Sorveglianza e prevenzione dei danni da rosolia congenita: necessità di interventi a garanzia di esaustività e appropriatezza
Wilma Buffolano - Dipartimento pediatria, Università
Federico II di Napoli
L’attuazione del Piano di eliminazione per il
morbillo e la rosolia congenita impone un’attenta sorveglianza sui casi
incidenti di rosolia congenita (sindrome e infezione), per il possibile
effetto paradosso della campagna di vaccinazione straordinaria con MPR della
popolazione infantile sull’età di massima incidenza della rosolia acquisita.
Sorveglianza che non può prescindere dall’acquisizione - da parte di tutti i
sanitari che lavorano con donne in età fertile o in gestazione e i loro
bambini - di sufficiente dimestichezza nella prevenzione della rosolia,
attraverso l’isolamento e la vaccinazione, e nella diagnosi di rosolia
congenita nel primo anno di vita, anche quando sembrano mancare segni
importanti.
I due casi emblematici che vengono qui presentati e
commentati vogliono contribuire alla identificazione dei bisogni da
soddisfare e delle azioni da promuovere per il raggiungimento degli
obiettivi fissati dalla Regione Europea entro il 2010 (contenimento dei casi
di rosolia congenita al di sotto di 1 ogni 100.000 nati vivi).
Migrazione sanitaria e dispersione delle
informazioni§
Contro la rosolia, il Registro infezioni perinatali
dell’Assessorato alla Sanità della Regione Campania monitora trend secolare
ed efficacia delle pratiche, arruolando per diagnosi e trattamento tutti i
nati da donna con sospetta o accertata infezione verticalmente
trasmissibile, e retrospettivamente tutti i bambini con diagnosi di
infezione perinatale nella fase degli esiti [1]. Le attività del Registro
sono supportate da un centro clinico di riferimento, collegato a organismi e
istituzioni europee che operano ai massimi livelli di conoscenza, e da una
rete dei punti nascita regionali (onlus-RePuNaRC), organizzata in
associazione non a scopo di lucro registrata nell’elenco delle onlus a scopo
sociosanitario della Regione Campania, che copre l’89% della natalità annua
(circa 70.000 nati vivi).
Tra gennaio 1997 e dicembre 2003 figurano riportati
nel registro 21 casi di rosolia congenita, il 67% dei quali concentrati in 2
picchi epidemici (1997 e 2001- 2002). L’ultimo caso registrato, è stato
segnalato nella Asl BN1, caratterizzato da vocazione non-metropolitana,
disparità socioculturali non drammatiche, basso indice di natalità, scarsa
dispersione dei punti nascita sul territorio e buone coperture vaccinali con
MPR.
K.C. nasce nell’aprile 2003, primogenito da madre
19enne, casalinga, scolarità licenza media. Malgrado una storia ostetrica
negativa per eventi degni di nota durante la gravidanza (anche 2 ecografie
praticate risultavano normali), subito dopo la nascita (avvenuta a termine
per via vaginale) la rilevata combinazione di microcefalia, microftalmia
bilaterale con cataratta, soffio cardiaco suggestivo di dotto di Botallo
pervio induce il neonatologo a far eseguire un rubeo-test, che mostra
positività delle IgM. Ai genitori, che si mostrano scettici sulla diagnosi,
anche perché in famiglia si erano avuti altri casi di cataratta in maschi,
viene suggerito di riferirsi per conferma diagnostica e inquadramento
clinico al centro di riferimento, dove, in un unico ricovero in day
hospital, la diagnosi viene confermata (IgM e coltura urine e saliva).
Ecografia e Tac dimostrano la presenza di calcificazioni endocraniche
(tipica disposizione a candelabro), con volumetria e morfologia dei
ventricoli inalterate. L’esame esterno dell’occhio conferma microftalmia e
cataratta bilaterali. I genitori rifiutano di eseguire una ecografia delle
orbite, turbati dal consiglio dell’oculista di posporre, ai fini di una
migliore riuscita, l’intervento di estrazione del cristallino per la
presenza di una ancora rilevante reazione infiammatoria. Rifiutano anche di
praticare i potenziali evocati uditivi (Abr) per escludere danni all’udito.
A una più approfondita indagine anamnestica della
gestazione risultava rash febbrile atipico, insorto tra V e VI settimana di
età gestazionale (poche micropapule, notate prima su braccia e addome, si
erano poi estese a guance e zona retro-auricolare) e risolto in 4-5 giorni.
Non fu possibile risalire al caso indice da cui la donna aveva acquisito il
contagio. Nell’occasione, ci si era accontentati dell’anamnesi positiva per
rosolia acquisita da piccola e non erano state prescritte indagini di
laboratorio a fini diagnostici. Né d’altro canto il rubeo-test era stato
eseguito all’inizio della gravidanza come indagine di routine (2).
A maggio dello stesso anno, il bambino effettua presso
un ospedale pediatrico di Roma l’intervento di estrazione del cristallino. A
giugno 2004 il paziente contatta il Settore di protesizzazione acustica del
Dipartimento di neuroscienze del Policlinico di Napoli (sede anche del
centro di Riferimento Regionale). Si chiede ai genitori se la diagnosi fosse
stata effettuata nel centro di riferimento, per assicurarsi della sua
appropriatezza. Alla risposta affermativa, nessuno prescrive di tornare al
Centro Pediatrico per il follow-up. La protesi retro-auricolare risulta
acquistata dalla Asl di residenza e consegnata alla famiglia, ma il collaudo
non è stato mai registrato, né risulta l’inserimento del bambino in un
programma di riabilitazione fonetica in centri pubblici o accreditati della
stessa Asl.
Per quanto attiene la cardiopatia non abbiamo notizie
documentali. Nell’ospedale in cui è stata effettuata l’ablazione del vitreo
sono stati eseguiti un ECG e una visita cardiologica, che non posero
controindicazioni. Fonti indirette d’informazione deporrebbero per una
cardiopatia non grave. Infatti, alla disamina delle Schede di Dimissione
Ospedaliera non figurano ricoveri in strutture di cardiochirurgia pediatrica
della regione e il piccolo non risulta ripescabile attraverso il Registro
Cardiopatie Congenite della stessa Regione.
I genitori non si sono ancora presentati per un
re-inquadramento clinico e neurosensoriale (previsti all’età di 2 anni) sia
al centro di riferimento pediatrico che a quello audiologico. Purtroppo,
anche i rapporti con il pediatra di famiglia risentono dello stress accusato
dalla famiglia, per cui non si è riusciti a ottenere che la famiglia
sottoponga il piccolo a una valutazione delle performance neurosensoriali
anche in ambiente non controllato.
Il caso descritto sottolinea la potenziale drammaticità
sul piano clinico dell’infezione congenita da virus rubeolico, che in questo
bambino ha provocato una cardiopatia non grave, ma deficit neurosensoriale
rilevante, tenuto conto della sordità bilaterale e della potenziale
compromissione del visus, che sovente permane dopo l’intervento di
vitrectomia (coloboma?). Sottolinea altresì la complessità del management
globale di questi casi, che richiede il concorso di specialisti diversi e
con specifica esperienza, cosa non facile da realizzare in caso di malattie
particolarmente rare. Ma sottolinea anche il tremendo impatto psicologico
sulla famiglia di una patologia cronica e invalidante, che può indurre sensi
di colpa nei genitori, che potevano fare qualcosa per evitare la tragedia.
Purtroppo, si deve rilevare una pesante richiesta
formativa sia per quanto attiene l’adeguatezza delle pratiche innescate
dalla comparsa di un rash febbrile in gravidanza che di quelle innescate
dalla diagnosi di rosolia congenita.
Un rash in gravidanza rappresenta una condizione di
rischio per il feto, non solo in caso di rosolia, in quanto altri virus
verticalmente trasmissibili possono indurre anomalie fetali (ad esempio
Varicella e Parvovirus B19). Una anamnesi positiva per rosolia è
inaffidabile per stabilire uno stato di protezione, così come l’assenza di
segni clinici in seguito a un contatto intimo ripetuto con un caso indice.
Inoltre, è possibile la reinfezione (e la trasmissione verticale della
stessa) in un soggetto IgG positivo al rubeo-test.
La definizione completa del fenotipo della rosolia
congenita è una procedura complessa, che richiede procedure definite a tempi
definiti, esperienza e disponibilità di strumenti idonei, ma anche tempo
sufficiente di osservazione. Infatti, non tutte le manifestazioni della
malattia sono presenti e rilevabili nel periodo perinatale. Tutto ciò
aumenta il carico di ansia delle famiglie, specie quando l’evento (pur
prevedibile) viene vissuto come tradimento delle attese. E’ necessario
dunque offrire a queste famiglie adeguato supporto psicosociale.
Nel nostro caso, un buon collegamento tra centri di
diagnosi e cura (anche ubicati in regioni diverse), la disponibilità di
sistemi di cattura e ricattura (Banca SDO dell’Agenzia Sanitaria, Registro
Regionale Cardiopatie Congenite, collaborazione stabile con il Centro
Regionale di Protesizzazione, hanno consentito di mantenere la sorveglianza
epidemiologica sul caso, ma non di garantire adeguatezza e tempestività di
cure. Inoltre, la mancanza di formazione e informazione ha alimentato una
migrazione inutile e costosa (anche sul piano psicologico), che può persino
aver ritardato i necessari interventi di supporto (protesizzazione acustica,
riabilitazione neurosensoriale ed eventualmente psicomotoria, aiuti
sociali).
Elevati livelli di copertura per MPR nella popolazione
infantile (i migliori della regione, anche se inferiori al 90%) si
confermano insufficienti a mantenere adeguati livelli di controllo
sull’incidenza della rosolia congenita (la natalità nella Asl BN1 si aggira
sui 3000 nati vivi l’anno) quando non associati al recupero delle donne in
età fertile suscettibili alla rosolia [3].
Pertanto, campagne di informazione alla popolazione
sia sull’opportunità della vaccinazione che sui danni da rosolia congenita e
formazione medica specifica non sono più procrastinabili. Andrebbero anche
istituzionalizzati i possibili flussi informativi tra le varie figure
professionali (non solo quelle coinvolte nella promozione della salute e
della vaccinazione, ma anche tra centri clinici di III livello).
Diagnosi di Rosolia
Congenita: quanto tardiva e difficile può mai essere?§§
A partire da gennaio 1997, il settore Infezioni
Perinatali dell’Università Federico II ha confermato la diagnosi di rosolia
congenita in 21 nati tra il 1997 e il 2003 e in una ragazza di 15 anni, la
cui storia singolare sottolinea quanto sia obsoleta questa diagnosi e quanto
difficile possa risultare la conferma di laboratorio dopo il primo anno di
vita.
Tra la 9a e la 10a settimana
successiva all’ultima mestruazione il primo figlio presentava una rosolia
clinicamente manifesta con febbre, rash e linfoadenopatia. Come conseguenza,
insorgeva rash tipico con febbricola all’età gestazionale di 12-13
settimane. Le IgM, eseguite alla comparsa del rash, risultavano negative.
Successivi controlli eseguiti a 17 e 19 settimane EG mostravano positività
delle IgG e IgM specifiche. Poche ore dopo la nascita, avvenuta alla 38°
settimana EG, la bambina veniva trasferita in un reparto di terapia
intensiva neonatale per ittero grave (non su base immune) che imponeva una
emotrasfusione.
All’esame dei carteggi risultano basso peso e una
circonferenza cranica <5 percentile. In cartella non risultano praticate IgM
anti-rosolia, né altro accertamento virologico specifico. Se si esclude una
esotropia diffrattiva (porta gli occhiali dall’età di 3 anni), non sono
riferite patologie di rilievo. Non è stata vaccinata con MPR e non ha
presentato nessuno degli esantemi infantili.
All’età di 6 anni, per il notevole ritardo del
linguaggio, insorse il sospetto di sordità: venne confermata anacusia
destra, con agenesia della coclea. In occasione della visita
pre-anestesiologica per la RMN cerebrale, effettuata per lo studio della
coclea, fu rilevato un soffio cardiaco, più tardi inquadrato come da “lieve
insufficienza mitralica e aortica”. Per la complessità del ritardo di
sviluppo neurologico la bambina eseguì diverse consulenze genetiche. A 13
anni le viene praticata ovariectomia destra per dolore addominale ricorrente
da megacisti. A 15 anni è stata infine inviata al settore Infezioni
Perinatali dell’ Università Federico II con la richiesta di confermare o
escludere la diagnosi di rosolia congenita. IgM specifiche, coltura virale e
RT- PCR su urine e saliva sono risultate negative, con IgG positive (livelli
medio-alti, avidità intermedia). La radiografia delle ossa lunghe ha
mostrato strie di radiolucenza ossea alle metafisi distali di femori e
tibie; la fundoscopia indiretta è risultata difficile per la presenza di
sinechia atrofica posteriore all’occhio destro. Tenuto conto della diagnosi
materna di rosolia in gravidanza “confermata” e della compresenza, anche se
naturalmente non contemporanea, di 2 segni di categoria a) e 4 segni di
categoria b) (criteri CDC, rivisitati 1999) (4), si è tentata una conferma
diagnostica eseguendo la vaccinazione con MPR. Il mancato effetto booster (IgG
non raddoppiate, IgG avidità che non matura) (5, 6) ha deposto per una
infezione rubeolica in utero, restata comunque non definita.
Il caso riferito richiama diverse criticità nella
sorveglianza e prevenzione della rosolia congenita. In primo luogo la madre
ha affrontato la terza gravidanza ancora in condizioni di suscettibilità.
Nessuna precauzione è stata presa nei contatti familiari, anche quando il
primo figlio (e poi anche la seconda) hanno contratto una rosolia
clinicamente manifesta.
La datazione del contagio materno non ha tenuto conto
del periodo di viremia (che precede il rash di 7 giorni) e ne sono
conseguite malpratiche, sia in fase prenatale, sia postnatale. E’
mancato il counselling sull’elevato rischio di danno fetale; è mancata la
conferma o l’ esclusione della diagnosi di rosolia congenita e delle sue
complicanze alla nascita. Lo stesso sospetto diagnostico, fondato sulla
compresenza di diversi criteri di gruppo a) e b), di cui alcuni palesatisi
nel tempo, è stato avanzato molto tardi, verosimilmente perché non si è
tenuto conto che lo spettro dei sintomi è completo dopo il secondo anno di
vita. Ormai alle soglie dell’adolescenza, sono rimasti utilizzabili solo
indicatori indiretti, per la conferma di laboratorio, che non può essere
definitiva, in accordo ai criteri correnti. Malgrado la exanguinotrasfusione
alla nascita, che avrebbe potuto alterare il risultato delle IgM specifiche,
la semplice determinazione delle IgG dopo i 6 mesi di vita, evidenziando la
loro persistenza, avrebbe permesso la diagnosi di certezza. In ogni caso, i
risultati della coltura virale sarebbero stati affidabili.
§ Gennaro Vetrano, Raffaele Arigliani °, Renato Pizzuti ”, Gennaro Auletta ^, Wilma Buffolano*
UOC Pediatria e Neonatologia, O. S. Cuore di Gesù; ° Pediatra Libera Scelta ASL BN1; “ OER- AASR; ^ Responsabile Settore di Protesizzazione acustica del Dipartimento di Neuroscienze AUP- Università Federico II, Napoli; * Responsabile Registro Infezioni Perinatali- ASSRC
§§ Riccio F., Porcaro S., De Luca G., Russo R & Buffolano W.
Registro Campano ASSRC e Settore Infezioni Perinatali-Dipartimento Pediatria Università Federico II
Bibliografia
1. Buffolano W, Lorenzo E, Lodato S, Parlato A, Pizzuti R. Sorveglianza della rosolia congenita: l’esperienza del Registro campano delle infezioni perinatali Ben Notiziario ISS, 2003 (16) 5. Disponibile su: http://www.epicentro.iss.it/ben/2003/maggio2003/4_en.htm
2. Gazzetta Ufficiale Repubblica Italiana, 20.10.1998, Serie generale N° 245, p 24- 29.
3. Ciofi degli Atti M.L., Fabi F., Salmaso S., Pizzuti R., de Campora E. Measles epidemic attributed to inadequate vaccination coverage, Campania, Italy, 2002. MMWR 2003; 52(43):1044-1047.
4. CDC. Control and Prevention of Rubella: evaluation and management of suspected outbreaks, rubella in pregnant women, and surveillance for congenital rubella. MMWR 2001, 50 (RR12); 1-23.
5. Fitzgerald MG, Pullen GR, Horking CR. Low affinity antibody to rubella antigen in patients after rubella infection in utero. Pediatrics 1988, 81: 812-14.
6. Immunoglobulin G avidity in the serodiagnosis of congenital rubella syndrome. Eur J Clin Microbiol Infect Dis. 1997, 16 (10):763-6.