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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
Istituto Superiore di Sanità - EpiCentro


Parti cesarei in Campania

Renato Pizzuti, Enrico de Campora, Sergio Lodato (Agenzia Regionale Sanitaria della Campania)

 

Il taglio cesareo (TC) è un intervento ritenuto appropriato in alcune particolari condizioni cliniche e la sua frequenza non dovrebbe superare, secondo le raccomandazioni dell’OMS del 1985, il 10-15% di tutti i parti (1, 2). In Italia, negli ultimi venti anni, la frequenza di parti assistiti con TC è notevolmente aumentata, e risulta anche la più elevata d’Europa con una percentuale del 32,9% nel 1999 (3). La Campania è la regione con la più alta frequenza di TC: 51,0% nel 1999.

 

L’Agenzia Sanitaria Regionale della Campania ha avviato da alcuni mesi un progetto che si pone, come obiettivo, di modificare tale tendenza, attraverso l’analisi delle cause del frequente ricorso al TC, e la promozione di progetti riguardanti l’implementazione di linee-guida cliniche e organizzative. L’attività di studio si è finora concentrata sulla descrizione dei parti in Campania, utilizzando come principale fonte informativa la banca dati “Schede Dimissioni Ospedaliere (SDO)”, disponibile per il periodo 1996-99. Sono stati selezionati i 6 Diagnosis-Related Groups (DRG) relativi ai parti (da 370 a 371 per i TC; da 372 a 375 per i parti vaginali). L’analisi delle SDO ha permesso di: definire per ogni anno il numero dei parti per tipo e la frequenza di TC per ciascun luogo di parto; calcolare la mortalità riferibile all’evento parto; descrivere l’età e la nazionalità della partoriente in base al tipo di parto. Sono stati inoltre calcolati gli importi economici relativi ai ricoveri sostenuti. I luoghi di parto sono stati distinti, in base al rapporto con il Servizio Sanitario Regionale (SSR), in pubblici (assimilando le strutture classificate a quelle pubbliche) e privati accreditati. Inoltre i parti sono stati classificati in base al volume annuo di parti assistiti, utilizzando le classi del  Progetto Obiettivo Materno Infantile relativo al Piano Sanitario Nazionale 1998-2000: < 500, 500-800, > 800 parti all’anno.

 

Nei quattro anni considerati, nelle strutture pubbliche o private accreditate della Campania, si sono verificati in media quasi 65 000 parti all’anno. Le frequenze di parti avvenuti rispettivamente nelle strutture pubbliche e private sono rimaste quasi invariate nel periodo considerato: nel 1999, il 39,3% dei parti è avvenuto nelle strutture private accreditate e il 60,7% in quelle pubbliche. L’età media delle partorienti è rimasta pressoché stabile nei quattro anni osservati (28,3 anni), con una lieve differenza tra donne che hanno subito il TC (28,8 anni) e quelle che hanno partorito per via vaginale (28,0 anni).

 

La frequenza di TC osservata dal 1996 al 1999 dimostra un evidente trend lineare ascendente (Figura), con un incremento relativo del 19,4% nel quadriennio considerato. Anche i trend all’interno di ciascuna tipologia di rapporto con il SSR (pubblico/privato) mantengono lo stesso andamento ascendente, e sono pressoché paralleli tra loro; la percentuale di TC nelle strutture private risulta essere stabilmente 1,3 volte più alta che nelle strutture pubbliche.

Se si considerano i ricoveri per parto di donne residenti fuori della regione in strutture sanitarie campane, nel quadriennio considerato (mediamente 1 600 parti/anno) si nota una frequenza di TC più bassa nelle donne straniere (28,5% su 1006 parti) rispetto alle donne italiane non campane (47,6% su 5 388 parti). Invece, se si prendono in considerazione i 4736 parti di donne campane avvenuti fuori della regione nello stesso periodo, si evidenzia come la frequenza di TC sia decisamente inferiore della media osservata nelle strutture campane, 34,8% vs 47,0%.

 

Si è evidenziato, inoltre, che, seppure con livelli differenziati per tipologia di rapporto con il SSR, esiste una proporzionalità inversa tra il numero annuale di parti e la prevalenza di TC (Tabella).

 

L’analisi finanziaria relativa ai ricoveri per parto correttamente classificati evidenzia che nel 1999 i TC hanno costituito il 61,7% dell’importo totale per l’assistenza al parto (133,7 miliardi sul totale di 216,7 miliardi).

 

Per il 1999 si è proceduto a una rilevazione del numero di donne decedute con un DRG relativo a parti o che, nell’ambito di tali DRG, risultassero trasferite presso altra struttura sanitaria. Le donne decedute così individuate sono risultate 6 (9,1/100 000 parti), di cui 5 su 33 467 parti con DRG di TC (14,9/100 000 parti) e 1 su 32 169 con DRG di parto vaginale (3,1/100 000 parti) (RR = 4,8 ( lC 95% 0,6-41,1; p = 0,12).

 

A partire da queste prime valutazioni, e nell’ambito delle attività previste dallo specifico progetto di ricerca regionale, l’Agenzia Regionale Sanitaria formulerà le prime proposte di intervento, orientate prevalentemente ad agire sui criteri di accreditamento delle strutture sanitarie e all’implementazione di un programma specifico di linee guida, con la creazione di un primo gruppo di clinici attraverso cui diffondere e valutare l’applicazione delle linee-guida.

 

Il commento

Domenico Di Lallo: Agenzia di Sanità Pubblica della Regione Lazio, Roma

 

I progressi realizzati nel trattamento della gravidanza e del parto rappresentano uno dei fattori alla base del miglioramento dello stato di salute della popolazione materno-infantile. I benefici maggiori sono documentabili in quella piccola quota, circa il 10%, di gravidanze a più elevato rischio di morbilità e mortalità sia materna che feto-neonatale. Queste evidenze hanno indotto molti operatori a credere, senza documentate prove di efficacia, che pratiche diagnostiche e terapeutiche, sempre più complesse e/o invasive, dovessero essere indicate anche per il 90% delle gravidanze fisiologiche. In questo contesto, l’incremento costante dell’uso del taglio cesareo rappresenta solo uno dei tanti esempi di utilizzo inappropriato di una pratica assistenziale di provata efficacia.

 

I dati prodotti dall’Agenzia Regionale Sanitaria della Campania non fanno che confermare questo fenomeno collocandolo in un ambito di assoluta priorità da un punto di vista di sanità pubblica. La semplice analisi delle statistiche regionali mette infatti in evidenza due aspetti di estremo rilievo:  l’Italia, e principalmente le regioni del Centro-Sud, hanno tassi di taglio cesareo notevolmente superiori a quelli di altri Paesi nei quali valori intorno al 20-25% si associano a indicatori di benessere materno e feto-neonatale di eccellenza; l’ampia variabilità osservata fra le regioni non sembra giustificata in alcun modo da una diversa distribuzione di fattori di rischio clinici. Escludendo dal confronto regioni a bassa numerosità di parti, nel 1999 il tasso di cesareo variava dal 24% della Lombardia e 26% del Veneto al 38% della Sicilia e 51% della Campania (3).

 

La rilevanza di fattori “non clinici” emerge molto chiaramente dall’analisi delle schede SDO della Campania. I tassi di cesareo sono più elevati nelle strutture private rispetto alle pubbliche a parità di volume di attività ostetrica; questo può essere considerato come proxy della complessità assistenziale della struttura e, a parità di tipologia amministrativa, aumentano al diminuire del volume di attività.

 

Questi due risultati suggeriscono che sia la condizione pubblica/privata della struttura che la sua complessità (servizi presenti e bagaglio di esperienza dei singoli operatori) giocano un ruolo importante nel motivare la scelta su questa modalità chirurgica di assistenza al parto.

 

Quali possono essere le strategie più efficaci per cercare di ridurre la quota di cesarei impropri? Le esperienze riportate in letteratura possono essere schematicamente riassunte nei seguenti interventi: educazione e valutazione tra pari; valutazione esterna delle pratiche; pubblicizzazione all’utenza delle performance dei singoli ospedali; interventi tariffari sul singolo medico; interventi tariffari sul soggetto erogatore; riforma dei processi che portano al contenzioso medico-legale (4). Alcune di queste strategie si sono dimostrate non efficaci, altre efficaci, per altre ancora mancano risultati consistenti. Fra tutte, i risultati più promettenti derivano dai progetti di “audit” interno fra operatori. Allo scopo di verificare l’efficacia di questa strategia anche nella realtà italiana, l’Agenzia di Sanità Pubblica del Lazio sta attualmente conducendo uno studio di intervento basato sulla diffusione di linee-guida assistenziali (5), associato a momenti di discussione interna al reparto sulle statistiche dei singoli operatori (nel progetto sono coinvolti 17 reparti di maternità).

 

L’utilizzo dei dati delle SDO presentato nel lavoro dell’Agenzia della Campania, pur con tutti i limiti dovuti alla finalità amministrativa dell’archivio delle dimissioni, costituisce uno strumento ricco di potenzialità per la conoscenza epidemiologica del taglio cesareo e dei suoi determinanti. La produzione e diffusione interna fra gli operatori di league tables regionali per singola maternità, aggiustate per i fattori clinici, potrebbe rappresentare il naturale prosieguo di questo lavoro.

 

Riferimenti bibliografici

1.  Basevi V, Cerrone L, Gori G. Epid Prev 1994; 18: 194-9.

2.  Signorelli C, Cattaruzza MS, Osborn JF. Result from a study in three Italian hospitals. Milano: Kailash Editore; 1995.

3.  S.I.S. - Ministero della Sanità - D.G. Programmazione Sanitaria, Rapporto annuale sull’attività di ricovero ospedaliero - Dati SDO 1999.

4.  Stafford RS. JAMA 1990; 263:683-87.

5.  www.asplazio.it/index_1.htm