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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Abitudini alcoliche nei futuri operatori sanitari

Margherita Canevari, Valentina Teglio, Aniello D’Alessandro e Giuseppe S. Badolati

Dipartimento di Scienze della Salute, Sezione di Igiene e Medicina Preventiva, Università degli Studi di Genova

 

L’abitudine all’alcol, con i noti aspetti socio-culturali, è estremamente diffusa (1) e intimamente legata alla nostra cultura. Nei casi in cui tale abitudine diventa abuso rappresenta una delle più comuni tossicodipendenze non adeguatamente percepita come tale né dalla società, né dallo Stato. La percezione che si ha comunemente dell’alcol, tranne nei casi di abuso, non è negativa e spesso il consumo moderato è associato a uno stato di buona salute (2).

Nella provincia di Genova è stata avviata un’indagine epidemiologica che mira a raccogliere dati relativi al consumo di alcolici in soggetti destinati alla professione sanitaria. Gli obiettivi dell’indagine, che ha preso l’avvio nel novembre 2001, erano:

• descrivere il pattern e la quantità di alcol assunta;

• valutare il livello conoscitivo in merito all’alcolismo e in particolare la nocività e i mezzi di supporto disponibili, sia dal punto di vista psicologico che farmacologico, per consentire ai pazienti affetti da tale dipendenza di disintossicarsi (3);

• fare emergere la consapevolezza di essere operatori di educazione alla salute e di rilevare se tale condizione influisca e condizioni il comportamento dei futuri operatori sanitari quando si troveranno a rivestire tale ruolo.

Sono stati selezionati tre intervistatori che hanno somministrato a 149 studenti di Medicina, a 50 studenti di Odontoiatria, a 52 medici specializzandi in Igiene e a 73 medici specializzandi in altre discipline questionari messi a punto per tale indagine. Gli specializzandi di Igiene sono stati selezionati nella loro totalità (100%), e un campione random del 25% degli studenti di Odontoiatria, del 3°, 4° e 6° anno del corso di Medicina e degli specializzandi delle altre discipline.

 

Il questionario somministrato, strutturato a risposte chiuse, era composto da una prima parte destinata alla raccolta dei dati riguardanti la durata e l’entità delle abitudini alcoliche e da una seconda parte volta a considerare la consapevolezza di essere operatori di educazione alla salute.

 

I questionari sono stati compilati dalla totalità dei soggetti contattati. Il campione è risultato omogeneo per età (media 25 anni) e in prevalenza di sesso femminile (56,7%). Attraverso l’analisi dei dati si è rilevato che l’83% del campione consumava bevande alcoliche; di questi, il 58,4% assumeva alcolici saltuariamente, il 7,2% beveva quotidianamente e il 34,4% soltanto durante la fine settimana. Per quanto concerne le dosi abitualmente ingerite, si è visto che la maggior parte del campione (58,4%) ne assumeva meno di 200 ml, il 26,4% tra 200 e 400 ml e il 15,2% più di 400 ml.

 

La maggioranza degli intervistati (64%) bevono superalcolici: il 2% quotidianamente, il 28% solo nella fine settimana e il 70% occasionalmente. Le quantità assunte erano comunque modeste (≤ 50 ml) nel 55,2% del campione, elevate (≥ 200 ml) nell’11,5% e medio-alte nel 33,3% (> 50 e < 200 ml). è stata osservata una relazione inversa tra frequenza ed entità di assunzione: i soggetti che superavano i 200 ml al giorno erano per la maggior parte bevitori della fine settimana. Non sono state rilevate differenze significative tra i due sessi, né per quanto concerne la frequenza, né per quanto riguarda l’entità di assunzione.

 

Alla domanda relativa agli ausili farmacologici e psicologici finalizzati alla cessazione di tale abitudine, è risultato che soltanto il 35% ne conosceva l’esistenza. Un altro quesito di grande interesse riguardava il valore attribuito all’educazione sanitaria, nonché alla percezione di essere educatori alla salute istituzionali anche se involontari: il 94% ne ha riconosciuto l’importanza e circa la metà era favorevole a essere coinvolta in interventi. La consapevolezza di essere modelli educativi privilegiati è apparsa nel complesso non sufficiente.

 

Nonostante le riserve che accompagnano questo tipo di indagini, relative alla veridicità e all’affidabilità delle risposte, stante anche il fatto che i questionari sono stati accettati dalla totalità degli intervistati, lo studio effettuato ha permesso di acquisire dati all’interno di una popolazione di soggetti che dovrebbe essere particolarmente sensibile al problema alcol. Il lavoro svolto ha evidenziato futuri operatori sanitari con abitudini alcoliche ancora eccessive, dato che sostanzialmente riflette il quadro nazionale e regionale, aggravate da un livello conoscitivo molto scarso (4). Risulta quindi necessario un intervento di educazione sanitaria che aumenti la consapevolezza dei futuri operatori sanitari verso tali problematiche.

 

Il commento

Emanuele Scafato

Laboratorio di Epidemiologia e Biostatistica, ISS

 

L’indagine condotta a Genova offre una preziosa occasione per formulare alcune importanti considerazioni sull’elevata diffusione di comportamenti “a rischio” (il bere nel caso specifico) in un target di popolazione (gli operatori sanitari) che, secondo logica, dovrebbe avvantaggiarsi delle maggiori conoscenze per assicurarsi e assicurare un’adeguata gestione delle strategie e delle risorse preventive individuali. è noto che il potenziale rischio connesso al consumo/abuso di bevande alcoliche è variabile in funzione della distribuzione/concentrazione e della frequenza del consumo, del tipo di bevanda alcolica consumata in termini di tenore alcolico e delle quantità ingerite. Pur in assenza di tali dettagli, che dovrebbero comunque caratterizzare un’analisi adeguata dei dati, almeno la presentazione del dato aggregato maschi-femmine necessiterebbe una puntuale separazione; questo non solo per il noto rapporto di 1:2 classicamente registrato in Italia tra i “bevitori”, ma anche e soprattutto per la maggiore vulnerabilità femminile all’alcol legata a un corredo enzimatico (ADH) qualitativamente e quantitativamente differente (livelli epatici doppi nei maschi rispetto alle donne). Ciò premesso, la prevalenza rilevata di consumatori/trici (83%) appare superiore a quella relativa ai dati registrati nei 18-24enni della Multiscopo ISTAT 2000 (77%) (5). Il rilievo di bassa frequenza quotidiana di assunzione di “alcolici” conferma l’abitudine recente delle giovani generazioni a rifuggire il consumo “familiare” tradizionale, tipicamente mediterraneo (moderato e contestuale ai pasti). La frequenza del 15,2% di individui che dichiara consumi quotidiani superiori ai 400 ml di alcolici (presumibilmente vino o birra) appare piuttosto preoccupante se paragonato al dato ISTAT (gruppo di pari età) che registra consumi eccedenti i 500 ml di vino o di birra nel 2% e nello 0,5% circa dei maschi e delle femmine, rispettivamente. Gli individui che hanno dichiarato di consumare superalcolici (64%) risultano più del doppio di quelli che sono stati rilevati dalla Multiscopo ISTAT (gruppo di pari età) e pari al 30% circa per i consumatori/trici di liquori e al 27% per quelli di amari. La non trascurabile frequenza di individui (11,5%) che ha dichiarato di consumare quantità superiore ai 200 ml al giorno di superalcolici (parliamo di 60 g di alcol e non ci sono elementi che consentano di escludere l’assunzione supplementare di altre bevande) e la prevalente modalità di concentrazione del consumo nella fine settimana pone tali individui come reali soggetti “a rischio” per patologie e problemi alcol-correlati. Il riscontro di un 50% di intervistati che si dichiari favorevole a essere coinvolto in interventi di educazione sanitaria potrebbe qualificarsi quale interesse personale espresso e riferito in qualità di destinatario piuttosto che di futuro operatore. In realtà i risultati dell’indagine rappresentano, purtroppo, il triste dito nella piaga della carenza cronica di formazione specifica “alcologica” nel corso degli studi universitari. L’art. 5 della legge quadro 125/2001 indica esplicitamente la possibilità di introdurre modifiche agli ordinamenti didattici dei corsi di diploma universitari sanitari e di quelli a indirizzo sociale e psicologico nonché del corso di laurea in Medicina e chirurgia allo scopo di assicurare l’apprendimento dell’alcologia. A più di un anno dalla ratifica della nuova legge non sembrerebbe che l’appello sia stato raccolto.

 

Riferimenti bibliografici

1. Badolati GS, Vannucci A, Cartelli G, et al. Indagine epidemiologica sulla consuetudine alcolica in Liguria. Università di Genova; 1992.

2. Cottino A. L’ingannevole sponda. L’alcol fra tradizione e trasgressione. Roma: La Nuova Italia Scientifica; 1991.

3.Patussi V, Palvani S, Engelman K, et al. Public services and the selfhelp movement for alcohol related problems in Italy: preliminary date. 23rd Annual Alcohol Epidemiology Simposium. Reykjavik. May 31-June 5, 1997.

4.Scafato E, Cicogna F. I consumi alcolici in Italia e in Europa e l’intervento previsto dal Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 nel quadro dell’obiettivo n. 17 del progetto OMS “Health for all”. Boll Farmacodipendenze e Alcolismo 1998; 21(suppl. 1): 11-20.

5. www.istat.it