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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Brevi note - Afta epizootica

L’afta epizootica è una malattia acuta, caratterizzata da uno stato febbrile e dalla comparsa di afte, lesioni vescicolari a carico delle mucose e della cute di animali ungulati artiodattili domestici (suini, bovini, bufalini, ovini, caprini) e selvatici (elefanti, giraffe, cervi, ecc). La morbilità può facilmente raggiungere il 100%, mentre la mortalità è normalmente inferiore al 5%.

L’afta epizootica è causata da un virus della famiglia Picornaviridae, genere Aphtovirus, di cui sono stati  individuati sette tipi: 0, A, C, SAT1, SAT2, SAT3, ASIA1 e un centinaio di sottotipi. I tipi O, A, C sono diffusi in Europa, Sud America, Nord Africa e Medio Oriente.

 

Il virus, diffuso con il materiale proveniente da vescicole, secrezioni ed escrezioni (spruzzi di latte, saliva, scolo nasale), è in grado di persistere a lungo nell’ambiente, creando condizioni favorevoli alla trasmissione diretta per via aerogena e indiretta. Il contagio indiretto può avvenire in seguito a contatto con carcasse, organi, escrezioni di animali infetti, oggetti, animali contaminati, prodotti di origine animale, per inalazione di virus trasportato dal vento, attraverso interventi zooiatrici o per mezzo di animali portatori. A ciò vanno aggiunti i pascoli, le stalle, i recinti degli animali, i residui di alimenti, i carri ferroviari, le automobili, gli autocarri, ecc. Anche l’uomo può essere veicolo di contagio accudendo gli animali o manipolando materiale infetto.

 

Il controllo e l’eradicazione dell’afta epizootica è stato già avviato con successo da alcuni anni in Italia: dai 20 570 casi registrati nel 1952 si è passati ai 12 364 del 1964. Dalla fine degli anni ’60, dopo l’avvio della vaccinazione obbligatoria antiaftosa, i casi di afta sono stati sempre più rari.

 

All’inizio degli anni ’90, fu sospesa la vaccinazione antiaftosa nell’Unione Europea, in quanto la manipolazione di virus in laboratorio e l’impiego dei vaccini non ben inattivati contribuivano al mantenimento del rischio di diffusione del virus aftoso. La strategia vaccinale fu sostituita dal tempestivo controllo dell’insorgenza dei focolai, con conseguente abbattimento e distruzione degli animali. Nel 1993, si verificò in Italia l’ultima epizozia da virus, introdotta probabilmente con bovini provenienti dalla Croazia. 

 

In base all’esperienza accumulata grazie all’elevato numero di focolai registrati in ogni parte del mondo, è possibile affermare che il rischio per la salute umana, come conseguenza del contatto diretto con animali infetti e dell’assunzione di alimenti contaminati, è praticamente nullo. Analoghe considerazioni valgono per tutti gli altri animali domestici appartenenti a specie diverse da  quella bovina, suina e ovi-caprina.

Maria Tollis: Laboratorio di Medicina Veterinaria

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