibili si aggirava 
	sul 20%: oggi sono certamente di meno e comprendono soprattutto le donne 
	immigrate, le quali, come appare chiaramente dalla lettura delle 
	pubblicazioni sull’argomento, sono da considerare particolarmente a rischio. 
	Di una cosa è necessario tener conto, avendo a che fare con un vaccino 
	combinato contro morbillo, parotite e rosolia: se il soggetto che stiamo per 
	vaccinare ha già superato una o due delle tre malattie verso le quali è 
	attivo il vaccino, niente di male, possiamo tranquillamente vaccinare 
	ugualmente il soggetto con il vaccino triplo, in mancanza, come sta 
	accadendo, di vaccini monocomponenti che ci permetterebbero di non usare il 
	vaccino triplo. Di recente è stato messo in commercio un vaccino 
	bicomponente, attivo per conferire le difese verso morbillo e rosolia, ma 
	mancano le altre diverse combinazioni.
