La sars in Italia
Giovanni Rezza
Laboratorio di Epidemiologia e Biostatistica, ISS
La SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome) ha rappresentato la prima minaccia globale del XXI secolo. Comparsa nella provincia cinese meridionale del Guangdong negli ultimi mesi del 2002, la SARS approdava poi a Hong Kong e Hanoi, provocando improvvisi focolai epidemici. Tra il 12 e il 15 marzo 2003, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), per la prima volta nella sua storia, ha lanciato un allarme mondiale, raccomandando di rimandare i viaggi provenienti da aree affette o verso le aree infette.
Anche l’Italia,
come gli altri Paesi europei, ha dovuto far fronte
all’emergenza e organizzare adeguate risposte. La morte del
medico Carlo Urbani, avvenuta alla fine del mese di marzo, e la
coraggiosa presa di posizione dell’OMS, contribuivano a
sensibilizzare i mezzi d’informazione di massa, determinando un
picco di attenzione quando, all’inizio di aprile, venivano
segnalati due casi sospetti di SARS. A metà del mese di aprile,
la situazione precipitava a seguito del decesso, avvenuto a
Napoli, di una persona con sospetta SARS, rivelatasi poi
affetta da una rara infezione batterica contratta in Tailandia
(un’area apparentemente “non affetta”).
Preceduta da una
conferenza stampa, il 17 aprile 2003 veniva costituita la Task
Force sulla SARS del Ministero della Salute (Gruppo permanente
per la valutazione del rischio e il controllo della SARS e
delle emergenze di origine infettiva, costituito presso la
Sezione III del Consiglio Superiore della Sanità). Sino alla
fine di aprile, l’aumento nel numero dei nuovi casi di SARS in
estremo Oriente e l’arrivo di alcuni casi sospetti o probabili
nel nostro Paese, determinava un livello di guardia piuttosto
elevato che culminava, agli inizi di maggio, con la riunione
dei Ministri della Sanità europei, a Bruxelles, nel corso della
quale si apriva una fase di dibattito serrato sulle misure da
prendere a livello aeroportuale e sulla loro potenziale
efficacia. Infine, con l’arrivo dell’estate (giugno) e lo
spegnersi dei focolai epidemici, da Hong Kong a Toronto e da
Pechino a Taipei, iniziava la fase di riflessione sul da farsi
nell’evenienza di una ricomparsa della SARS.
In Italia, il
Ministero della Salute ha prontamente gestito un sistema di
sorveglianza della SARS, adottando la definizione di caso
proposta dall’OMS e concordata con la DG SANCO della Comunità
Europea (CE). La definizione, basata esclusivamente su criteri
clinici (essenzialmente febbre elevata e sintomi respiratori in
assenza di diagnosi eziologica nota) ed epidemiologici
(provenienza da aree affette o contatto diretto con persona
malata), si basava su due livelli di classificazione dei
pazienti in casi sospetti e casi probabili. La presenza di
radiografia del torace indicativa di polmonite o di sindrome da
distress respiratorio (anche all’esame autoptico) permetteva di
classificare come probabile un caso inizialmente solo sospetto.
Sebbene il
Ministero della Salute avesse indicato l’Istituto Nazionale
Malattie Infettive (INMI) “Spallanzani” di Roma e l’Ospedale
“Sacco” di Milano come centri di riferimento per la SARS,
collegati con i più importanti aeroporti italiani, le
segnalazioni di casi sospetti o probabili arrivavano anche da
altri reparti di malattie infettive situati in diverse aree del
territorio italiano. A fine maggio, risultavano segnalati
dall’Italia, all’OMS, 9 casi probabili di SARS. Di questi casi,
revisionati da un sottogruppo della Commissione Ministeriale, 4
venivano confermati come probabili. Le principali
caratteristiche dei casi probabili diagnosticati in Italia sono
riportate nella
Tabella.
Come si può notare,
2 dei 4 pazienti risultavano positivi al test PCR eseguito su
aspirato naso-faringeo, anche se per il caso 4 veniva riferita
una debole positività. Per quanto riguarda il caso 1, il virus,
presente ad alto titolo, veniva isolato e sequenziato (il
paziente presentava anche sieroconversione per anticorpi
diretti verso SARS-CoV). Per quanto riguarda gli altri due
pazienti, il caso 2 risultava negativo in PCR (eseguita su
tampone e su un campione di espettorato ritenuto comunque non
idoneo), mentre la sierologia risultava negativa su un campione
prelevato in fase di post-ricovero. Il caso 2 risultava inoltre
positivo per Metapneumovirus (non considerato un criterio di
esclusione in quanto di frequente riscontro nei pazienti con
SARS), mentre il caso 3 risultava positivo alla PCR su tampone
orofaringeo per Parainfluenza 3 (la mancata sieroconversione
non deponeva comunque per infezione acuta da paramixovirus
parainfluenzale).
Dei 4 pazienti, due
(caso 1 e 2) erano imprenditori italiani, il caso 3 un
assistente di volo cinese, il caso 4 una donna cinese che vive
in Italia andata a Pechino ad assistere una familiare. Dal
punto di vista epidemiologico, il caso 4 è stato probabilmente
esposto a casi di SARS nell’ospedale di Pechino, mentre risulta
difficile risalire alla fonte di esposizione nel caso 1.
Il caso 1,
rientrato in Italia il 14 marzo (prima dell’implementazione del
filtro aeroportuale), ha trascorso diversi giorni in famiglia,
con moglie e bambino, prima di presentarsi spontaneamente in
ospedale. Il caso 2 è stato a casa per 3 giorni a contatto con
la nonna ed è arrivato in ospedale tramite il 118. Il caso 3
era stato in albergo a Roma, Firenze, Pisa e Milano prima di
rivolgersi a un medico privato che gli consigliava il ricovero
ospedaliero. Il caso 4, appena giunta a Milano, veniva condotta
direttamente in ospedale dal marito; sebbene la febbre fosse
già in remissione, la paziente presentava al ricovero un
infiltrato polmonare.
Questo breve
resoconto ci permette di fare alcune considerazioni: 1)
evidenziare quanto disparate siano le situazioni che precedono
il ricovero ospedaliero (in particolare, il filtro aeroportuale
è importante, ma è soprattutto essenziale la formazione dei
medici di base e la predisposizione di meccanismi di
sorveglianza e procedure di controllo a livello territoriale);
2) nessuna delle persone esposte si è poi ammalata (ciò è
rassicurante, ma il numero esiguo di casi non permette facili
conclusioni); 3) le misure di isolamento a livello ospedaliero
sembrano aver funzionato (vale comunque quanto detto al punto
precedente) e le capacità diagnostiche sono state rapidamente
sviluppate. Per quanto riguarda i casi negativi per SARS-CoV,
resta il dubbio circa l’idoneità dei campioni prelevati
(trattandosi di pazienti ricoverati all’inizio della fase
emergenziale, non erano da escludere problemi nell’appropriatezza
del campione e il timing del prelievo) o di una specificità
relativamente bassa della definizione di caso; allo stato
attuale ciò non è comunque facilmente interpretabile.
Oltre alle attività
di sorveglianza epidemiologica, il Ministero della Salute, a
seguito dell’allarme globale, ha predisposto una serie di
misure atte a contenere la diffusione dell’infezione
nell’eventualità dell’arrivo di casi sospetti o probabili dalle
aree affette.
Gli obiettivi
prioritari, identificati dalla Task Force ministeriale, erano i
seguenti: 1) identificare e isolare immediatamente i casi di
SARS, sospetti o probabili al momento del loro arrivo in Italia
(filtro aeroportuale); 2) identificare e isolare immediatamente
i casi di SARS, sospetti o probabili che si manifestano in
soggetti provenienti da aree affette nei 10 giorni successivi
al loro arrivo in Italia; 3) porre sotto sorveglianza i
contatti dei casi di SARS; 4) fornire indicazioni per la
prevenzione e controllo della SARS in ambito ospedaliero.
Per la
realizzazione di tali obiettivi si è resa necessaria una
stretta collaborazione con il Dipartimento Emergenze della
Protezione Civile (con la nomina del Direttore del Dipartimento
a Commissario governativo), le strutture cliniche di
riferimento e le Regioni. Inoltre l’Istituto Superiore di
Sanità (ISS) veniva identificato come centro di riferimento per
la validazione dei test diagnostici.
Prima della pausa
estiva, la Task Force metteva a punto una serie di documenti
(consultabili nel sito del Ministero della Salute:
www.ministerosalute.it ), che sono il frutto dell’elaborazione
di diversi sottogruppi (epidemiologia e modelli matematici;
procedure per fronteggiare la SARS a bordo di aeromobili e
negli aeroporti; sorveglianza prevenzione e controllo della
SARS nel territorio; indicazioni per la prevenzione e il
controllo della SARS in ambito ospedaliero; diagnostica di
laboratorio della SARS, problematiche assistenziali e clinico
terapeutiche). Un ultimo documento, sulla formazione, è
previsto a breve.
L’Italia, come gli
altri Paesi europei è stata innanzitutto fortunata. A
differenza di quanto accaduto in Canada, non sono arrivati casi
prima della fatidica data dell’allarme globale. Ne consegue
che, se è possibile dire ciò che ha funzionato, non sappiamo
invece ciò che avrebbe potuto non funzionare in situazioni di
emergenza quali quelli verificatesi nelle aree cosiddette
affette.
In sintesi:
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Le procedure di isolamento adottate nei centri clinici che hanno ricoverato casi probabili di SARS sembrano aver funzionato, non essendosi verificati casi secondari di trasmissione dell’infezione ad operatori sanitari. Difficoltà nella gestione di un caso inizialmente sospetto (un paziente diabetico proveniente dalla Tailandia - Paese non considerato affetto - deceduto per una polmonite batterica) inducono a verificare le effettive capacità di risposta delle strutture sanitarie in alcune aree del Paese. Ciò è particolarmente importante alla luce del fatto che, sebbene 3 dei 4 casi probabili siano stati ricoverati nelle due strutture di riferimento identificate dal Ministero della Salute il coinvolgimento di altri centri clinici è comunque altamente probabile.
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Almeno in un caso, il virus è stato isolato e sequenziato. Inoltre, l’ISS ha messo a punto un test diagnostico del tipo real time PCR che ha brillantemente superato una valutazione da parte della rete dei laboratori dell’OMS che aveva fornito campioni biologici a laboratori di diversi Paesi.
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Il nostro Paese ha dato grande importanza al filtro aeroportuale, consistente in uno screening clinico dei passeggeri in arrivo da aree infette, informazioni sulla possibilità di comparsa di sintomi, identificazione e sorveglianza sanitaria dei passeggeri dei voli sui quali erano presenti persone affette da SARS. Dal momento che la necessità di tali visite di controllo (ivi compresa la misurazione della temperatura corporea con termometri al laser) non è stata condivisa da tutti i Paesi europei, si è resa necessaria l’identificazione dei passeggeri provenienti da aree affette, transitati in altri aeroporti europei, e quindi giunti in Italia (perciò non necessariamente a Roma Fiumicino o Milano Malpensa, gli unici ad avere voli diretti dall’estremo Oriente). Se da un lato nessuno dei 4 casi probabili è stato direttamente inviato dall’aeroporto all’ospedale, non presentando tali pazienti febbre e altri sintomi al momento del loro arrivo, non si può sottovalutare l’importanza del rinforzo informativo fornito nell’atto dello screening clinico all’arrivo.
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L’esiguità del numero dei casi non permette un bilancio della capacità investigativa nei confronti dei contatti e sulla fattibilità di strategie di controllo da applicare a livello territoriale. In particolare, l’esperienza del contact tracing è limitata e non è possibile prevedere quanto si sia in grado di applicare misure di tipo “quarantenario” (ad esempio, isolamento domestico) nel nostro come in altri Paesi europei. Per questo, il training di epidemiologi regionali e di altri operatori di sanità pubblica appare prioritario e inderogabile.
Ringraziamenti
Si ringraziano per le informazioni dettagliate relative ai casi probabili di SARS Gian Marco Vigevani (Divisione Malattie Infettive, Ospedale “Sacco” di Milano), Matteo Bassetti (Clinica Malattie Infettive, Ospedale “San Martino” di Genova), e Nicola Petrosillo (Istituto Nazionale Malattie Infettive “Spallanzani” di Roma).