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Nidi e servizi educativi nella prima infanzia: l’indagine ISTAT 2017-18

Negli ultimi anni i nidi e i servizi per la prima infanzia, hanno avviato un importante cambiamento che li vede sotto la sfera educativa e non più pertinenti al solo ambito assistenziale. Questi cambiamenti, iniziati con la Legge 107 del 2015, il successivo Decreto legislativo 65 del 2017 e la progressiva istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione (Sistema “ZEROSEI”), riconoscono ai servizi educativi per la prima infanzia sia il ruolo importante di supporto ai genitori nella cura, sia quello di servizi fondamentali per lo sviluppo cognitivo, emotivo e relazionale dei bambini e delle bambine. In questa cornice si colloca il Rapporto “Nidi e servizi educativi per l’infanzia, stato dell’arte, criticità e sviluppi del sistema educativo integrato”, realizzato in collaborazione tra il Dipartimento delle Politiche per la famiglia, l’Istituto Nazionale di Statistica e l’Università Ca’ Foscari Venezia e pubblicato a giugno 2020.

 

I temi approfonditi nel Rapporto riguardano l’offerta pubblica e privata dei servizi educativi per bambini fino a 3 anni e quelli da 3 a 5 anni, la tipologia dei servizi, la descrizione dell’utenza (bambini e famiglie) e le differenze territoriali, la spesa e gli aspetti legislativi.

 

Alcuni dati

In sintesi, i dati riportati evidenziano una carenza strutturale nella disponibilità di servizi educativi per la prima infanzia rispetto al potenziale bacino di utenza (bambini e bambine di età inferiore a 3 anni) e una distribuzione disomogenea sul territorio nazionale. Se in alcune zone del Paese esistono situazioni di eccellenza con interessanti modelli organizzativi, in altre sono presenti gravi carenze in termini di disponibilità e accessibilità ai servizi che pregiudicano la garanzia di pari opportunità educative.

 

Nel 2002, l’Unione europea ha fissato il parametro del 33% di posti nei servizi educativi rivolti alla prima infanzia (1 bambino su 3) quale traguardo da raggiungere entro il 2010. In Italia questi servizi per i bambini con meno di 3 anni coprono il 24,7% della popolazione di riferimento. Un indicatore che sintetizza situazioni molto diverse sul territorio: mentre nelle Regioni del Centro-Nord l’obiettivo del 33% è stato quasi raggiunto e in alcuni casi superato, le Regioni del Sud si collocano tutte al di sotto della media nazionale. I dati relativi all’offerta riguardano il settore pubblico e privato, con una lieve maggior prevalenza per il pubblico (51%).

 

Nonostante un lieve miglioramento negli anni, l’indagine evidenzia il persistere di forti differenze socio-economiche nella fruizione del servizio a svantaggio dei genitori con un titolo di studio più basso (17,3%) rispetto a quelli con che hanno un livello di istruzione più elevato (26,9% dei diplomati e 41,6% dei laureati). Fanno ricorso ai servizi per la prima infanzia, e lo fanno più precocemente, soprattutto i genitori occupati: nel 60% dei casi entrambi i genitori lavorano, nel 10% sono mono-genitori occupati, con oltre l’80% dei figli di età inferiore ai 24 mesi.

 

Sta cambiando la consapevolezza dell’importanza dei servizi per la prima infanzia quale luoghi per lo sviluppo socio-affettivo del bambino. La funzione educativa del nido è infatti riportata quale ragione principale per l’iscrizione (40,7% al Nord e al Sud, 57,1% al Centro), seguita dalla funzione di supporto alle attività di cura (42,2% al Nord, 29,1% al Centro e al Sud), e dall’esigenza di socializzazione (17,1% al Nord, 13,8% al Centro, 30,7% al Sud).

 

Tra i diversi aspetti analizzati relativamente ai costi e alla sostenibilità da parte delle famiglie, si rileva che nel 2018 circa 348.200 famiglie hanno dichiarato di aver avuto spese per asili nido pubblici o privati nel corso degli ultimi 12 mesi. Il costo sostenuto è passato dai 1570 euro del 2015, ai 1996 euro del 2017, dato che non si discosta di molto dall’importo medio per utente pagato ai Comuni come compartecipazione alla spesa per i nidi pubblici, pari a 2009 euro l’anno.

 

Un altro aspetto che emerge da Rapporto è che il reddito netto delle famiglie che usufruiscono del nido è mediamente più alto di quello delle famiglie che non ne usufruiscono. Questo fattore, associato ad altri, rischia di escludere dall’accesso ai servizi educativi nella prima infanzia le famiglie a basso reddito e a rischio di povertà incidendo su quegli aspetti che influiscono sulle disuguaglianze educative e quindi di sviluppo del bambino. Sebbene alcuni contributi statali (bonus nido) abbiano probabilmente aumentato l’utilizzo dei servizi, ciò deve andare di pari passo con una maggiore disponibilità nel Paese, al momento ancora molto disomogenea. Difatti c’è una maggiore concentrazione di beneficiari ed erogazione di risorse al Nord (11,8% al Nord-Est, 8,8% al Nord-Ovest) e al Centro (12,2%) rispetto al Sud (5,5%).

 

Nel Rapporto vengono illustrati anche i dati sulla scuola d’infanzia di cui il 67% a gestione pubblica e il 33% a gestione privata. Nella quasi totalità delle Regioni la scuola pubblica prevale, superando in alcune Regioni anche il 75% (Valle d’Aosta, Marche, Basilicata, Molise, Umbria, Abruzzo, Toscana e Lazio), mentre in Lombardia la quota del settore pubblico si colloca 10 punti percentuali al di sotto della media nazionale (54%) e in Veneto il settore privato gestisce circa il 60% delle scuole d’infanzia.

 

Anche nella fascia 3-6 anni si riscontra la tendenza dei nuclei familiari svantaggiati a utilizzare meno le strutture educative. Le fasce della popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale sono quelle che accedono di meno alla Scuola d’Infanzia. Nelle Regioni del Sud si osserva inoltre un maggiore ricorso all’iscrizione anticipata alla scuola d’infanzia, come compensazione alla scarsa presenza di asili nido e altri servizi specifici per la prima infanzia. A tale fenomeno corrispondono geograficamente livelli elevati di anticipi anche nella scuola primaria (il 16% nelle Regioni del Sud), con uno slittamento in avanti di tutte le classi frequentate indipendentemente dalla reale propensione dei bambini e delle bambine all’apprendimento precoce. Il titolo di studio dei genitori e la provenienza da famiglie a rischio di povertà o esclusione sociale riduce la partecipazione dei bambini anche nella scuola dell’infanzia in cui si registra, inoltre, un decremento delle iscrizioni tra gli anni 2011 e 2017 pari al 12%.

 

Infine, il Rapporto presenta un’analisi della normativa regionale sul sistema integrato 0-6 anni, finalizzata a superare la distinzione tra le due fasce di età (0-3 anni/3-6 anni) sancendone il carattere educativo, anche dal punto di vista normativo.

 

Lo stato dell’arte sui nidi e i servizi educativi nella prima infanzia riportata nel Rapporto fornisce utili indicazioni per programmare politiche a favore dei bambini e bambine e delle famiglie, per un accompagnamento al percorso di crescita fin dalla prima infanzia anche in un’ottica di contrasto alla povertà educativa.

 

Risorse utili

 

Data di creazione della pagina: 24 settembre 2020

Testo scritto da: Enrica Pizzi, Angela Giusti e Angela Spinelli - Centro Nazionale per la Prevenzione delle malattie e la Promozione della Salute, CNAPPS, ISS