Gli antibiotici in Italia: focus sul consumo regionale
Giuseppe Traversa - Primo ricercatore del Laboratorio di Epidemiologia e Biostatistica
Il principale risultato dell’uso inappropriato dei farmaci è quello di sottoporre i cittadini a un rischio inutile: a fronte di un beneficio atteso nullo vi è infatti una probabilità, più o meno grande, di andare incontro a una reazione avversa. Nel caso dell’uso degli antibiotici c’è una ragione aggiuntiva di preoccupazione, in quanto l’uso di questi farmaci è un determinante del fenomeno dell’antibioticoresistenza. Il recente “1° Rapporto nazionale sull’uso dei farmaci in Italia” curato dall’Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali del Ministero della sanità (www.sanita.it/osmed) ha evidenziato, non solo che gli antibiotici rappresentano una delle categorie maggiormente prescritte nella popolazione, ma anche importanti differenze di prescrizione per area geografica.
Nel 1999 il 16% circa della spesa farmaceutica complessiva era
composta da antibiotici, e in media sono state prescritte 219
confezioni ogni 100 abitanti. In termini di dosi standard (DDD
– dosi definite die – che rappresentano per ciascuna
sostanza la dose necessaria a coprire una giornata di terapia
nell’adulto), l’utilizzo è pari a 22 DDD per 1000 abitanti
die. Questa misura può essere interpretata come numero di
abitanti che assume antibiotici in un giorno qualsiasi.
All’uso di antibiotici che si verifica in medicina generale
bisogna poi aggiungere la quota consumata in ospedale, dove si
stima un consumo pari a circa 2 DDD per 1000 abitanti die.
Dai dati di monitoraggio regionale è possibile ricavare
informazioni anche sugli utilizzatori di antibiotici. Per
esempio, in Umbria, Regione che presenta un livello di consumi
simile alla media nazionale, il 44% della popolazione generale
(43% degli uomini e 46% delle donne) ha ricevuto almeno una
prescrizione di antibiotici nel 1999. I livelli di uso più
elevati si verificano nei bambini fino a 5 anni di età (circa
il 70% ha ricevuto almeno una prescrizione di antibiotici) e nei
cittadini ultrasessantacinquenni (con il 50% di utilizzatori).
Nel primo semestre del 2000, a fronte di oltre 100 principi
attivi utilizzati in complesso in Italia, su 6 (claritromicina,
cefonicid, amoxicillina + acido clavulanico, ceftriaxone,
azitromicina, ciprofloxacina) si concentra il 50,5% della spesa
per antibiotici.
In Italia, oltre a un elevato livello medio di consumi di
antibiotici nella popolazione, si osserva una elevata variabilità
regionale e un consistente trend geografico (Figura
1). Sempre nel primo semestre del 2000, l’uso di
antibiotici è pari a 13 DDD per 1000 abitanti die in
Friuli-Venezia Giulia e 34 DDD per 1000 abitanti die in
Campania. Le differenze regionali si accrescono ulteriormente
quando l’analisi si concentra sugli antibiotici con nota, cioè
su sostanze a maggior rischio di uso improprio o allargato, per
i quali si passa da 0,1 DDD per 1000 abitanti die in
Friuli-Venezia Giulia e in Veneto, a 0,9 DDD per 1000 abitanti
die in Campania. Un livello simile di variabilità si osserva
anche per gli antibiotici che si somministrano per via iniettiva.
Nonostante le indicazioni all’uso di questa via di
somministrazione siano estremamente limitate, le forme iniettive
sono ampiamente utilizzate in Italia e rappresentano il 6% delle
DDD e 34% della spesa degli antibiotici.
Differenze regionali quali quelle osservate in Italia non
possono essere ragionevolmente attribuite a differenze della
morbosità sottostante. La spiegazione più plausibile della
variabilità è da ricercarsi piuttosto nelle diverse abitudini
prescrittive dei medici delle diverse Regioni.
Un’altra fonte di variabilità è rappresentata dal diverso
grado di funzionamento dei sistemi di monitoraggio delle
prescrizioni. Le Regioni con i livelli più contenuti di uso di
antibiotici sono anche quelle dove da più tempo questi sistemi
sono attivi.
Tenuto conto dei rischi connessi all’uso, innanzitutto
l’induzione di resistenze batteriche e l’insorgenza di un
ampio spettro di reazioni avverse, modifiche anche limitate dei
comportamenti prescrittivi possono condurre a importanti
risultati in termini di salute (oltre che di riduzione della
spesa farmaceutica).
Un contributo di rilievo può derivare dalla condivisione con i
medici prescrittori dei risultati di indagini conoscitive
sull’uso di antibiotici e dall’adozione di interventi mirati
a ridurre il livello di prescrizioni improprie.